Capitolo VII

- Devo domandare a Lucille d'insegnarmi questa ricetta. - contemplo il delizioso pesce sul mio piatto. Seconda portata del pranzo di oggi.

Adoro il fatto che a palazzo sia concesso ai dipendenti di mangiare le stesse portate della famiglia reale.

In tutti i miei precedenti luoghi di lavoro non era così.

Il cibo per i nobili non doveva venir "sprecato" per la servitù.

Mentalità che poneva una marcata distinzione tra lo status del personale e quello dei proprietari od ospiti. Facendo un po' sentire noi lavoratori come era un tempo, quando si era considerati più come oggetti che persone.

Qui invece è diverso.

Cosa che, in parte, fa comprendere la linea di pensiero dei sovrani.

Noi siamo dipendenti, non schiavi.

Non a caso ho visto spesso il Re e la Regina dialogare con cameriere e maggiordomi. Come più volte sono stata fermata dal Principe Jordan per brevi conversazioni.

Il tono del personale del palazzo è sempre composto ed un po' reverenziale, ma ciò è dovuto più al rispetto per i loro datori di lavoro che per qualche genere di timore.

O almeno... così è con quattro dei cinque membri della famiglia, Principessina compresa.

Perché col Principe Lionel le cose sono ben differenti.

A partire dagli sguardi che riservano al giovane.

Giovane che ora mi sta fissando con occhi piuttosto divertiti, seduto di fronte a me col suo piatto.

Intento a pranzare con me, la sua cameriera personale, per la settima volta in otto giorni.

- Sai cucinare? Non hai l'aria di una che se la cava bene ai fornelli. - le sue labbra s'incurvano, in un sorriso molto più sincero di quelli visti i primi giorni.

Un sorriso sbarazzino che gli si addice un sacco.

- Che sgarbato siete! - borbotto - Certo che so cucinare, perché me lo domandate così all'improvviso? -

- All'improvviso? Sei stata tu a discutere di cucina. Hai detto di voler imparare a preparare questo piatto. - inarca un sopracciglio, facendomi realizzare il solito.

Ancora una volta ho parlato ad alta voce.

Dando sfogo ai miei pensieri.

Che diamine.

Riuscirò mai a perdere questa malsana abitudine, presa in questo ultimo anno?

Molte volte mi sono trovata sola, in stanze assai anguste...

E priva di qualunque conforto o persona con cui confidarmi... ho cominciato a parlare ad alta voce.

Nel tentativo di darmi forza.

Il che ha pure funzionato.

Dandomi però in aggiunta un bonus non desiderato.

Ovvero queste uscite a caso di pensieri che dovrebbero restare tali.

Perché insomma... è ok finché si tratta di dialoghi sulla cucina, ma se finissi col dire cose compromettenti?

Già è capitato in passato.

Non a livelli eccessivi, ma sono finita col dire cose che era meglio tacere.

Ah... se davvero voglio tenermi stretto questo lavoro è bene mi dia una regolata.

In qualche modo.

Comunque... per ora è bene sviare il discorso.

- Non pensavo mi steste ascoltando. In ogni caso, vi ricordo che alle quindici verrà il sarto per prendervi le misure. Vostra madre desidera qualcosa di speciale, per il ballo che vi attende. - sistemo le mie posate, cercando di non sembrare troppo nervosa. Come ogni volta in cui nomino uno, od entrambi, dei suoi genitori.

La consapevolezza d'essere qua io, al posto loro, a mangiare con lui mi mette un po' in tensione.

Il Principe dovrebbe banchettare con la sua famiglia, non con me.

Eppure... quando se n'è uscito con quell'impacciata richiesta non ho potuto che accettare.

Per la prima volta mi è parso d'aver a che fare con un vero spiraglio sul Lionel che cerca di nascondere.

Dopo tante porte chiuse in faccia, ha deciso di lasciarmi avvicinare alla maniglia d'una d'esse.

Con evidente preoccupazione stampata in volto.

La stessa paura che c'era nel mio quando mi sono agitata per le parole della Marchesina Julienne.

Motivo per cui, tutt'ora, sono qua a mangiare in sua compagnia. Invece di spingerlo a forza alla sala da pranzo.

Mi sono detta "Un passo alla volta".

Oggi con me, più avanti con loro.

Dopotutto ciò è già un gran cambiamento, visto che a mutare è stato pure il suo atteggiamento.

Per quanto io ci provi lui evita ancora, come la peste, certi argomenti, ma...

Di giorno in giorno lo vedo sempre più rilassato di fronte a me.

Più onesto e meno... Principe Capriccioso.

Tanto d'aver pure cominciato, credo inconsapevolmente, a spargere in giro meno abiti.

- Lo so, tranquilla. Sarebbe divertente vederti corrermi dietro per tutto il palazzo, nel tentativo di farmi presenziare all'appuntamento col sarto, ma... dovrò rimandare tale svago ad un'altra occasione. La festa che si terrà tra tre settimane è molto importante. - il suo sguardo si perde nel nulla, per un attimo - Per questo, pure uno come il sottoscritto, vedrà di comportarsi a modo. -

Chissà a cosa pensa quando si chiude in sé, in quegli istanti.

Qualcosa mi dice che, la causa del suo comportamento, è nascosta dietro quegli sguardi e silenzi.

Potessi lo farei parlare a forza, ma... con quale coraggio?

Io per prima sto nascondendo grandi verità.

E come io ho i miei motivi, è probabile che pure lui abbia i suoi.

Però...

Sentirlo parlare in tale maniera, di se stesso, mi fa star male.

Lui ci prova a sembrare un soggetto irrecuperabile, ma basta far davvero caso al suo modo d'agire per rendersi conto del contrario.

Per tale motivo ancora oggi mi sconvolge il fatto che la sua famiglia non si sia resa conto della realtà dei fatti.

Facendo come i miei colleghi, pure i sovrani si soffermano ad osservare il primo strato. Senza andare oltre.

Ed il Principe Lionel lascia fare. Come se desiderasse proprio questo.

Come volesse venir emarginato dai suoi cari.

Ma perché qualcuno dovrebbe desiderare di venir frainteso?

Se davvero fosse il suo reale desiderio, accentuerebbe la cosa con gesti ben più eclatanti di abiti in disordine e pasti consumati in camera.

Mancherebbe a qualche importante incontro.

Sbaglierebbe di proposito alcuni incarichi.

Tratterebbe male qualcuno del personale o la sua famiglia.

Eppure... così non è.

Lui si limita a stare a distanza, lasciando ingigantire le voci.

Portandole a diventare più che semplici pettegolezzi.

Peccato solo che, con me, ciò non attacchi.

Mi sarò anche agitata, prima del nostro incontro, ma so valutare le persone da me.

Dopo aver avuto a che fare con lo zio di mio padre... col cavolo che mi faccio fregare ancora da falsi modi gentili.

Per non parlare dei miei precedenti incarichi lavorativi. Pure in alcuni d'essi ho avuto a che fare con gente che si è rivelata ben differente dall'apparenza.

E ahimé... spesso apparivano meglio di ciò che erano in effettivo.

Questo, però, non è il caso del Principe.

Decisamente.

Per tale motivo...

- Parlate come se, di norma, vi comportaste diversamente. - sollevo lo sguardo nel suo, vedendolo subito cambiare espressione.

Proprio non ci riesco a star zitta.

- Sei alle mie dipendenze da più di tre settimane ormai, ed ancora non hai capito quanto sono irrecuperabile? - puntella i gomiti sul tavolo, di proposito.

- Ma fatemi il favore. - non mi faccio intimorire - Sono qua da più di tre settimane ed ancora insistete con questa sciocca solfa? -

- Sciocca... solfa? - sbarra gli occhi, tornando inconsciamente a sedersi composto.

- Non vi costringerò a confidarvi con me riguardo vostre faccende personali, ma almeno abbiate la decenza di smetterla con questa storia. - serro le labbra dall'irritazione - Gli altri potranno pure esserci cascati, aggiungendo anche ulteriori fandonie, ma... io vi osservo ogni giorno, da vicino. Per questo gradirei non venir trattata come una stupida. Se desiderate che io non smentisca le voci su di voi... così sia, però non aspettatevi nemmeno che le alimenti. -

Lo vedo fissarmi con sorpresa, per poi chiudersi in un adorabile broncio.

Uno di quelli del tipo "Ed ora che faccio?"

- Sei una ragazza davvero impossibile. - borbotta in fine, guardandomi di sottecchi.

- Perché sono petulante o perché non riuscite a raggirarmi? - sollevo la cloche che nascondeva il dolce.

- Perché mi metti sempre in difficoltà. - sono io a restar sorpresa, a tale uscita sincera.

Che sia un altro spiraglio?

- E questa cosa... vi dà fastidio? - mi alzo per servirgli il tortino al cioccolato.

- Tantissimo e... - sbuffa - ...per nulla. -

- Non vi seguo. -

- A chi lo dici. - brontola - Ora siediti e mangia. -

- Vi domando scusa, a nessuno fa piacere mangiare in solitudine. - mi accomodo, incerta su cosa posso e non posso domandare.

Con una persona come lui bisogna andar cauti.

Ogni passo potrebbe farlo smuovere come chiudere a riccio.

- Però pranzare col tuo capo deve sembrarti strano, no? - fa virare la conversazione su di me.

- Non particolarmente. Mi dà modo d'aver a che fare con voi in questa maniera. - rispondo con onestà.

Durante i pasti l'ho notato essere un po' più scoperto.

Meno sull'attenti.

E forse è grazie a ciò se durante questi momenti riesco a parlarci più onestamente.

- E questo approccio... diretto... non ti mette in soggezione? - studia con attenzione il mio volto.

Dove vuole andare a parare?

Sta cercando di cambiare discorso?

Eppure... non penso.

È come se stesse esternando dubbi che nutriva da un po'.

- Dovrebbe? Apprezzo molto di più questo modo di fare, rispetto a quando vi atteggiate da egoista. - i suoi occhi si piantano nei miei, enigmatici.

Come stesse cercando di risolvere un rompicapo del quale non riesce nemmeno a trovare il verso dritto.

- Lo sai d'essere fuori dal comune, vero? - sono le sue parole, dopo un lungo silenzio.

- Perché dite? Ci sono persone che preferiscono aver a che fare col Principe egoista e capriccioso? - non riesco a comprendere le sue perplessità.

Chi non si sentirebbe più a suo agio col ragazzo che c'è ora di fronte a me, invece che con quello del primo giorno?

- Non mi riferivo a questo. - scuote il capo - Tu... sei diversa. È come se fossi abituata ad interagire coi nobili, molto più di come lo sono i tuoi colleghi. Hai un modo di approcciarti a me che... non avevo mai visto intraprendere da nessun altro dipendente del castello. - sorride - Devi aver avuto dei precedenti datori di lavoro molto alla mano. Pure più di come sono i miei genitori. -

Qualcosa dentro di me s'incrina, a vedere il suo dolce sorriso.

Con quale faccia tosta posso mentire, ad uno sguardo così sincero?

Per quanto io sappia di doverlo fare, sento di non volerlo, ma...

È possibile dire la verità senza fare passi falsi?

A pensarci...

Come posso pretendere di conoscerlo meglio senza farmi conoscere a mia volta?

Con quale coraggio mi intrometto nella sua vita, tenendolo a distanza dalla mia?

È come se lo stessi spingendo a dirmi che carta nasconde nella manica evitando di rivelargli non solo qual è la mia, ma pure che non è nemmeno nascosta nello stesso posto della sua.

Così non va.

Non è giusto.

Per quanto io sia spaventata delle conseguenze, non è comunque corretto comportarsi così.

- In verità... gli incarichi precedenti sono stati tutti molto più rigidi. - confesso ciò che non può mettermi a rischio smascheramento - Alcuni fin all'estremo. Con nessuno dei miei ex datori ho mai potuto interagire come faccio con voi. -

Comincio a punzecchiare nervosamente il dolce, augurandomi non mi faccia domande più scomode.

- Davvero? Quindi stai dicendo che sono io ad essere troppo morbido? - ridacchia, portando la conversazione su un piano più giocoso.

Come quando si parlava di cucina.

- Morbido? Voi siete estremamente spigoloso, Altezza. - sollevo lo sguardo nel suo, sentendomi subito più rilassata.

Questo ragazzo m'incuriosisce sempre più.

Di giorno in giorno.

Dei momenti mi esaspera, in altri mi porta a mettermi in stato d'allerta, mentre in alcuni...

Mi fa sentire completamente a mio agio.

Riuscendo pure assurdamente a farmi accantonare i miei problemi.

E la cosa più folle è che ci riesce solo cambiando tono di voce e sguardo.

In un istante tutto muta, dandomi modo di potermi rilassare come facevo un tempo.

Seduta all'ombra della grande quercia di fronte a casa mia, posto ideale per le mie letture estive.

- Spigoloso? - inarca un sopracciglio osservandomi sempre più divertito.

- In effetti direi più... pungente. - rifletto - Siete come un riccio, pieno di aculei, ma dal cuore tenero. -

Forse avrei dovuto scherzarci come probabilmente sperava, ma... non stavolta.

- Sicura di non essere confusa? Se proprio vuoi definirmi come un riccio, direi più quello delle castagne. - si accomoda sulla sedia, con aria pensierosa.

Un triste accenno di sorriso che gli contorna il viso.

- Anche quello è tenero al suo interno, perciò se preferite questo paragone per me non c'è problema. - gli sorrido.

Forse è sciocco parlare in questi termini, ma quando gli dico con schiettezza che è un bravo ragazzo che si maschera da caso umano... mi ferma sempre sul nascere.

Stavolta invece sembra procedere un attimo meno sul chi va là.

- Tenero dove? Le castagne mica sono un frutto tenero. - scuote il capo.

- A pensarci siete davvero più simile ad un riccio di castagna che all'animale. Vi comportate in maniera pungente per tenere alla larga chi vuole comprendervi, come aveste attorno a voi una serie di spine, pungiglioni ad avvertire di quanto volete che gli altri stiano lontani. E se qualcuno riesce a superare il primo strato? Si finisce davanti ad altre protezioni, altri muri dietro i quali si nasconde il vostro vero io. Un frutto tenero e prezioso. -

Il vero io di un ragazzo che mi piacerebbe conoscere meglio, ma che... ora come ora mi sta fissando con due occhi fissi ed assai sconcertati.

In un silenzio davvero indecifrabile.

È arrabbiato? Offeso?

In effetti paragonarlo ad un riccio di castagna non è molto garbato, ma è stato lui il primo ad utilizzare tale esempio specifico.

Personalmente ero partita con un paragone più carino e dolce, però sono comunque contenta di essermi espressa come desideravo.

Motivo per cui non sono intenzionata a scusarmi.

Non che lui sia in silenzio in attesa delle mie scuse, vero?

- Nessuna donna è mai riuscita a lasciarmi senza parole in questo modo. E non è nemmeno la prima volta che capita, pazzesco. - scuote il capo, in fine.

Coprendosi poi le labbra con una mano, tentando di non scoppiare in una fragorosa risata - Come si fa a rendere così serio un paragone con un riccio di castagna? -

- Avete trovato davvero così divertente il mio discorso? - non so se accodarmi al suo buon umore o ritenermi offesa per il suo atteggiamento.

- Oh, no. Affatto, le tue parole mi hanno colpito molto, ma... più penso al paragone, unito alla tua serietà... più mi viene da ridere. Solo tu potevi uscirtene con un discorso del genere. - fatica sempre più a trattenersi.

Cedendo poi, in fine, in una fragorosa e catartica risata.

Una risata che mi lascia completamente senza fiato.

Giocosa, felice, spensierata.

Una boccata d'aria fresca su quel viso che spesso si perde in pensieri dolorosi e pesanti.

Lasciandomi così, per la prima volta, di fronte al vero Principe Lionel Maxime Allard.

Anzi no... davanti al vero Lionel.

Senza filtri o muri di difesa.

Solo... Lionel.

Un semplice ragazzo di ventun'anni.

- Sai, quasi quasi potrei domandare un dolce a base di castagne, per il pranzo di domani. - si asciuga una lacrima, calmando la risata.

- Non sono di stagione, Principe. Inoltre, non trovate sarebbe una sorta di cannibalismo? - ridacchio, sentendomi inebriata dal suo umore così ottimo.

La luce nei suoi occhi è così viva, radiosa.
Meravigliosa.

In grado di donarmi allegria, solo a guardarla.

Capace di farmi desiderare di vederlo così per sempre.

Lui merita d'essere felice come ora.

Sereno.

Come quando lo vidi anni fa, prima del nostro ultimo incontro a quel ballo in maschera.

Quando ancora non era preda dei fantasmi che ora lo assillano.

Quei pensieri che chiudono a chiave il ragazzino che è davanti a me adesso, lo stesso giovane che riusciva ad essere se stesso senza peccare alcun dovere o regola del buon costume.

Il giovane che sono terribilmente intenzionata a riportare a galla.

E non solo per il tempo di un rapido pasto.

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