Mi dispiace
Si promise e ripromise più volte che niente e nessuno lo avrebbe indugiato a comportarsi come più desiderava; che niente l'avrebbe bloccato dal suo crescente redimersi per le malefatte compiute, per il tradimento verso i suoi fratelli. Voleva essere uomo, non un vigliacco. Cedette il suo posto al tormento buio aggrovigliato tempo prima, ora interdetto della reazione del ragazzo.
Quella sera Klaus aveva letto una decina di volte la lettera di risposte di sua cugina Ginevra. Con il tremolio nelle mani l'aveva aperta e scorreva agitato lo sguardo sorridendo tra le righe per aver letto della contentezza di lei, della sua approvazione e del suo supporto nei confronti del ragazzo. Sapeva di potersi fidare di Ginevra, sapeva che le sarebbe bastato un nulla per comprenderlo, come sempre riusciva a fare. Era la sua ancora che gli donava estrema sicurezza anche in mari in tempesta.
Le settimane precedenti non aveva ricevuto alcuna sua notizia ed il motivo venne stilato in fondo alla lettera, tra le parole tremanti della giovane ragazza, rammaricata per aver fatto preoccupare tanto Klaus. La pressione che la sua famiglia esercitava su di lei era maggiore, tanto che si sentiva con gli occhi puntati sulla schiena in ogni occasione: che fosse a casa o in città con amici, non aveva mai occasione di sentirsi libera, costantemente col pensiero dei suoi genitori delusi da lei e la sua irreverenza. Eppure studiava, otteneva bei voti e non mancava mai di rispetto loro, ciononostante vivere in quella casa era realmente un tormento.
Il sorriso di Klaus si affievolì poco a poco, immaginando il brutto periodo di Gineva che, con grande timore, sarebbe potuto perdurare anche per sempre, dovuto alla tirannia del popolo che aveva mutato l'animo di qualsiasi cittadino. Non importava che fosse di un altro Stato, l'Italia non se la stava cavando affatto meglio, come confessò anche lei.
Di rimando, Klaus le promise che sarebbe andato in Italia il prima possibile, ai primi giorni di vacanza ottenuti, solo per rincuorarla come meglio poteva.
Il freddo aumentò col passare del tempo e progressivamente le giornate parevano diminuire così anche i tramonti spezzarsi, chiudersi in pochi attimi, senza permettere agli uomini il privilegio di ammirarlo. La natura si ribellava a loro, come i faggi di Buchenwald che appesantivano il terreno con i loro rami caduti e il cumulo di foglie umide.
Klaus camminava a passo svelto verso i cancelli col solo obiettivo di scorgere, anche da lontano, la figura di Emily regalandogli il migliore buongiorno. Si fermò una volta entrato nell'area dedicato alle donne ed un trambusto improvviso padroneggiò la scena, facendo aumentare il battito al ragazzo. Puntò i piedi sul terreno, alla vista di Emily in lacrime, rivolta col busto in avanti come se tentasse di scappare o raggiungere qualcuno, gridando.
«No...» Corse immediatamente verso loro ma notò che subito fu Lianne a soccorrerla e proteggerla da ulteriori soprusi, permettendo a Klaus di comprendere cosa stesse accadendo in meno di un attimo. Il suo cuore palpitò in preda all'ansia nell'assistere ad una e vera propria selezione di uomini e donne, nello stesso giorno e nella stessa ora, da soldati in veste bianca che alludeva ad un camice puro e immacolato.
Piegò il viso di lato e i ricordi orribili della sua prima selezione riemersero riempiendogli lo stomaco di rimorso e rabbia da voler urlare lì in mezzo al campo. Si era ripromesso che non sarebbe dovuto accadere di fronte a lui ma doveva aspettarselo, contro mille tiranni un solo piccolo uomo.
Strizzò gli occhi per bloccare le lacrime, avanzando nuovamente verso le donne solo quando la situazione finì; venne imposto loro di dirigersi verso la baracca per consumare il primo pasto ma egli trovò ancora lì sul terreno Emily tra le braccia di Lianne e nella stessa posizione precedente. Di fronte a loro rimase un solo soldato e Klaus sperò in cuor suo che non le toccasse con un singolo dito, con la mente annebbiata dall'ira.
«Ti prego, Lianne... Andate», sentì un sussurro e notò la ragazza coi capelli corti e neri annuire lievemente per poi rivolgersi nuovamente ad Emily. Klaus non capì ma non dedicò tempo a quel particolare, soffermandosi sulle loro condizioni una volta raggiunte.
Il suo cuore si bloccò, scrutando il volto sconfitto di Emily che chiedeva solo pietà ad ogni affronto. Ella teneva lo sguardo basso, noncurante delle parole di conforto di Lianne ma allo stesso modo della presenza di Klaus e l'altro soldato, lì immobile. Aveva lo sguardo vitreo, circondato da piccoli tagli sulle guance rigate da troppe lacrime ed i suoi ciuffetti rossi si erano lasciati andare il fazzoletto che la caratterizzava, toccando il terreno umido sotto a sé. Klaus soffriva nel vederla così, tremava e non riusciva a trovare le parole più adatte che potessero sollevarle il morale o, quanto meno, scuoterla da tale episodio.
Le raccolse il fazzoletto pulendolo con la sua divisa e, tremante, lo diede indietro a Lianne. Solo allora Emily sbatté le palpebre, socchiudendo le sue labbra intenta nel dire ma incapace di esalare il minimo sussurro. Non degnò Klaus di uno sguardo, neanche quando il ragazzo provò a parlarle, a incoraggiarla a mangiare, resistere, qualunque cosa.
Si sentiva terribilmente inadatto, rammaricato, ed il tempo si fermò. I secondi trascorrevano come secoli, lo sbattere delle sue ciglia produceva un suono assordante ma quello di Emily era indispensabile per sciogliere Klaus dalla sua compostezza e renderlo di creta, pulendo i propri occhi chiari dal luccichio che segnava lei solo un velo di sofferenza doloroso per entrambi, celandone la dolcezza.
La ragazza si alzò lentamente, col capo chino, seguendo Lianne senza realmente considerando l'ambiente circostante, il freddo, lo sguardo afflitto di Klaus.
Il suo turnò durò poco e non la vide per il resto della giornata, in preda ad una costante ansia che tentava il più possibile di celare con uno sguardo fermo e impassibile.
Non sapeva cosa fosse accaduto, chi avesse perso, ma qualsiasi fosse stata la risposta Klaus non avrebbe permesso che potesse accadere un'altra singola volta. Si sentì morire nel vedere una creatura immensamente bella e fragile, immersa in un mare di lacrime, di urli che riecheggiavano nella sua mente. Silenziosamente, pianse anche lui, tra le mura di casa una volta che varcò la porta d'ingresso. Pensava tortuosamente alla scena, si colpevolizzava ancora e ancora e ancora, infinite volte sbattendo la schiena contro il muro per far sì che risuonò più violento dell'immagine impressa nella sua mente.
Era colpa sua se Emily stava soffrendo, desiderava solo portarla via.
Portarla via.
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