6 - La serata dei Rossini
Tornare a casa era sempre un piacere, anche in un giorno settimanale come quello.
In più, c'erano le lasagne, quindi Lorena aveva fatto trapelare a casa che il suo progetto lavorativo era giunto al termine.
Mattia emerse dalla fermata della metro, incamminandosi lungo la strada fino alla palazzina dove abitavano i genitori.
Un fresco lunedì sera nel quartiere San Giovanni, con la grande basilica papale illuminata a stagliarsi nel cielo scuro, le statue sulla facciata che fissavano passanti e automobilisti.
A passo veloce, vista la fame, Mattia percorse il piccolo tratto di strada tra la metro e casa.
Una volta bussato al portone, non ci volle molto prima che qualcuno aprisse.
«Eccoti! Vieni vieni, entra!» mamma Cecilia si fece di lato, indicando il corridoio con il mestolo di legno.
«Oh finalmente!» Lorena marciò fuori dal salotto «aspettiamo solo te, datti una mossa»
«Guarda che qua non siamo in ufficio...»
Mattia rise, abbracciò la madre e si riempì le narici del profumo di pasta che proveniva dalla cucina.
Lorena, in piedi in mezzo al corridoio tappezzato di foto, sbuffò.
«Quante storie...» la ragazza giocherellerò con i lacci della felpa, prima di rientrare veloce in salotto.
«Lorena, le pantofole!» disse sua madre, glaciale. La ragazza sussultò.
«Lascia stare, più glielo dici più quella testarda non lo farà mai» Mattia rise, e andò a prendere posto sul divano.
Entrare in cucina era impossibile, sua madre l'avrebbe fatto volare dalla finestra. Così, per perdere tempo, Mattia guardò un paio di foto nel tragitto dalla porta al salotto.
Sua madre in toga, alla sua prima sentenza come giudice. Qualche vacanza dei suoi genitori, con le foto un po' rossastre di mari e montagne.
Lui e Lorena che combinavano guai da qualche parte, compresa una dove nonno Marco li teneva bonariamente fermi per la collottola, come due gatti.
Il giorno delle loro lauree, con le foto più grandi e dalle cornici più decorate. Lorena aveva protestato anche su quello, fino a quando mamma non aveva deciso di farle uguali per entrambi.
Entrato in salotto, Mattia trovò la sorella stravaccata su un divano.
Dell'algida e professionale avvocata non rimaneva nulla. Davanti a lui c'era una venticinquenne in felpone verde, tuta grigia e piedi scalzi, che giocherellava al cellulare con il naso arricciato.
«Che vista!» disse lui, occupando la poltrona e allentandosi i bottoni della camicia.
«Che vuoi? L'hai detto tu, mica siamo in ufficio» Lorena gli fece la linguaccia.
A Mattia non andava di litigare, così evitò di menzionare quanto gli sarebbe piaciuto che un certo fotografo la vedesse in quello stato.
«Che cerchi?» chiese Mattia. L'altra aveva il classico naso contratto di quando non trovava qualcosa su internet.
«La ragazza nuova, Suzune, ci ha detto il nome della sua città a pranzo» sbuffò, mentre le dita le scorrevano frenetiche sul cellulare «ma non riesco a ritrovarla, era un nome troppo complicato!»
«Sei tu negata con le lingue» disse lui.
«Sta' zitto, dizionario vivente» rispose lei, per non guardarlo si girò su un fianco.
Rimasero lì per qualche minuto, fino a quando Mattia non si annoiò del silenzio.
«Com'è andato il pranzo?» chiese, lo sguardo che intanto vagava sul grosso quadro pieno di ninfee vicino alla finestra.
«Tutto bene, abbiamo mangiato sushi» gli rispose Lorena, mettendosi seduta «non penso sia stata una grande idea»
«Beh... è come andare all'estero e mangiare pizza» rispose lui. L'altra sbuffò, il massimo che potesse fare per ammettere di avere torto.
«Ha pure detto qualcosa di strano prima di pranzo, ma non mi ricordo bene» disse lei, grattandosi la testa.
Mentre la ragazza ancora cercava il nome della città giapponese, la madre annunciò che era pronta la cena.
«Tirate fuori vostro padre dallo studio, così mangiamo!»
Mattia si diresse a eseguire. Bussò alla porta in fondo al corridoio, così forte che il legno vibrò.
Qualche minuto dopo, ne venne fuori Antonio Rossini, una figura magra, scheletrica, con i capelli impolverati e un immenso paio di borse sotto gli occhi esausti.
«Lo sai, vero, che basta chiamare?» chiese il padre di Mattia, sbadigliando.
Aveva gli occhiali quasi attaccati alla faccia, segno che stava affrontando un momento difficile. Mentre si muoveva, le articolazioni dell'uomo scricchiolavano, col suono di una bambola di legno poco oleata.
«Problemi?» chiese Mattia, incamminandosi verso la sala da pranzo.
«Alle solite» il padre si stiracchiò, con suoni che una schiena sana non avrebbe dovuto fare «americani testoni»
«Che è successo?»
I due entrarono, prendendo posto mentre Lorena già fremeva sul piatto. Scoccò loro un'occhiataccia per il ritardo.
«Ho pubblicato un articolo su Magnete comico due mesi fa, e qualche giorno fa un tizio americano mi ha contattato, dicendo che farà uscire una pubblicazione dove smentisce totalmente il mio lavoro» suo padre si sedette pesantemente sulla sedia «tutto perché secondo lui i frammenti di Magnete sono nove e non otto. Ho provato a rispondergli che tutte le fonti attendibili ne riportano otto, che non avevo mai sentito parlare di questo nono frammento e che mi sarebbe piaciuto visionarlo»
«E non ti ha più risposto» disse Mattia, porgendo il piatto alla madre. Un sostanzioso quadrato di lasagna campeggiava al centro, quando gli tornò davanti.
«Oh no, si è divertito con tutto il dizionario degli insulti, e così ho passato una settimana a chiedere in giro chi conoscesse questo nono frammento»
«Cosa che di sicuro non troverete a tavola» disse la madre. Il suono del mestolo di legno sulla teglia a sottolineare le sue parole.
«Sì, vostro onore» risposero in coro Mattia e il padre, per poi dedicarsi alla lasagna, argomento al momento più intrigante di qualsiasi autore antico o moderno.
Dopo un poco, Lorena prese a raccontare del pranzo con la nuova ragazza. E, per quanto si sforzasse, Mattia non riusciva a non ridacchiare per come storpiava le parole giapponesi.
«Ha detto che le piace una cosa che ha a che fare con come si mettono i fiori nel vaso» disse la sorella «mi piacerebbe imparare, così nonna non si lamenterà più quando portiamo i fiori al cimitero. Si dovrebbe chiamare "icepana"»
«Tua nonna si lamenterà sempre» sbuffò la madre.
Antonio, capito si parlava della suocera, finse di concentrarsi sulla lasagna invece di annuire.
«Ikebana» fece Mattia, con la forchetta a nascondere un sorrisetto. Lorena lo folgorò con lo sguardo.
«Poi ha detto che ha praticato del "chiudo", ma non ho trovato nulla»
«Forse "kyudo"?» Mattia decise di sfidare la sorte «è il tiro con l'arco»
«Va bene, abbiamo capito, hai studiato giapponese all'università; ora la finisci di rompere le...» iniziò la sorella.
La madre tossicchiò, prima che lei potesse finire.
«Non è colpa mia se ti ostini a parlare una lingua che non sai» rispose Mattia «sei tu che rompi i...»
«Antonio, potrei avere un aiuto?» chiese Cecilia ad alta voce, per richiamare il marito che, nel frattempo, si godeva lo scambio di battute.
Dallo sguardo di Lorena, Mattia lo sapeva, si capiva benissimo che non si stesse offendendo sul serio.
E lui nemmeno voleva offenderla, ma ogni tanto qualche "volgarità", come le chiamava sua madre, scappava a tavola.
Era una cosa che la donna odiava dal profondo.
«Mattia, sebbene apprezzi la tua maniera di muoverti lungo la diafasia, ti sarei grato se potessi mantenere la tua favella nelle regioni alte di tale asse»
«Acconsento, padre» rispose lui.
Madre e figlia incrociarono le braccia.
Entrambi i loro nasi si storsero verso destra, segno di uguale indispettimento.
«Detto in modo semplice?» chiese Cecilia.
Mattia sorrise a suo padre, intento a rincorrere gli ultimi residui di sugo con un pezzo di pane.
«Filie, turpa verba sorori tuae non dica»
«Sicut dici, patre» gli rispose Mattia.
Due sopraccigli destri si inclinarono in basso.
«In italiano?» fece Lorena, la voce sibilante di irritazione e divertimento.
«Matti', non rompe' 'l cazzo a tu' sorella!» sbottò il padre, tra le risate dei due figli.
La madre, il volto rosso per la rabbia e la fatica di non ridere a sua volta, si alzò, recuperò il mestolo di legno, e lo batté sul tavolo un paio di volte.
«Sentite le vostre opinioni, in base all'articolo uno del codice civile di questa casa, voi tre laverete i piatti stasera» un altro colpo di mestolo sul tavolo «così deciso, l'udienza è tolta!»
I tre fissarono la donna alzarsi e marciare in salotto, da dove ben presto arrivò il suono della televisione.
«Bene, direi che, in quanto vostro genitore, ho diritto ad abrogarmi la pena» l'uomo sorrise, filando al sicuro sul divano prima che i due fratelli potessero ribattere.
Con uno sbuffo, Lorena si tirò su le maniche della felpa. Mattia aprì il rubinetto, per poi iniziare la ricerca del detersivo per piatti.
Uno dei misteri irrisolti della loro casa, degna di una puntata di Mistero o simili, era perché Cecilia non potesse mai riporre gli oggetti due volte nello stesso posto.
Era il motivo per cui Antonio aveva bandito la moglie dal proprio studio.
«Prova nel terzo ripiano, era lì la settimana scorsa» suggerì Lorena, intenta a scuotere dalla tovaglia le briciole di pane.
«Non c'è» rispose Mattia, sconsolato. Alla fine, il flacone fuggitivo venne individuato nel secondo sportello sotto il lavello.
Il ragazzo iniziò a lavare teglia e piatti.
«Ah, a proposito» Lorena schioccò le dita, come ricordandosi di colpo di qualcosa «ho invitato Suzune a fare un giro per Roma sabato»
«Divertitevi» disse Mattia, anche se sapeva benissimo cosa volesse la sorella.
«Penso che ci vediamo a Circo Massimo per le nove e mezza, facciamo un giro per monumenti e una lunga passeggiata per via Condotti» proseguì la ragazza, senza prestargli ascolto.
Mattia scosse la testa, aveva capito dove l'altra voleva andare a parare. E non aveva motivo per opporsi alla cosa.
«Io che c'entro?» chiese, tanto per tirarla per le lunghe.
«Mi serve un fissato in roba antica, e tanto vale portarmene dietro uno che capisce pure il giapponese» Lorena iniziò a sistemare i piatti asciutti nei ripiani.
«Chiedermelo con gentilezza no, eh?» domandò Mattia.
«Ovvio, e adesso muoviti, dobbiamo togliere a mamma il telecomando!» la sorella uscì come una furia dalla cucina, diretta al salotto.
Quando Mattia entrò, la scena era la solita da moltissimi anni a questa parte.
Suo padre, seduto in poltrona, che ridacchiava.
Lorena su un divano e sua madre sull'altro che litigavano sul programma da vedere.
Mattia si sedette sull'altra poltrona libera, scambiò uno sguardo d'intesa con suo padre, poi entrambi si misero a godersi lo spettacolo.
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