Corvi sui tetti

Era capace di esprimersi con eloquenza, arrotondare le parole in quelle lettere che viaggiavano per l'Europa. Espose solamente una volta la rabbia contenuta nel suo corpo ma si ripromise di non farlo, così da trascrivere solo emozioni belle, nonostante si trovasse nel mezzo di una guerra. 

Scese di fretta la sera, come se la luna temesse di sentirsi esclusa da quella piena giornata ma priva di serenità. Per tutto il giorno Klaus dovette seguire un suo collega ed assicurarsi che uomini - l'appellativo poteva adeguarsi ancora per poco a loro - costretti ai lavori forzati non fingessero o guadagnassero dei minuti di riposo ingannandoli.
In verità, per gran parte del tempo, il giovane camminò a testa china ignorando i lamenti ed i versi di quei poveracci stremati e privi di alcuna pena, ritrovandosi, poi, finalmente nella sua dimora temporanea e gustandosi un bagno caldo in completa assenza di rumori e voci.

Lasciò il corpo crogiolarsi nel tepore dell'acqua ed in superficie riemergevano le ginocchia dove egli poté poggiare i polsi ed accomodarsi meglio. Scrollò le spalle, concentrandosi sugli ultimi fatti avvenuti ai quali doveva presto rassegnarsi per farci un'abitudine.
Era passato solo un giorno, del resto, aveva collaborato poco perciò non poteva di certo tirarsi ora indietro.

La puzza sotto il naso che i colleghi avevano non lo sfiorava minimamente, durante il pranzo di quel giorno discorsi su discorsi sulla questione ebraica e sui comunisti come se non conoscessero altro ma, nonostante ciò, il ragazzo cercava ancora di memorizzare le due figure nelle cucine per capire se si fossero trattate di parenti o internate.
Avrebbe preferito ringraziare loro dell'umile pasto piuttosto che il comandante logorroico.
Avrebbe retto per poco la finta cortesia con quell'uomo che, dopo aver sputato sopra un prigioniero, se ne era andato spavaldo come se avesse meritato qualche premio; persone del genere non competevano con Klaus, non meritavano la sua simpatia né la sua approvazione, viscidi, come quasi tutti i tedeschi che aveva visto in quegli ultimi anni a Francoforte, Berlino ma anche Monaco.
"La Germania sta cambiando" aveva annunciato suo padre e Klaus era d'accordo ma riteneva in peggio.

Appena smise di asciugarsi cessarono anche le sue riflessioni, la testa gli scoppiava, così decise di prepararsi del latte caldo accompagnato da alcuni manicaretti della madre, senza indugi. Gli mancava già quella donna apprensiva ma generosa con lui soprattutto; gli aveva lasciato varie conserve deliziose ed un maglione in più per stare al caldo durante la notte, ignara della presenza di un letto matrimoniale con doppia coperta unicamente per soddisfare a pieno il soldato. Una volta allungato sul letto, sfogliò innumerevoli volte le pagine giallastre del suo tanto fidato libro, soffrendo anche di più di solitudine e incomprensione da parte del mondo esterno e le sue fatalità.



La sera della festa arrivò in breve tempo, le ore erano praticamente scorse con rapidità e Klaus uscì dai cancelli del campo al tramonto nell'esatto modo in cui vi entrò all'alba. 

Si aggiustò per bene la camicia infilandola dentro i pantaloni neri come pece che gli calzavano bene, risaltando molto la sua corporatura appena muscolosa e asciutta. Cercò di rendere presentabili anche i capelli, dopo aver sudato appena durante la giornata, alcuni ciuffi crini erano sparpagliati sulla fronte e poco sopra gli occhi, diventati più lunghi del previsto. Passò delicatamente una mano bagnata su essi per fare una prova e vedere come il suo viso risaltasse anche di più, dai lineamenti poco duri ed un paio di occhi di un verde acceso quasi innaturale, improvvisando un sorriso da una guancia all'altra che scomparve un attimo dopo. Detestava fingere, come detestava vivere per uccidere, fare del male al prossimo con armi, parole o anche senza fare nulla, da ignavo. Così, spense la luce del bagno ed uscì di casa accompagnato da Walter Hauster.

«Klaus Meier, il comandante Hauster mi ha parlato di te, sono contento che tu sia venuto.» Un uomo dalla stazza intimidatoria e lo sguardo gelido salutò il ragazzo con un sorriso all'apparenza sprezzante, accogliendolo con una mano sulla spalla e con qualche cenno del capo ad entrambi.

«Klaus, lui è il tenente Clemens Bergmann, di Monaco.» Lo presentò Hauster con un senso di fierezza e Klaus non poté far a meno di notare solo allora che l'uomo era accompagnato da un solido bastone in pioppo. 

«Purtroppo, ho subito un incidente lieve alla gamba ma dovrò rimanere qualche settimana a casa a Monaco però mi dispiaceva salutarvi tutti senza passare una bella serata assieme.» Spiegò Bergmann, schiarendosi successivamente la voce. «Klaus, ho sentito che ti sei battuto al fronte, veramente nobile, ragazzo. Sei anche abbastanza giovane, quanti anni hai?»

«Ventuno.»  Rispose lui atono.

 Scambiate altre chiacchiere di circostanza, Klaus si trovò improvvisamente solo, il comandante era circondato da amici intimi, così si accomodò ad un tavolo in disparte a mangiucchiare qualcosa finché non lo cercò un collega giovane quasi quanto lui, invitandolo a stare in gruppo appena fuori la villa. Tra quella gente, scrutò un paio di loro intenti a fumare assiduamente penetrando nelle narici di Klaus un forte odore di tabacco che gli piaceva decisamente poco. Eppure parevano tranquilli, se ne stettero per la maggior parte del tempo in silenzio, a scherzare, parlare delle loro fidanzate; discorsi da ragazzi dei quali Klaus si sentì abbastanza confortato, come se avesse ritrovato delle attività monotone e tipiche di un ragazzo qualunque, distante dalla guerra. Uno di loro gli offrì una sigaretta sotto il naso, incitando il ragazzo a farne qualche tiro visto che si dimostrava ancora piuttosto rigido se non timido.

«Grazie ma non ho mai fumato.» Scosse la testa con garbo ma il compagno non ne volle sapere così insistette, accompagnato dal resto del gruppo.

«C'è sempre una prima volta», cercò ancora di convincerlo con un sorriso beffardo osservando Klaus fisso negli occhi «cosa ti spaventa? All'inizio non è molto sopportabile il tanfo ma subito dopo diventa inebriante. A me dà liberazione, mi calma lo stress.» Convinse Klaus con l'ultima affermazione poiché sembrava avergli letto nel pensiero. 

Indugiando appena, prese in mano la sigaretta, analizzandola per bene e leggendo il nome sul pacchetto verdognolo che aveva tra le mani uno di loro: ''Eckstein n°5''. Non lo aveva mai affascinato il fumo, né tanto meno l'alcol avendo suo padre come esempio che non ammirava; però poté pensare ad un attimo di svago totale, lasciarsi andare per quell'istante scacciando dall'inconscio tutti i turbamenti e pensieri che lo stressavano, fingere di avere la situazione sotto controllo e sentirsi spensierato.

Come aveva previsto, tossì un paio di volte, ingoiando la saliva mista al fumo. Non gli era piaciuto tanto ma neanche disturbato più di quanto si fosse immaginato, ignaro che ciò sarebbe diventato il suo vizio per svariati anni, una debolezza, una sua imperfezione. 



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