Un felice incontro

Non aveva una rigida corazza in cui difendersi; entrò nella penombra e ne uscì da soldato valoroso, con tutti i ricordi vividi di quegli anni. Si spogliò dei suoi drammi per ottenere l'energia ed il coraggio necessari ad affrontare l'unico ostacolo che si frapponeva tra loro: la legge.

Quelli furono i primi mesi di Klaus nella Schutzstaffel. Il ragazzo prodigo di famiglia era finalmente diventato un simbolo, un motivo di orgoglio per il padre e la madre. Entrambi accaniti e membri del partito Nazionalsocialista, seguivano le idee del Fuhrer da Francoforte, la loro città e città natale del figlio. Sebbene fosse davvero giovane, era riuscito a salire tanto in alto grazie alla rigida istruzione della madre Helene ed all'allenamento assiduo che il padre Reinhard lo sottoponeva. Doveva essere perfetto ed era perfetto.

In quel momento la madre mise ben in vista una foto del figlio in divisa, egli con un'espressione tanto seria, la fotocopia del padre. Klaus, sin da bambino, aveva una folta chioma nera come suo padre; ora ch'era un ragazzo piuttosto giovane gli piaceva portare il solito taglio corto, tirando dei ciuffi all'indietro. Nonostante cercasse di sembrare sempre duro, il volto trapelava tratti morbidi, poco accentuati gli zigomi, la pelle chiara ed in sintonia con gli occhi come smeraldo, curiosi e pieni di vita, dei quali la madre poté vantarsene. "Un bellissimo ragazzo, un ventenne così determinato, avrà sicuramente tante ragazze perse di lui" Le dicevano le amiche, ogni qualvolta si trovavano in sala della casa di Helene, a bere il tè.

Ma, sinceramente, a Klaus importava poco e niente della fama. Combatté al fronte anni prima, distinguendosi come uno dei più valorosi combattenti sul campo. Il sangue freddo non gli mancava. Provò solo un senso di piacere, vedendo quanto fossero orgogliosi i suoi famigliari.
"Klaus qua, Klaus là", ogni giorno era sulla bocca di tutti e sempre in senso buono.

In quel tardo pomeriggio, stava tornando a casa dopo esser stato ad una riunione con i suoi colleghi. Era settembre ed il freddo non mancava certamente a Francoforte, così si coprì bene il collo con una sottile sciarpa che la madre gli donò per il suo ventunesimo compleanno.
Un amico lo accompagnò fino al cancello di casa e quando Klaus scese dalla macchina, vide qualcuno sulle scale d'ingresso.

«Ginevra?» Era abbastanza sorpreso di vedere sua cugina. Lei era italiana, la sorella di Reinhard aveva sposato un romagnolo e pochi anni dopo nacque la loro unica figlia. Ginevra aveva sedici anni, una lunga treccia bionda e degli abiti sempre graziosi, sempre ornati con fiori e fiocchi, che la rendevano una vera bambolina.
Ginevra era piuttosto timida, aveva incontrato Klaus per la prima volta quando aveva sei anni e si era affezionata particolarmente, sebbene si fossero visti solo una decina di volte.
Klaus era premuroso con lei, si spedivano lettere di tanto in tanto e si preoccupava per lei come se fosse suo fratello maggiore.

Ginevra sedeva sugli scalini con i gomiti sulle ginocchia e l'aria afflitta.

«Ginevra, cosa ci fai qui?» Klaus le sorrise amorevolmente e la cugina, vedendolo, balzò sulle sue gambe esili correndogli incontro.

«Klaus, Klaus! Mi sei mancato tanto!» Si nascose nel suo petto, sul punto di piangere.
«Vi siamo venuti a trovare, siamo arrivati questa mattina.» Singhiozzò la ragazza ma Klaus non capiva il perché.

«Perché piangi?»

Allora Ginevra si scostò da lui, mostrando una guancia molto rossa con dei segni evidenti di dita.

«Chi è stato?» Le accarezzò la guancia con delicatezza, dispiaciuto.

«Papà. Poco fa.» Rispose con poche sillabe e dall'aria furiosa. Klaus sapeva che i genitori di Ginevra erano severi, quasi quanto i suoi, senza contare che ella era una femmina.
«Dopo pranzo abbiamo fatto un giro a Francoforte e... Ho conosciuto un ragazzo, in piazza.»

A quel punto Klaus sorrise, sentendosi lusingato ogni qualvolta ella si confessava con lui.

«Si chiama Hans, ha diciannove anni e mi voleva offrire un gelato ma poco dopo sono arrivati papà e zio e hanno pensato male, come sempre. Papà ha pensato male come sempre.» Sbuffò sonoramente, massaggiandosi ancora la guancia sinistra.
«Così ha fatto una delle sue scenate appena tornati a casa.»

«Forza, non ti preoccupare. So com'è fatto lo zio ma fa così solo perché è preoccupato per te.» La abbracciò Klaus.
«Adesso rientriamo insieme, saluto tutti e poi possiamo parlare di tutto ciò che ti va, d'accordo?» Le propose sorridendo ancora.

«D'accordo!»

Un attimo dopo, la porta si aprì e Klaus salutò tutti i presenti in sala, con affianco la cugina.
Sua madre lo accolse con abbracci e baci, amava coccolare il suo adorato figlio -che per lei sarebbe sempre rimasto il suo bambino- e gli strizzava sempre una guancia.

«Klaus, questa mattina sono arrivati zio Emmanuele e zia Gerda dall'Italia, resteranno da noi per un tutto il fine settimana, non vedevano l'ora di salutarti.» Esclamò la donna accomodando Klaus e Ginevra su una delle morbide poltrone della sala.

«Come sei cresciuto, Klaus! Quanti anni hai adesso?» Chiese con un grande sorriso sua zia, completamente diversa dal padre: aveva i capelli castani sempre raccolti ed un paio di occhi azzurri davvero magnetici. Il biondo di Ginevra era stato ripreso dal padre che, apparte alcuni tratti somatici, non le somigliava così tanto. Il suo sguardo era quasi sempre severo, sempre rigido su lavoro e ancora lavoro, per questo andava d'accordo con Reinhard.

«Ventuno.» Rispose il ragazzo sempre sorridendo. Ora che era vicino a Ginevra, ella parve essersi calmata.

«Ho saputo che sei entrato nelle SS, complimenti, ragazzo. Il vostro fuhrer sta facendo un ottimo lavoro.» Commentò cinico Emmanuele Vittorini, con un sorriso compiaciuto sul volto.

«Avete fatto bene ad entrare in guerra, l'Italia ha un valoroso duce, mi chiedo cosa sarebbe successo senza di lui.» Reinhard bevve del vino dal suo bicchiere ed Emmanuele lo seguì. Tra i due c'era sempre quel genere di discorsi, sia l'uno che l'altro si vantavano delle risorse del proprio Paese, non capendo di essere uniti contro uno stesso rivale.

Klaus fece in tempo a sgattaiolare via da quel vociare caotico tra i due uomini, portando con sé Ginevra, entrando nello studio al piano di sopra.
La stanza presentava una ordinata scrivania in legno ed alcune tele da disegno completamente vuote, larghe forse un metro.

«Dipingete?» Chiese con curiosità Ginevra, girando su se stessa per ammirare un paio di dipinti fissati su una parete che ritraevano delle campagne al tramonto.
Ella era meravigliata da ciò.

«Mia madre è appassionata di arte; chiedile di darti delle lezioni in questi giorni, se ti va.» Propose Klaus vedendola così entusiasta.

«Mi piacerebbe molto. Klaus...» Si fermò sul posto, tornando ancora una volta imbarazzata.

«Sì?»

Ginevra si assicurò che la porta fosse del tutto chiusa ed, esitando per un po', riuscì a guardare Klaus negli occhi e confessargli sottovoce:
«Devo dirti un segreto.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top