Il potere che ci unì

⚠️ Attenzione! Il contenuto di questo scritto presenta scene di violenza non adatte a un pubblico sensibile, pertanto si sconsiglia la lettura ai roditori non coraggiosi. ⚠️

Qui possiamo regnare sicuri, e a mio parere

Regnare è una degna ambizione, anche se all'inferno:

Meglio regnare all'inferno che servire in paradiso.

- John Milton

Francia, 1970

Spesso Asmodeo aveva sentito millantare della sconfinata bellezza di Parigi. Quel chiacchierone di Gomez Addams raccontava di quando vi si era recato con sua moglie Morticia per festeggiare la loro luna di sangue. Il 19° arrondissement, in particolare, vantava di essere un quartiere macabro, ricolmo di drogati, spacciatori e se si era fortunati, pure qualche assassino, motivo per cui la famiglia vi si recava spesso e volentieri. Tuttavia, durante la loro ultima visita, avevano soggiornato nel comune di Ivry-sur-Seine, al cimitero parigino d'Ivry, dove la figlia di Gomez e Morticia aveva eseguito un rito di resurrezione per riportare in vita un serial killer... ma non uno qualunque: era talmente spietato da aver ricevuto gli appellativi di Dottor Satana e Dottor Morte. Questo gesto sconsiderato dell'intraprendente Mercoledì era costato una delle anime dannate più nere e ghiotte degli Inferi.

Vi chiederete cosa ci fa una città come Parigi nella vita del temibile Asmodeo. La risposta è molto semplice: lui voleva conquistare quell'anima.

Mentre il crepaccio incandescente creatosi sull'asfalto si richiudeva, con il suo mantello nero come la pece, il Demone Superiore si incamminò su Avenue de Verdun deciso a scovare quel dannato che gli avrebbe fatto conquistare la fiducia di tutti gli altri demoni.

A quel tempo, non era per niente facile la sua vita. Satana era ancora al potere, seduto sul Trono di Ossa come se fosse intoccabile, tuttavia, si vociferava che avesse sviluppato una passione per l'angelo Ainikki, consumata sotto agli occhi di Lilith. Alcuni dei demoni ignoravano quel sentire, ma altri vi credevano e quale scempio! Un demone, il Re degli Inferi, che aveva sviluppato una passione per un angelo!

Asmodeo avrebbe dimostrato la sua forza, in compagnia della sua mazza chiodata, così da elevarsi a lui agli occhi di tutti. Se lo sentiva, era giunto il suo tempo.

Oh, quanto sognava a occhi aperti quel momento! L'anima fra le sue braccia, la mazza chiodata conficcata nel petto da cui sgorgava il tanto amato liquido rosso, macchiandogli il mantello. Magari, prima di tornare, sarebbe pure riuscito a farsi un bicchierino con quel sangue! Il sapore amaro di un dannato lo mandava in estasi, tanto che fu costretto a fermarsi e a rimettere l'osso della mandibola a posto. Il petto ossuto gli si gonfiò d'orgoglio nell'immaginarsi seduto sul Trono di Ossa. I guaiti dei demoni che lo acclamavano, il pianto delle anime dannate che risuonava a Pandæmonium e i latrati dei Segugi Infernali mentre la corona calava su di lui.

Picchiò la sua mazza chiodata figgendola involontariamente sull'asfalto e un piccolo crepaccio si creò sprigionando le Fiamme Infernali. Diede una rapida occhiata ai passanti, e alcuni si complimentarono per il costume con "effetti speciali".

Roditori, pensò, ancora ve la cavate, ma per poco! Quando ascenderò le vostre case tremeranno e temerete ogni giorno delle vostre vite di essere i prescelti con cui sceglierò di banchettare!

L'unica notte dell'anno in cui poteva addentrarsi nel mondo dei mortali passando inosservato, era proprio quella: Halloween. Le poche persone che giravano per le strade di quel paesino erano mascherate in maniera bizzarra: alcuni cuccioli di umano portavano vestiti con brillantini, alette e bacchetta.

Come erano cambiati i tempi! Una volta quei piccoli roditori si vestivano con maschere da mostro, sanguinolente; tentavano nella loro futile innocenza di tramutarsi in ciò di cui avevano paura. Invece, quella sera, molti cercavano di imitare Frjdha con le sue ali tempestate di Swarovski contraffatti. Erano troppo roditori per capire dove stava il vero potere, ma ad Asmodeo non importava. Una volta conquistato il trono sarebbe asceso lui stesso sulla terra calando la sua mano demoniaca un poco alla volta e spargendo su di loro solo sofferenza e dolore.

Lilith era inondata dalla marea di umani che affollavano il centro di Parigi. Con tutti i posti in cui poteva sbucare, quel piccolo corvo l'aveva fatta riemergere dai pressi della Torre Eiffel. Diversi ragazzi, con costumi simili, si scambiavano passioni infuocate sulla distesa d'erba di fronte alla costruzione.

Durante una seduta spiritica con l'unica fra i mortali che Lilith apprezzava, Morticia le aveva riferito dell'imposizione del marito, Gomez, secondo cui solo durante la notte di Halloween era possibile trovare... come lo chiamano i mortali? Amore? L'amore, sì, solo quella notte dell'anno e solo i costumi simili potevano essere predestinati.

Lei non credeva in quelle peculiarità da umani, allora, il suo cuore era raggrinzito. Aveva provato passione e desiderio per qualcuno, anni or sono, ma Lucifero le aveva causato solo sofferenza, lasciandola unicamente con promesse vane.

Non importava se una donna non poteva salire al trono da sola. Gli Inferi sarebbero stati suoi, conquistati a sciocchi di frusta inflitti a chiunque le si fosse parato davanti.

Il Champ de Mars era talmente affollato da costringe la Madre dei Demoni a sgomitare per passare. Ogni tanto, scioccava la frusta per torcere qualche caviglia ai passanti che più si avvicinavano a lei. Attraversò con facilità Avenue Joseph Bouvard e quando svoltò, finalmente scorse un accesso alla metro.

A quel punto, pur di levarsi quelle animelle di torno al più presto, avrebbe fatto qualunque cosa. A grandi falcate, spintonando crani e corpi, scese le scale. Cercò il tracciato più breve per arrivare al comune di Ivry-sur-Seine e, scavalcando ferro e acciaio sul suo cammino, giunse al binario in cui una grossa carrucola di latta le si fermò di fronte provocando rumori striduli.

Le porte si aprirono e il primo senso a deperire fu l'olfatto: il fetore di quei sudici umani le diede la nausea.

Sui sedili, diversi esseri erano intenti a svolgere le attività più disparate: un umano trasandato che toccava le corde di una chitarra di bassa fattura malamente; alcune ragazze — che mostravano più carne che vestiti — si bloccavano mostrando facce a corvo davanti ad aggeggi tecnologici che stavano sul palmo della mano. Le pose che attuavano, Lilith pensò che solo esperte ginnaste potessero eseguirle. Ricordò i suoi amati Inferi. Come si divertivano i demoni lì! Ogni giorno vi erano feste, balli, banchetti. La tavola sempre imbandita ricca di ogni sazietà: pelle di umano alla griglia invecchiata di cent'anni, brodo di sangue ribollito, lacrime di servo... al solo pensiero le veniva l'acquolina in bocca!

Un umano interruppe i suoi sogni a occhi aperti con la sua voce appestante: «Principessa, che bel costume», fece un ghigno mostrando i denti mezzi gialli e mezzi neri. «Vieni a sederti vicino a me, c'è un posto libero.»

Lilith non poteva credere alle sue orecchie. Come osava, un mortale, rivolgersi in quel modo alla sua futura Regina?

Si voltò di scatto e in un lampo raggiunse il peccatore che aveva osato proferire parola. Allungò una mano carezzandogli il viso con fare quasi materno, percependo la sua anima... purtroppo, nonostante il suo desiderio di apparire minaccioso, il suo essere era immacolato.

Era inutile ai suoi scopi, troppo puro! Sicuramente sarebbe piaciuto a quella mielosa e spocchiosa di Ainikki. Lilith, a differenza sua, cercava dissolutezza e tormento, voleva un'anima marcia e contaminata.

Con un abile gesto avvinghiò la frusta intorno al collo del giovane per poi schiacciare col suo vertiginoso tacco a spillo la coscia del malcapitato. L'uomo impallidì di colpo, per poi portarsi le mani alla gola cercando di allentare quel laccio troppo stretto. Lilith sentiva la disperazione farsi spazio nella sua mente e i suoi sudici polmoncini cercare spasmodicamente aria. Così come leggeva nei suoi occhi il grido d'aiuto che avrebbe voluto emettere se la frusta non fosse stata attorcigliata così stretta.

Sentì degli urletti isterici invadere lo stretto abitacolo; allentò la presa sul ragazzo, che ormai la stava annoiando, per capire da dove provenisse quel fastidioso suono. Le aspiranti ginnaste erano schiacciate contro i sedili e si stringevano le gambe al petto terrorizzate, ma non avevano ancora mollato quegli aggeggi infernali che ora puntavano su di lei. Lilith pensò che finalmente avessero capito cosa fosse degno di essere impresso, così fece una delle cose che le venivano meglio: ostentare la sua demoniaca bellezza.

Poggiò una mano sul fianco fissando minacciosa l'obiettivo e tirò di più la frusta per far trasparire tutta la sofferenza del ragazzo. Fece scivolare il cappuccio del suo mantello viola e una lunga cascata di capelli neri come la pece fece capolino lungo tutta la schiena, i macabri occhi infuocati creavano un sublime contrasto con la sua pelle diafana. Le grida delle ragazze aumentarono, e, mentre pensava che avrebbe fatto un meraviglioso dipinto da appendere a Pandæmonium una volta conquistato, l'altoparlante chiamò la sua fermata interrompendo il divertimento.

Quella era una sera fredda a Parigi e l'umidità si poteva fendere con la mazza chiodata. Una coltre di nebbia avvolgeva il cimitero che lasciava appena sbucare le lapidi. La luna, anch'essa avvolta dalla foschia, faceva da protagonista sul cielo.

Asmodeo era ancora perso nei suoi sogni di gloria e quasi non si accorse del macabro scempio che si stava compiendo qualche metro più avanti.

Uno straziante urlo squarciò il silenzio e pochi attimi dopo l'aria si fece elettrica. La sentiva, sentiva una dolce e tenera anima che stava abbandonando l'involucro di carne e ossa. Sapeva che il Dottor Morte sarebbe stato lì. Le anime riportate in vita dopo la morte, fanno del loro sepolcro la nuova casa. Sapeva anche che non avrebbe resistito molto prima di compiere altri goduriosi peccati. Strinse con decisione l'impugnatura della sua mazza, come per sincerarsi della sua presenza e, impaziente di usarla, allungò il passo.

Si diresse dietro a un sepolcro e il sublime aroma metallico del sangue lo investì. Scorse nel buio il suo ignaro bersaglio giocare a fare il macellaio con un corpo senza vita; inginocchiato a terra, con gli abiti in gran parte ricoperti di liquido cremisi, era in trance con un sorriso sghembo dipinto in volto.

Il grande Asmodeo si fermò un istante, assaporando fino in fondo l'assoluta dissolutezza di quell'anima nera e inquinata per poi scattare afferrandolo per il collo. Tese il braccio verso l'alto sollevando l'uomo da terra senza accusare il minimo sforzo. Poteva leggere lo sgomento della sua vittima, che si trasformò in puro terrore non appena i loro sguardi si incatenarono l'uno all'altro. Sentiva sotto le sue dita ossute il battito cardiaco accelerare, mentre l'anima che lo avrebbe portato alla gloria si dimenava invano con le gambe a penzoloni fra le sue mani.

Il demone sentì qualcosa avvinghiarsi al suo polso con uno stridente sciocco, e un poderoso strattone fece uscire l'osso del gomito dalla sede, che cadde a terra insieme alla sua vittima. Chi poteva mai osare un affronto simile?

Mentre il fuoco impetuoso della rabbia si irradiava nel suo torace vuoto, una voce precedette la rivelazione. «Mucchietto d'ossa, non osare toccare la mia preda.»

Lei, la Madre dei Demoni, imperiosa si ergeva sul tetto del sepolcro e il suo ghigno famelico le distorceva il viso di solito candido e innocente.

Come osava intromettersi?

«La tua visione, in questo istante, mi ricorda una mela con il verme, ma si dà il caso, che a me le mele non piacciano», disse voltandosi nuovamente verso la sua vittima. «Gira al largo, Lilith. Io devo cenare.»

Asmodeo si abbassò il cappuccio, mostrando le possenti corna su cui passò la mano libera, macchiando di sangue il suo tocco. Di certo non era quello del Dottor Satana, di cui sentiva il richiamo ricolmo di peccato e dissolutezza.

Lilith fece scoccare nuovamente la frusta e questa si avvinghiò alle corna di Asmodeo. Tirò con forza, costringendo il Demone a mollare la presa sulla preda appena riconquistata. L'uomo ne approfittò per tentare la fuga, urlando. Asmodeo emanò un suono gutturale, carico di rabbia, che fece tremare le lapidi, i muri e i porfidi della strada. In quel momento, approfittando della distrazione di Lilith, prese la frusta e strattonandola, fece cadere la donna che ruzzolò sbattendo contro una lapide.

Si concentrò poi sul suo bottino, che aveva tentato, invano, di nascondersi dietro ai loculi. Con un gesto della mano, alcune costole si staccarono dal suo scheletro strappando il mantello e andarono a configgersi sul muro per imprigionarlo. «Tu stai qui. Io sistemo quest'ostacolo e poi torno da te», gli sussurrò Asmodeo. L'uomo iniziò a urlare e a dimenarsi, nel vano tentativo di fuggire facendolo spazientire. «Si può sapere cosa c'è da urlare? Possibile che non possiate tacere una buona volta? Morite anche con disonore!»

Nel frattempo, Lilith si era alzata furente facendo scioccare la frusta. Un rivolo di sangue bluastro le colava dalla tempia e sotto la luce della luna non poté fare a meno di notare quanto fosse affascinante quella megera. La sua bellezza era paragonabile alla sua arroganza; in tutti gli Inferi era temuta per la sua forza e gli attacchi d'ira incontrollati, ma non da lui.

«Scheletro da quattro monete, come osi usare violenza sulla tua futura regina! Lascia stare l'anima destinata a me, o preparati a saggiare la mia ira», esclamò la Madre dei Demoni.

«Tu la mia regina?» Asmodeo si lasciò andare in una risata che risuonò per tutto il quartiere. «Una zitella rinsecchita! La mia regina! Hai la vaga idea a chi ti stai rivolgendo?»

«Certamente, a un mucchietto d'ossa. Dovrei forse temerti? Questa è la mia preda. La porterò io stessa nel Regno. Quando accadrà, non riderai più perché sarai troppo impegnato a inchinarti.»

Asmodeo, osservando l'impetuosa decisione di Lilith, capì che l'offensiva non era la tattica giusta.

Celate sul suo viso vide la determinazione e la perseveranza, era pronta a fare qualsiasi cosa per ottenere ciò che più volte le era stato promesso.

«Molto bene», sentenziò Asmodeo, dopo un momento di riflessione. «Questa preda sarà mia.»

Lilith storse il naso, ma lui, con la sua mano scricchiolante, la fermò immediatamente. «Questa preda sarà mia, proprio come il giorno della mia ascesa al Trono di Ossa lo sarai tu.»

Asmodeo allungò una mano verso quella di Lilith. Lei la tolse bruscamente, ma in un rapido gesto, lui la prese con forza chinandosi per imprimerle un bacio a fior di pelle. Quel tocco sembrò ustionare e congelare al tempo stesso la cute della donna che si guardò l'arto confusa. Un disegno stava prendendo vita nell'incavo tra pollice e indice: un teschio del colore del sangue costernato da rose rosse.

Quella volta, fu il turno di Lilith, che scoppiò in una risata tetra. «Ti stai forse prendendo gioco di me, succulento ossicino?», in un lampo i suoi occhi divennero dei carboni ardenti. «Non osare! Ti tolgo osso per osso e li uso a uno a uno come stuzzicadenti! E quando mi stuferò, se mi stuferò, darò i restanti in pasto al mio corvo! Cosa hai fatto alla mia mano?»

«Non mi sto burlando di te, ho solo suggellato la mia promessa. Da millenni la mia stirpe stringe Patti Indissolubili.», disse Asmodeo, indifferente alla furia. Si avvicinò al Dottor Morte, che seppur avesse smesso di urlare, continuava a tremare come un roditore in gabbia. «Tu hai bisogno di me. Non diverrai mai Regina degli Inferi, nessuno ti accetterà. Ma io sì e ora hai la prova che lo farò. Non posso fuggire alla promessa fatta, se lo facessi, diverrei polvere.»

Perché mai Asmodeo farebbe una cosa del genere per lei? A malapena si sopportavano. Si osservò la pelle della mano incisa in modo irreversibile, poteva fidarsi di quel cornuto scheletro?

«E poi... anch'io ho bisogno di te», la incalzò nuovamente. «Entrambi sappiamo che insieme potremmo conquistare gli Inferi e... non solo. I miei sogni vanno molto più lontano di Pandæmonium e qualcosa mi dice che nemmeno i tuoi sogni sono così limitati», Asmodeo di mise sottobraccio il Dottor Satana e si sollevò il cappuccio fino a coprire le corna. «Questa è una promessa di unione, ma che sia chiaro, tra noi non vi sarà mai nulla di romantico. Anche se indossiamo lo stesso mantello, è di colore differente e per noi le regole dei mortali non valgono.»

Prima che Lilith potesse aggiungere altro, con la mazza chiodata aprì il varco e le fiamme si sprigionarono dall'asfalto.

La Madre dei Demoni lo osservò sparire avvolto dalle lingue di fuoco, chiedendosi se quella volta qualcuno avrebbe davvero mantenuto una promessa.




Considerando che additate sempre me e la mia dolce mela con il verme come "i cattivi", sappiate che qualche cattivello lo avete anche fra voi.

Il Dottor Satana, o Dottor Morte, citato in questo racconto è un soprannome affibbiato all'assassino francese Marcel André Henri Félix Petiot. Questo piccolo roditore fu accusato di 27 omicidi e sospettato di almeno 63. Durante la Seconda Guerra mondiale, uno dei periodi più gloriosi per gli Inferi, in cui le anime non cessavano di arrivare e noi di banchettare con esse, Marcel — sotto pseudonimo di Eugène — attirava clienti nel suo studio privato, con la scusa di procurare dei documenti falsi necessari loro per partire alla volta di luoghi ancora neutrali e trovare rifugio. Lui, a quel punto, li avvelenava o li asfissiava in una sorta di camera a gas.

La sua anima era talmente nera che quando fu riportata in vita da quell'indisponente di Mercoledì Addams, ce ne stavamo ancora nutrendo!

Questa one shot è nata dall'ispirazione che ci ha fornito un piccolo roditore come voi, che sta al servizio di Gomez Addams e che ha ideato tutto ciò che sta sullo sfondo di questo scritto. Ogni roditore che ci segue, ormai, sa che nessuno più di me e della mia dolce mela con il verme poteva essere più destinato a stare insieme. Forse Gomez e Morticia, ma comunque mai quanto noi. 

Per farla breve, piccolo roditore miryel, ti ringraziamo per averci ispirati. 


Grafiche partecipazione 🎃 4SDP - Gomez 🎃

Sfida della prima settimana 03-10 ottobre 2021 di Gomez Addams (miryel)


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