7 - La serata di Suzune
Era rientrata a casa, più esausta di quanto credesse possibile.
Il lavoro non c'entrava, c'era stata una piccola riunione collettiva, poi tutti si erano messi a cercare materiale.
Suzune poteva dirsi soddisfatta, perché sembrava che le immagini da lei trovate fossero piaciute al capo e ai colleghi.
Il trauma, e non vedeva altri modi per chiamarlo, era stato tornare al suo appartamento.
Aveva provato a fare la strada al contrario, usando di nuovo gli stessi mezzi, ma dopo ore non ricordava bene il numero dei bus, oppure se erano tram o altro, e alla fine aveva aspettato mezz'ora sulla banchina sbagliata.
Non aveva nemmeno capito cosa le avesse detto l'autista, ma doveva essere stata una qualche battuta perché più di uno attorno a lei aveva riso.
Così, Suzune aveva tentato la metropolitana. E dopo due ore e mezza, passate più a camminare che altro, aveva finalmente varcato la porta di casa.
Si sentiva come se avesse fatto un qualche viaggio epico, ed il pensiero di doverlo rifare il giorno dopo le pendeva sul capo come un macigno.
La ragazza si tolse le scarpe e andò in salotto, portandosi dietro il cartone con la pizza da asporto.
Non era mai stata brava a cucinare, e l'orario non le sembrava adatto a fare esperimenti con i fornelli.
Si buttò sul divano, sospirando di piacere nel sentire i cuscini sotto il corpo, e si guardò intorno mentre cercava la forza di mangiare.
L'appartamento, per sua fortuna, era già arredato, anche se con un gusto molto arcaico, come l'aveva definito il proprietario.
Due grandi vetrine vuote in legno scuro stavano in un angolo, con davanti un piccolo tavolinetto e delle sedie dall'aspetto fragile.
Quadri di paesaggi marini erano appesi alle pareti, e Suzune aveva difficoltà a staccare gli occhi da quelle onde e quelle navi.
Quando finalmente la ragazza si decise a mangiare, le squillò il telefono. Quando vide il numero, le si illuminarono gli occhi.
«Kichan*! Come stai?» disse Suzune, a voce forse un poco troppo alta.
Ma tanto era sola nell'appartamento, quindi poteva parlare come voleva.
Inoltre era troppo bello poter finalmente parlare la sua lingua, dopo giorni passati a conversare in italiano.
Dall'altra parte, le rispose una voce lenta e pacata.
«E' un piacere sentirla, Hoshino-sama» Suzune non poté contenere uno sbuffo. Ci provò lo stesso, anche se sapeva essere una causa persa.
«Lascia stare il "sama"*, Kimiou, per favore!»
Poteva quasi vedere la ragazza dall'altra parte fissarla inespressiva, le mani intrecciate in grembo mentre faceva un piccolo inchino.
«Mi dispiace, ma intendo usarlo, Hoshino-sama, scusatemi» rispose Kimiou. Suzune era convinta lo facesse apposta.
«Scusa un momento» un pensiero folgorò la ragazza. «Ma che ore sono a casa?»
«Sono da poco passate le cinque del mattino, Hoshino-sama, da voi dovrebbero essere le dieci di sera, giusto?»
«E che ci fai in piedi a quest'ora, Kichan?» Suzune si passò una mano sul volto, già pronta alla risposta.
«Vi telefono, ovvio» anche dall'apparecchio, si capiva tutta la soddisfazione di Kimiou per quella risposta.
«Lasciamo stare...» Suzune prese un lungo respiro, prima di passare alle domande importanti. «Come vanno le cose lì?»
«Vostro padre lavora come al solito, mentre vostra madre continua a istruire vostra sorella» recitò l'altra con voce meccanica. Suzune sbuffò.
«Nient'altro?»
«La signora ha espressamente proibito a vostra sorella di raggiungervi quest'estate in Italia, ha detto che non intende farle perdere tempo che potrebbe usare nello studio»
«Lo immaginavo» Suzune non aveva nemmeno la voglia di alzare gli occhi al cielo. «E tu? Che mi dici?»
Finalmente, la voce di Kimiou perse parte della sua patina formale.
«Io sto bene, Hoshino-sama, ma posso chiedervi la cortesia di chiamare più spesso Urakami-sama? Ha passato tutto il giorno a domandare di voi»
«Dopo la chiamo, oggi stavo lavorando» Suzune arrossì un poco, soddisfatta di sé stessa. «Ah, e sabato alcuni colleghi mi portano a fare un giro per Roma! Ti manderò le foto!»
Nell'istante di silenzio, Suzune poté immaginare gli occhi dell'amica illuminarsi, mentre allungava il collo e drizzava le orecchie.
Kimiou adorava viaggiare, anche se non poteva farlo spesso.
«Sì! La ringrazio molto, Hoshino-sama, lo apprezzerei davvero!» la ragazza cercò di mantenere un tono formale, ma Suzune poteva ben vederla quasi saltellare per la stanza.
«Ha avuto problemi sul lavoro?» si interessò l'altra. Suzune valutò a lungo la risposta.
Non temeva nessun sottinteso da parte di Kimiou, il vero pericolo era sua madre, che senz'altro avrebbe sottoposto a un lungo e accurato interrogatorio l'amica non appena sarebbe venuta a sapere della telefonata.
Una fiammella di irritazione si accese nel petto di Suzune.
Era per quello che se ne era andata lontano.
Per poter parlare, vivere, pensare da sola, senza dover rendere conto ai suoi genitori se respirava troppo forte o se faceva un passo di troppo.
Non aveva fatto nulla di cui doveva vergognarsi, e quindi non aveva intenzione di nascondere nulla.
«No, nessun problema» Suzune non ci provo nemmeno a nascondere l'orgoglio stavolta. «Devo capire bene come usare la tastiera, e ho scoperto che il... "sushi del soffitto di pollo" è ottimo!»
«Il... cosa?» Kimiou aveva una voce a metà tra il divertito e l'allarmato.
«Non lo so!» Suzune rise, imitata dall'altra, e poi le raccontò per filo e per segno cosa era successo in ufficio, a partire dal collega invadente fino al pranzo con Lorena.
Poteva immaginare l'altra annuire convinta.
«Quindi... lei in ufficio parla giapponese?» volle sapere Kimiou, alla fine.
«Non direi così» Suzune pensò bene a come formulare la cosa, anche se lei stessa non sapeva bene come descriverla. «Diciamo che, ogni tanto, faccio qualche commento in giapponese; anche i miei colleghi lo fanno, a volte. Non in giapponese, ma in qualche loro dialetto»
«Ad esempio?» l'eccitazione di Kimiou era palese, e Suzune riusciva a immaginarsela benissimo davanti a lei, seduta sul divano, con il caschetto castano che ondeggiava al ritmo del suo respiro affannato.
«Aaah, sono difficili da ricordare, e poi spesso non vogliono dirmi che significano, dicono che è difficile tradurle» Suzune provò con poco successo a ricordarne qualcuna. «Una era... "atta paza ai natto"*, più o meno»
Kimiou rimase in silenzio per un bel pezzo, anche se Suzune la sentiva borbottare la strana frase. Alla fine si arrese.
Per non far morire la conversazione, anche se il sonno iniziava a farsi sentire, Suzune iniziò a parlare dei suoi colleghi.
Lorena era molto più divertente e alla mano di quanto si aspettava, e già solo il fatto che le avrebbe presentato qualcuno per farle visitare Roma gliela faceva adorare.
«Spero di incontrarla presto, Hoshino-sama» sotto l'entusiasmo palpabile, Suzune poteva sentire tutta la gelosia appena accennata di Kimiou.
«Su, non offenderti Kichan, lo sai che non ti posso sostituire!»
L'altra parve calmarsi un poco, soprattutto quando si rese conto che la maggioranza dei suoi colleghi erano maschi.
A essere precisi, Kimiou ridacchiò senza pietà alla cosa, dimentica per un momento di tutta la sua reverenza.
«Sua madre ammattirà quando lo verrà a sapere» fece la ragazza.
«E Nanane mi tartasserà ancora peggio» sospirò Suzune.
Se Nanami Urakami avesse scoperto che frequentava, per lavoro o meno, ben tre maschi, se la sarebbe ritrovata fuori dalla porta in un attimo.
«Se permette, Hoshino-sama, gliela faccio io la domanda» ridacchiò Kimiou. «ce ne è uno carino?»
Preparata, Suzune non arrossì quanto pensava.
Probabile fosse perché era al telefono, e non faccia a faccia; e anche perché a chiedere era Kimiou, non quell'impicciona di Urakami.
«C'è un collega molto bello, Romeo, ma è appiccicoso come la colla! E poi, appena vede Lorena la segue con gli occhi, pare un bambino che fa ingelosire l'amichetta!» anche l'altra rise. «Ce ne è un altro molto simpatico, Mattia, mi hanno detto di chiedere a lui per qualsiasi cosa, ha pure provato a tradurmi qualche frase dialettale... tranne una; l'ha detto Romeo a Giacomo, era come... "fiji de na mineta"*, ma Mattia si è rifiutato di tradurla»
«Forse era un insulto?» provò Kimiou, per nulla scandalizzata. Suzune scosse la testa, anche se l'altra non poteva vederla.
«Ma no! Sono persone educate! Non sono il tipo che potrebbe insultarsi in ufficio*! Sarà stata qualche battuta, si sono anche messi a ridere»
Dopo qualche altro veloce racconto, Suzune decise di chiudere la telefonata.
Sbadigliò e andò a letto, canticchiando felice di poter tornare al lavoro il giorno dopo.
L'angolo delle cose inutili
*Kichan: soprannome, in un certo senso, con cui Suzune si rivolge all'amica; è più che altro un diminutivo nato dal cognome Kimiou e il suffisso -chan, usato per le ragazze; fun fact e mezzo spoiler, Kimiou "odia" quando altre persone lo usano, in particolare Nanamo, ma il perché lo scoprirete a tempo debito xd
*sama: 様: al contrario di Suzune, Kimiou usa un suffisso riservato a persone di grado sociale più elevato; per far capire, è traducibile come "Signorina Hoshino", e viene usato in contesti molto formali
atta paza ai natto: vediamo chi indovina cosa stava dicendo il povero segretario, vi do un indizio: il segretario si chiama Ciro
fiji de na mineta: vorrei fare lo stesso gioco, ma purtroppo temo Wattpad non apprezzerebbe xd
*Insulti in ufficio: più che mancanza di educazione, in Giappone è proprio impensabile offendere qualcuno, anche un sottoposto, in contesti lavorativi, pena sanzioni sia sociali, ossia essere tacciati di estrema maleducazione, sia anche lavorativi ed economici (almeno da come ho letto in rete)
Sotto la reazione di tutti i maschi dell'azienda (salvo Clark) alla notizia che possono parlare tra di loro per più di un minuto senza insultarsi:
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