5 - Pranzo d'Assalto
Suzune non aveva ben capito cosa fosse successo.
Aveva incontrato Lorena mentre andava a nascondersi in bagno.
L'avvocata l'aveva invitata a pranzo, sebbene Suzune non ricordasse davvero le frasi che si erano scambiate, e nemmeno era così certa di aver detto di sì.
Ricordava di aver balbettato qualcosa, che Lorena le aveva detto un orario, e che poi la ragazza si era allontanata, il suono dei tacchi che si perdeva nel corridoio dell'ufficio.
Erano state due ore d'inferno, tra il ricordo della figuraccia con quel ragazzo e l'ansia per il pranzo imminente.
Ma poteva farcela, anzi, doveva farcela. Doveva pur mangiare qualcosa, e di sicuro quella ragazza non poteva essere così terrificante.
Se lo ripeté più volte, mentre prendeva dimestichezza con la strana tastiera del computer. Si era quasi calmata, quando sentì Lorena strigliare un ragazzo dell'ufficio.
Era il giovane americano presentato con lei, Clarke, e a quanto pareva aveva fatto confusione con delle carte relative ai rendiconti mensili.
Alto il doppio dell'avvocata, il poveretto cercava in ogni modo di farsi il più piccolo possibile, mentre balbettava qualcosa che si perse nel fiume in piena di Lorena.
Alla fine, dopo cinque minuti abbondanti di tortura, l'attempato segretario capo arrivò in soccorso del suo sottoposto. Clarke si lasciò guidare come un bambino preso per mano dal nonno, e Lorena rimase padrona del corridoio, sbuffante a sbattere il tacco a terra.
Suzune voleva scomparire, anche perché sembrava che tutti gli altri fossero fuori dall'ufficio. Lei era l'unica alle postazioni dei computer, e quando di colpo sentì i rintocchi di campane lontane, per poco la ragazza non balzò su dalla sedia.
La porta dell'ufficio del capo si spalancò, e la grossa mole del suo datore di lavoro marciò attraverso il corridoio, per poi sparire a velocità incredibile fuori dalla porta.
«Andiamo?» una mano fredda le si posò sulla spalla. Suzune, con la schiena che tremava, si voltò a guardare Lorena, sorridente sopra di lei.
«Osore...»*. Balbettò la ragazza, per poi mordersi in fretta la lingua. L'altra non disse nulla, si limitò a guidarla verso le scale.
Suzune si sentì come una condannata condotta al patibolo, ma non le veniva in mente nulla per sottrarsi a quella situazione.
Almeno, niente che non la facesse suonare maleducata o offensiva, o che non suonasse come una palese menzogna.
Nel disimpegno del palazzo trovarono Maria, la receptionist, che quando si accorse di loro scomparve lesta dietro l'enorme scrivania per un secondo.
Quando rifece capolino, Suzune la vide aggiustarsi i tacchi mentre aggirava il bancone della reception.
«L'hai catturata davvero». Rise la receptionist.
Come risposta, ebbe solo un velocissimo cenno del capo.
«Molto piacere» le disse Suzune, facendo un rapido inchino a Maria. «Sono Suzune Hoshino, come posso chiamarla?»
Non riuscì a trattenere del tutto un sorrisetto soddisfatto, perché si era ricordata di invertire nome e cognome. Non valeva la pena di perdere tempo con i suffissi, in fondo non era più in Giappone, e sarebbe suonato invadente forzarle a quella consuetudine.
«Sono Maria». un poco spaesata, l'altra provò a ricambiare l'inchino, col risultato che quasi incespicò nei tacchi. I suoi occhi verdi si aprirono e chiusero di scatto, a tempo con la testa castana che dondolava da un lato all'altro.
Suzune si morse un labbro per non ridere, mentre Maria ridacchiava senza ritegno.
«Okay, un altro motivo per odiare questi affari!» fece la segretaria, ritrovato l'equilibrio. Insieme, le due si avviarono verso la porta, trovando Lorena che scriveva al cellulare.
«Eccoci!» disse allegra Maria, a voce così alta che un paio di persone si girarono verso di loro.
Per un istante, Suzune fu certa che Lorena l'avrebbe sbranata come con Clarke.
Invece, l'avvocata alzò le braccia in alto, stiracchiandosi come una gatta al sole.
«Aaaaaah! Finalmente!» il volto le si rilassò, aprendosi in un sorriso sereno mentre gli occhi le iniziavano a brillare. «Fuori da quel posto! Aaaaaaah, che bello! Pancia mia fatti capanna! Dove andiamo?»
Mentre l'altra si girava intorno come una bambina in gita, Suzune faticava a tenere la bocca chiusa per la sorpresa.
Dovette sembrare davvero spaesata, perché Maria le pizzicò il fianco, e lei per poco non finì in mezzo alla strada.
«Come vedi, Lorena è una persona molto... allegra di solito» fece la receptionist. «Diventa una dittatrice solo se ha dei maschi attorno»
«Non è vero!» Lorena incrociò le braccia e mise il broncio. «Mi infervoro solo se ci sono certi maschi attorno»
Suzune non aveva ben capito cosa potesse aver fatto Clarke per meritarsi la lavata di capo, ma preferì non chiedere. Al contrario, voleva vederci chiaro su cosa trasformasse Lorena da "pacata ragazza" a "selvaggia dittatrice".
«Che intendi con "certi"?» domandò.
Maria aprì bocca, ma l'altra fu molto più lesta a rispondere. Non ne era sicura, ma Suzune pensò di vedere un vaghissimo rossore sulle sue guance.
«Il genere di ragazzi che crede di poter fare qualsiasi cosa solo perché ha la barba!» disse tutto d'un fiato, ma la receptionist fece capolino da dietro la spalla.
«Non era la barba, l'ultima volta...» stavolta il rossore dell'avvocata fu palese. «E comunque, il certo ragazzo eccetera ha un nome ben preciso...»
«Okay okay okay!» incurante dei tacchi, Lorena fece una corsa veloce fino all'angolo del marciapiede. Suzune rimase imbambolata un momento, perché una tale prodezza lei non l'avrebbe mai compiuta con quelle scarpe.
«Allora? Pizza? Panino? Non so... Suzune, ti va del sushi? Sei giapponese no, ti piace il sushi!» la ragazza balbettava, sventolandosi per scacciare il rossore.
«O kawaii koto»*. La giapponese non riuscì a trattenersi, e la receptionist continuò nel suo assalto.
«Non so che ha detto, ma sono d'accordo! O... oh, Hawaii cotto!»
Lorena finse di controllare il telefono, o meglio nascose la faccia dietro lo schermo. Quando rispose, lo fece con lo stesso sguardo di ghiaccio che aveva usato in ufficio.
«Signorine, direi di chiudere qui con questo scherzo, e decidere dove trascorrere la pausa pranzo». Solo le guance ne rivelavano l'imbarazzo appena passato.
«Va bene» fece Maria. «Basta che possa togliermi questi tacchi! Allora, sushi?»
«Certo! Basta che giri*!»
Suzune vide le due guardarla come se avesse detto qualcosa di strano. Di nuovo, l'imbarazzo si impadronì di lei, perché aveva parlato a sproposito.
Lei era appena arrivata a Roma, e non sapeva assolutamente nulla delle due nuove colleghe.
La sua richiesta poteva essere interpretata come maleducata, perché andava a forzarle a scegliere un locale che non volevano.
E se invece avessero preferito "sushi che gira"?
Che diritto aveva lei di chiedere una cosa del genere? In fondo stava facendo riferimento solo alle sue finanze, non aveva modo di sapere loro due quanto denaro avessero o quanto volessero spendere per un pranzo.
«Oh beh» disse Lorena, con una scrollata di spalle. «C'è un solo ristorante di sushi abbastanza vicino»
Seguendole a capo chino, Suzune si incamminò dietro le due ragazze. Non durò molto, perché Maria le si avvicinò e le pizzicò il fianco.
«Stiamo andando a pranzo, non a un funerale! Riprenditi, non posso prendere in giro Lorena da sola!»
«Ehi! Guarda che ti sento!» ribatté l'avvocata, con un broncio ancor più bambinesco in volto.
Il ristorante era molto diverso da come Suzune se lo aspettava, anche perché di giapponese aveva davvero poco.
Colonnine dipinte per sembrare laccate di rosso, enormi ventagli alle pareti, stampe di onde gigantesche e kanji a caso stampigliati dovunque.
Quando lesse su una parete, in sequenza, i caratteri per "cane", "tappeto" e "automobile", Suzune non trattenne un sorriso.
Senza attenderle, Maria si precipitò ad un tavolo, abbandonando le scarpe a terra e dondolando libera i piedi a mezz'aria.
In quel momento, Suzune si accorse di quanto bassa fosse la receptionist.
«Ah sì, Maria è alta un metro e tanta voglia di crescere!» al contrario, Lorena sfilò elegantemente fino al tavolo, dove si sedette con fare impeccabile.
«Secondo me... sei tu ad essere alta.» Disse Suzune. E per nascondere la faccia recuperò in fretta un menù.
«Sono solo esperta a camminare sui tacchi, tutto qui». Disse l'avvocata, sorridendo maligna alla receptionist. Per tutta risposta, quella guardò altrove.
«Davvero?» chiese Suzune, immersa nella lettura del menù. O almeno fingendo, per non controllare che tipo di scarpe indossasse l'altra.
«Oh sì! Sotto i dieci centimetri per me non è tacco!»
A quella rivelazione, Suzune per poco non spalancò la bocca. Lei aveva difficoltà con quattro centimetri, e non voleva nemmeno immaginare cosa volesse dire camminare con quasi il doppio sotto il tallone.
Certo, anche l'idea di aggiungere ben dieci centimetri al suo metro e sessantadue la intrigava, e non poco.
Quando però il pensiero dell'altezza se ne tirò dietro altri, Suzune decise di prestare davvero attenzione al menù.
Lesse. E rilesse. E, con gli occhi socchiusi, cercò di capire cosa diamine ci fosse scritto.
Alla fine si arrese, perché o i kanji avevano cambiato significato nottetempo, oppure in quel locale servivano "ravioli all'olio di rubrica".
«Oggi va così, ma la prossima volta vediamo di organizzarci» Lorena, il naso arricciato, si leccava i baffi. «e andiamo in un locale migliore»
Le fece l'occhiolino, e Suzune non poté fare a meno di sorridere.
La cameriera, una ragazza dagli occhi a mandorla che fingeva malamente un accento orientale, venne a prendere le loro ordinazioni.
«Posso chiedervi qualcosa?» provò Suzune.
Non sapeva bene cosa dire o cosa fare, quindi tanto valeva parlare di qualcosa.
«Ma certo! Non mi va di fare il gioco del silenzio!» rispose Lorena.
Ora che la guardava meglio, i suoi occhi avevano una strana sfumatura, un marrone molto vivido e caldo, quasi metallico, come due piccole lamine di bronzo.
Le sembrava di aver già visto occhi simili.
«Grazie! Allora, per questo nuovo progetto del...»
Maria le pizzicò di nuovo il fianco, e Lorena le ondeggiò un dito davanti alla faccia.
«Prima regola dei pranzi di lavoro, non si parla di lavoro». Disse l'avvocata.
«Okay!» per mettersi al sicuro, Suzune saltellò di lato con la sedia.
Anche se l'aveva proposto lei, al momento non le venivano in mente domande, tranne cose personali che molto probabilmente le due non avrebbero voluto condividere con una perfetta estranea.
«Mmm... se non ti viene in mente niente, allora possiamo chiederti qualcosa noi?» fece Lorena, stavolta con un caldo sorriso in volto.
«Per esempio, hai un...» Maria cercò di inserirsi nella conversazione, solo per ricevere un calcio dall'avvocata sotto il tavolo.
Dal momento che aveva intuito dove volesse andare a parare la receptionist, Suzune fece finta di nulla. Era decisamente un argomento da non toccare.
«Per esempio, da che parte del Giappone vieni?»
«Dalla prefettura di Aichi, da Owariasahi*». Disse lei, felice anche se un po' intimorita di essere al centro dell'attenzione.
Lorena e Maria impiegarono cinque minuti buoni a capire come pronunciare il nome della sua città. L'avvocata si arrese al quarto tentativo.
«D'accordo» la ragazza tossichiò per allontanare l'imbarazzo. «Vuoi dirci qualcosa di te? Insomma, non farmi fare un interrogatorio»
Suzune ci rifletté per un momento, mentre finalmente arrivavano i piatti. La ragazza prese le bacchette e tamburellò un momento sul piatto.
Era dai tempi delle superiori che non doveva presentarsi in quel modo, quindi andò a recuperare le vecchie memorie di quei tempi. Sperò che andasse tutto bene.
«Allora... mi chiamo Hoshino Suzune, gruppo sanguigno A*, ho una sorella e... mi piace l'ikebana, adoro il gagaku, ma mi piace molto anche Utada Hikaru, alle superiori ho praticato un po' di kyudo e... non mi viene in mente altro». Ammise, sforzandosi di sorridere mentre sentiva il volto in fiamme.
Lorena e Maria non fecero commenti, si limitarono a scambiarsi uno sguardo velocissimo.
«Sei mai stata a Roma prima?» le chiese Lorena, evidentemente le troppe parole straniere l'avevano spinta a cambiare argomento. Suzune non poteva esserne più felice.
«Mai, questa è la mia prima volta in Italia». Ammise, portandosi un rotolo di sushi alla bocca. Nonostante il nome strano, qualcosa che mischiava i kanji di "pollo" e "soffitto", il sapore era ottimo.
«Perfetto!» disse l'avvocata, litigando con le bacchette per prendere un pezzo dal piatto «allora sabato facciamo un bel giro turistico! Conosco la persona perfetta per farti vedere tutta Roma! Tempo un giorno, e conoscerai questa città come il palmo della tua mano!»
«Va bene!» di fronte a quell'entusiasmo travolgente, Suzune non poté che accettare, con un sorriso spontaneo che le si apriva in volto.
«Bene... adesso ci spieghi come usare queste cose?» disse Maria, pronta ad infilzare il contenuto del suo piatto.
Le tre risero.
L'angolo delle cose inutili
Osore: 恐れ: paura; la tentazione di farle urlare "kyaa", come in ogni manga giapponese che si rispetti, era forte, ma visto che non siamo in un manga, per stavolta ci limitiamo a questo xd
O kawaii koto: お可愛いこと: che carina; gli ultimi due simboli strani qui presenti sono stereotipati per brave signorine molto eleganti; se nessuno conosce l'origine della frase, consiglio di cercarla su Internet, perché è un meme abbastanza facile da trovare
*Sushi che gira: 回転寿司, kaiten-zushi: "sushi che gira intorno"; all'atto pratico indica quei ristoranti dove i piatti vengono serviti su un nastro trasportatore da cui i clienti possono prendere in autonomia cosa vogliono mangiare, sono assimilabili ai fast food, rispetto ai ristoranti tradizionali dove ci si siede ed ordina, anche perché sono di norma più economici. L'imbarazzo di Suzune risiede nel fatto che lei "richieda" di andare in un locale il più economico possibile, salvo poi vergognarsi perché pensa che magari le due colleghe preferirebbero qualcosa di più raffinato
Owariasahi: questa città esiste realmente, come anche la prefettura di Aichi, anche se scriverla ogni volta è un trauma
*Gruppo sanguigno A: un poco come l'oroscopo in Occidente, in Giappone si crede che il gruppo sanguigno dell'individuo ne influenzi la personalità. Nello specifico, per chi volesse saperlo, il gruppo A è caratterizzato da altruismo, sincerità, un facciata estroversa che nasconde invece un animo prettamente introverso, e infine un pessimismo molto opprimente.
Per gli altri gruppi: B indica individui ribelli, idealisti e capricciosi; AB indica persone poco emotive, razionali ma traditori seriali; O sono deboli di spirito, leader eccezionali e fortemente carismatici
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