Non penso che a te.

Era tempo di togliersi la maschera che lo accumunava alla gente per vivere così com'era, mostrando solo sé stesso. Aveva ritrovato il sorriso, tutto per merito di un angelo.

Dicembre era spesso accompagnato da un freddo vento sia al mattino che alla sera, rendendo quel luogo ancor più desolato ed invivibile. Klaus rifiutò l'invito a cena del comandante - nonché suo nuovo amico - volendo evitare la compagnia di altri uomini che avevano poco e nulla simile a lui; soprattutto quel giorno in cui agiva senza pensare, camminava a testa bassa e guardava con occhi spenti la zona, mentre la sua testa era altrove. Sapeva che l'indomani avrebbe dovuto supervisionare il campo femminile, soprattutto la cucina, così rimase al settimo cielo; s'era promesso di parlarle se l'avesse incontrata e quella volta non voleva affatto tirarsi indietro. Pensava costantemente a cosa avrebbe potuto dirle, se fosse andato bene un semplice ''ciao'' oppure spiegarle da subito cosa sentisse, sperando di essere creduto e, magari, ricambiato. L'altro lato positivo era che si sentiva meglio anche quando scriveva le lettere, dalla grafia fine e immacolata derivava la sua grinta, la sua speranza, la determinazione nel sentire qualcosa veramente, dal proprio cuore e non per mano di un altro. Aveva preso coraggio, scrivendo in una unica lettera - indirizzata solo a Ginevra - i sentimenti nascenti per una ragazza, senza specificare nulla. Adesso attendeva solo la sua risposta.

Quella sera stessa, preso da una leggera ansia, decise di preparare una cena leggera per poi concentrarsi su una ricetta di biscotti semplici che aveva preso da casa, per pura curiosità. Non aveva mai toccato i fornelli ed i primi biscotti erano venuti leggermente bruciati ma i secondi sembravano già più buoni e carini all'apparenza. Una volta che finì tutto sorrise spontaneamente, immaginando tutta la scena senza togliere alcun particolare: aveva intenzione di donare a quella dolce ragazza del cibo, dei biscotti, per farla sentire meglio, sperando acquistasse fiducia in lui col tempo. Era tanto bella che avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederla ogni singolo giorno.

Il freddo non era inusuale; nonostante lo strato spesso della divisa, tremava anche se più per altro. Si guardò intorno più volte prima di aprire la porta e tirar un sospiro di sollievo vedendo solo la giovane donna intenta nel suo lavoro, nonostante fosse stressante o stesse lì da tempo, si spostava con una particolare grazia, una bellezza pura che semplicemente lo incantava. Nel silenzio che circondava le due persone solo i passi di lui lo ruppero, con la minor prepotenza che poteva. Rimase lì come un bambino a fissarla, ammirando nuca e spalle muoversi aritmiche, per quanto l'acqua gelida del lavandino potesse uscire con un feroce getto; forse non si era accorta della sua presenza o forse sì ma preferiva mantenere la distanza.
Con sempre più insistenza egli la osservava, godendosi quei minuti di quiete insolita, fino a quando anche la donna si voltò, abbandonando per una frazione di secondo la sua postazione di lavoro, cedendo alla curiosità di comprendere cosa ci fosse di errato in quel momento. Eppure, subito dopo rivolse il capo verso il muro di fronte, sentendosi solo più in difficoltà.

«Ciao.» Si fece lui finalmente in avanti, tirando fuori il tono di voce forte ma incerto.

Tradì la sua apparenza calma, nonostante riuscisse a sorridere appena per la contentezza di quel momento. La ragazza, interdetta, esitò prima di salutare in egual modo, riprendendo immediatamente il lavoro per occupare le mani con un qualcosa. Anche in quella situazione appariva incantevole seppur impacciata, giustificata dall'avventatezza del giovane soldato. Fu proprio allora che Klaus non resistette più così le confessò il suo interesse romantico, senza troppi giri di parole.
Strinse anche i pugni sperando di non sembrarle un miserabile, un falso, giungendo al termine della confessione col cuore in gola ed un filo di voce rimasto che pareva far più rumore di un atroce urlo: «non penso che a te, Emily», curvando le sottili labbra in un semplice sorriso.

Klaus era un ragazzo buono, mai avrebbe cercato di ferire qualcuno, soprattutto se di animo dolce e innocente quanto lui se non di più. Ma Emily non gli credette. Sempre più spaventata e confusa, indietreggiò incontrando il freddo muro della cucina, buttando lo sguardo per possibili vie di fuga quando lo vide avvicinarsi fraintendendo le sue intenzioni. Klaus comprese ma preferì provarci, provarci ancora, donando quei piccoli biscotti che nascondeva nella sua tasca, senza ulteriori indugi, sentendosi grato quando lei accettò, guidata dall'istinto della fame.

Il desiderio di stringerla a sé era incontenibile, tanto che azzerò le distanze offrendole ulteriore calore, permettendo anche alla ragazza di calmare il tremolio. Un semplice e sincero abbraccio era ciò di cui entrambi avevano più bisogno, senza mai ammetterlo a voce alta.




Quella sera Klaus sedeva accanto la finestra della sala, in mano la sua solita sigaretta. La spense a metà, lasciandola fumare quel poco che le rimaneva, sopra il tavolino. Sentiva l'odore di Emily sulla sua divisa, per quel motivo ancora non l'aveva tolta. Quando lo fece - alcune ore più tardi - quasi  rimpianse e tentò di ricercarla, per la prima volta. Allora aveva ottenuto un valore unico e diverso, invogliando il giovane ad indossarla con poco più entusiasmo illudendo i colleghi con un fittizio amore verso il terzo Reich. L'amore per Emily stava colmando la sua anima e da quel giorno ne sentì una vera e propria dipendenza.



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