Sonechka L'Impertinente
Quando quella mattina Soneshka si era seduta al tavolo per la colazione, non si era aspettata di trovare lo sguardo penetrante di suo padre ad attenderla. Di norma, Yuri Medvedev si incupiva dopo essersi riempito lo stomaco di kasha e aver ripulito la sua ciotola di legno fino a lucidarla. A quel punto, si ricordava della lunga giornata che lo attendeva nei campi e se ne andava borbottando. Se riusciva ad arraffare anche il pasto di sua moglie, c'era la possibilità che il suo umore resistesse fino al tardo pomeriggio, ma il risultato era sempre lo stesso: quando rincasava, era meglio stargli alla larga e sperare che la cena fosse pronta in breve tempo.
Tuttavia, il cipiglio duro di Yuri era già evidente e Sonechka tenne le mani strette in grembo, anche se voleva prendere il suo cucchiaio e mangiare come i suoi fratelli. Era affamata, ma sapeva cosa non fare per provocare suo padre.
Attese in silenzio, dondolando le gambe sotto al tavolo mentre l'uomo di fronte a lei la studiava. Sembrava che stesse pensando a qualcosa. Difficile a dirsi. Sonechka non credeva possibile che suo padre potesse concepire idee troppo complesse.
«Verrai al mercato con me oggi» esordì a un tratto Yuri.
Sonechka sentì l'emozione montarle in petto. A differenza dei suoi fratelli, non era mai stata al mercato di Nevrilzky. Aveva pregato i suoi genitori di portarla con loro quando vi si erano recati per vendere il grano, ma non era mai stata accontentata. Per tutta la sua vita, le uniche cose che aveva visto erano le betulle che circondavano la saklya e, se riusciva a sfuggire al controllo di sua madre, il torrente che bagnava il campo della sua famiglia.
Cos'era cambiato? I suoi genitori la reputavano abbastanza grande da permetterle di allontanarsi da casa? Si erano accorti di quanto fosse stata brava negli ultimi giorni e volevano premiarla? Decise che non le importava.
«Cosa dobbiamo comprare?» chiese, nascondendo a malapena il suo entusiasmo.
«Niente» le rispose suo padre. Il suo faccione era tetro. «Ti venderò.»
Sonechka sbatté le palpebre, schiuse le labbra. Poi, scoppiò in una fragorosa risata. Era strano che a casa Medvedev ci fosse spazio per uno scherzo ed era ancora più strano che fosse stato Yuri a fare una battuta. Di solito, era Sergej quello che ne aveva sempre una pronta, anche se veniva subito rimesso al suo posto con uno scappellato ben assestato dietro la nuca. Da quello che ne sapeva, Sonechka non aveva mai visto suo padre sorridere, il che rendeva tutto più surreale.
Quando però si rese conto di essere l'unica a ridere, si bloccò. Si guardò attorno, cercando delle espressioni divertite che rispecchiassero la sua. Non le trovò. A dire il vero, era difficile scorgere qualsiasi emozione sui volti dei suoi familiari; sua madre e i suoi fratelli tenevano le teste chine sulle loro ciotole e stavano chiaramente evitando di incrociare il suo sguardo.
Ne hanno già parlato, realizzò Sonechka. La sua gola si serrò in una morsa quasi dolorosa, e per questo riuscì a pigolare soltanto un misero: «Perché?»
La risposta di Yuri fu automatica. «Perché non c'è abbastanza cibo.»
Sonechka aggrottò la fronte. Nella ciotola mezza piena davanti a suo padre, la kasha stava smettendo di fumare. Ma c'era, così come c'era per tutti gli altri.
«Tu stai mangiando» notò.
Non vide Yuri allungarsi sul tavolo, ma sentì il grosso palmo della sua mano chiudersi attorno alla sua guancia. Sussultò, portandosi di scatto le ditina sulla pelle. Dove l'uomo l'aveva colpita, percepì il calore aumentare. Gli occhi cominciarono a pizzicarle e il labbro le tremò.
«Non osare piangere» la ammonì suo padre e Sonechka si morse la lingua, come aveva fatto tante altre volte. Delle lacrime le stavano già rigando il viso, ma trattenne i singhiozzi che minacciavano di sfuggirle. In queste occasioni, il silenzio era il suo migliore alleato. Quindi, rimase immobile sulla sedia, a testa alta e pugni stretti. Immaginò che le lepri si sentissero come lei di fronte ai lupi.
Yuri parve soddisfatto.
«Io e tua madre non possiamo permetterci di sfamare tutti in questa casa. I tuoi fratelli hanno braccia forti con cui potermi aiutare, Grigoriy sa cacciare. Ma il raccolto non è andato bene quest'anno e la stagione sta cambiando. Presto la selvaggina scarseggerà. E quei maledetti spiriti che abitano i boschi...» Suo padre si bloccò. Un luccichio sinistro attraversò il suo sguardo, ma l'uomo si riprese e tornò a parlare con un tono più controllato. «Tu sei piccola, ci sarà qualcuno che ti vorrà a un buon prezzo.»
Posso crescere e aiutarvi, pensò Sonechka. Posso imparare ad arare il campo e a tagliare la legna. Grigoriy mi insegnerà a tirare con l'arco.
Oppure, poteva aiutare sua madre in casa. La saklya era sempre sporca, poco importava quante volte Oksana Medvedeva passasse la scopa sul pavimento. I buchi nel tetto di legno avevano bisogno di essere riempiti una volta ogni tanto, e i panni di essere lavati. Quando Sonechka lo aveva chiesto, sua madre le aveva mostrato come ripulire gli animali dalle loro interiora e come usare i coltelli senza tagliarsi, anche se le aveva proibito di prenderli.
"Sei troppo piccola, Sonja" ripeteva Oksana quando Sonechka metteva il broncio, prima di spedirla a giocare con le sue bambole di paglia.
Adesso, la donna si limitava a tenere ostinatamente gli occhi puntati sul muro. Sonechka, che fino a quel momento aveva sperato in una sua reazione, capì che non stava nemmeno seguendo la conversazione. Stava pensando a qualcosa. Quando lo faceva, una piccola ruga si formava tra le sue sopracciglia. Sonechka si domandò cosa tenesse la sua mente tanto occupata da non permetterle di intervenire. Forse, stava ricordando tutte le volte in cui aveva stretto sua figlia tra le braccia, dalla prima all'ultima, avvenuta solo qualche ora prima, quando Oksana si era infilata nel letto di Sonechka e l'aveva cullata fino a farla addormentare. Sapeva cosa sarebbe accaduto anche in quel momento? Aveva pianto all'idea di separarsi dalla sua unica figlia?
O forse, stava pensando a cosa preparare per il pranzo, così da accontentare suo marito.
«Ce ne andiamo tra un'ora. Datti una sistemata» disse Yuri, riprendendo il suo cucchiaio e infilandoselo in bocca dopo averlo riempito. Era così calmo, come se la decisione presa non gli costasse nulla. In effetti, doveva essere così. Casomai, alla fine, ci avrebbe guadagnato sopra.
Sonechka non capiva perché il denaro avesse tutto questo valore per gli uomini. I suoi genitori si lamentavano sempre della sua mancanza, ma quando riuscivano a racimolarne un po' Yuri non perdeva tempo a spenderlo. Una sera, Dmitri era tornato a casa con un gruzzolo di rubli dentro a un sacchetto di cuoio: lo aveva sventolato davanti ai suoi fratelli con spavalderia mentre raccontava di come lo avesse vinto, assicurandosi che i suoi fratelli non si avvicinassero mai troppo. Incuriosita, Sonechka aveva lanciato un'occhiata al sacchetto, rimanendone subito delusa. I rubli erano solo pezzi di metallo, eppure suo fratello li aveva protetti come un'orsa con i suoi cuccioli quando Grigoriy lo aveva implorato di regalargliene uno.
Qual era il prezzo di Sonechka? Una bambina valeva più di una capra o meno?
Sentì un peso schiacciarle il petto e per un istante le mancò il respiro. Le tornò rapido, portando con sé tutti i singhiozzi che si era ricacciata in gola. Sarebbe voluta scappare da quella stanza, uscire di corsa dalla saklya e nascondersi nel bosco. Avrebbe fatto amicizia con gli spiriti e aspettato la fine dell'inverno e, magari, con lo sciogliersi della neve anche il cuore di suo padre si sarebbe scaldato abbastanza da riprenderla in casa. Se solo fosse riuscita a muovere le gambe per alzarsi... Faceva fatica a percepirle, intorpidite com'erano.
In un ultimo tentativo disperato, afferrò la manica della casacca di Sergej, seduto al suo fianco. Di rimando, il ragazzo strattonò via il braccio e si girò verso la sorella con le sopracciglia alzate, sorpreso.
«Non voglio andarmene» supplicò Sonechka.
Yuri la guardò dall'altra parte del tavolo. Mandò giù un lungo sorso di vodka, posò il bicchiere sbeccato con un tonfo e si pulì le labbra con il dorso della mano.
«Allora seppellirò il tuo corpo sotto le betulle qui vicino.»
L'uomo che l'avrebbe comprata aveva la barba lunga e striata di bianco. Quando si avvicinò a Yuri Medvedev per chiedere informazioni, Sonechka decise di non prestargli alcuna attenzione. Suo padre la fulminò con lo sguardo, perché prima di arrivare al villaggio le aveva elencato una serie di raccomandazioni su come comportarsi per fare una bella figura.
"Sii accondiscendente", le aveva ordinato alla fine di quel noioso sproloquio. Sonechka nemmeno sapeva cosa significasse essere "accondiscendente", ma aveva tirato su con il naso e incrociato le braccia al petto.
Nonostante tutte le minacce ricevute, sapeva che suo padre non avrebbe rischiato di rovinare la sua mercanzia picchiandola. Perciò, accomodata su una cassa di legno in segno di protesta, continuò a osservare la gente che andava e veniva dal mercato di Nevrilzky.
C'erano più persone di quante riuscisse a contarne: donne che indossavano pellicce lucide e costose seguite da donne che si coprivano le spalle con pesanti scialli di lana e reggevano delle borse gonfie, mercanti che trattavano con i loro clienti e clienti che litigavano con i mercanti quando non raggiungevano un buon accordo. Dei bambini si rincorrevano tra la folla, lasciando svolazzare dei nastri colorati in aria e ridendo spensierati.
Sonechka sentì gli occhi bruciare d'invidia. Cosa la rendeva diversa da loro? Perché non le era permesso avere un nastro o infastidire i suoi coetanei dimostrando di essere la più veloce del gruppo? La risposta era semplice, anche se non le dava alcuna gioia: non c'erano altri bambini come lei, in attesa di essere acquistati come un pezzo di carne – non c'erano dei padri che, come il suo, si sfregavano le mani quando intercettavano gli occhi curiosi dei passanti.
Per distrarsi, Sonechka cercò di prevedere dove sarebbero finiti i rivoli di sangue che scorrevano sulla terra dal banco del macellaio lì vicino e poi, annoiata, provò a indovinare da dove venisse la puzza che aleggiava per il mercato. Involontariamente, il suo sguardo cadde di nuovo sullo sconosciuto, impegnato in una fitta conversazione con Yuri.
Si era fatto avanti proprio quando Sonechka si era convinta che tra tutta la merce esposta lei fosse quella meno interessante. Oltre a suo padre, ai suoi fratelli e qualche visitatore occasionale, Sonechka non aveva incontrato altri uomini e il nuovo arrivato non le sembrava un granché. Era più alto di Yuri Medvedev e meno robusto, più allampanato e meno burbero. Il suo naso era adunco e occupava gran parte del suo viso smunto e allungato, e i suoi occhi scuri spiccavano come bottoni da sotto le sopracciglia folte. Dava l'impressione di non aver mai imparato come si camminasse nel modo corretto: i suoi passi erano lenti e larghi e, nonostante avesse raggiunto il carretto con poche falcate, fino all'ultimo momento Sonechka aveva creduto che le sue gambette non avrebbero retto il peso del resto del corpo e si sarebbero spezzate.
Peccato, aveva pensato a labbra strette quando, invece, l'uomo si era fermato di fronte a Yuri. Nervoso, le aveva sorriso da sotto la barba prima di rivolgersi a suo padre.
«Quanti anni ha?» stava chiedendo ora. Sonechka rimase sorpresa dalla sua voce: era profonda, quasi melodiosa. Se l'avesse sentita in una stanza buia, non l'avrebbe associata allo sconosciuto. Era la voce di qualcuno che avrebbe potuto raccontare delle storie fantastiche, quella di un bel principe che cantava per la sua innamorata.
Sonechka rabbrividì e si augurò che quell'uomo non volesse cantare per lei.
Yuri aggrottò la fronte. Se la grattò e poi il suo viso si illuminò. «Otto.»
«È giovane» borbottò lo sconosciuto, lisciandosi la barba con una mano. Sonechka si rallegrò nell'avvertire la sua titubanza e se lo immaginò mentre si allontanava con fare traballante, passando dal carretto di Yuri al bancone del pesce. Non avrebbe portato una ragazza a casa, ma perlomeno avrebbe avuto un'ottima cena.
Tuttavia, suo padre fu rapido a dissipare i dubbi del cliente. «Quando sarà matura, diventerà una moglie graziosa e vi darà molti figli, moy gospodin. Se la prendete ora, avrete modo di educarla come più vi compiace.»
Questo sembrò risolvere la questione. L'uomo annuì un paio di volte contento, strinse la mano di Yuri e Sonechka scoprì che la sua voglia di piangere non si era esaurita a colazione. Voleva alzarsi dalla cassa e schiaffeggiare entrambi gli uomini, battere i piedi a terra e gridare e chiamare la mamma, anche se non sarebbe accorsa in suo aiuto. Non lo aveva fatto quella mattina, non lo aveva fatto quando il marito aveva caricato la figlia sul carretto ed era partito. Aveva assistito a entrambe le scene a testa bassa e braccia conserte, come per proteggersi. Se Oksana fosse stata al mercato, non sarebbe cambiato niente. Sonechka doveva essere una bambina molto stupida per desiderare comunque la sua presenza. Voleva le sue rassicurazioni e voleva un suo abbraccio.
Più di tutto, voleva vomitare. Il sapore acido della bile le invase la bocca quando Yuri allungò una mano per afferrare le monete opache che lo sconosciuto gli stava porgendo. Sonechka non aveva mangiato quel giorno, ma si preparò a svuotare qualunque cosa contenesse il suo stomaco sugli stivali dei due uomini.
«Quanto vuoi per la bambina?»
Yuri si girò di scatto e l'altro uomo saltò sul posto; dietro di loro, si stagliava la figura di una donna. Sonechka ingoiò un groppo di saliva.
Una zarina, pensò meravigliata, strabuzzando gli occhi. Ma zar e zarine appartenevano alle fiabe, non a Nevrilzky, e la donna che stava guardando era molto reale.
Indossava un copricapo decorato con perle e pietre preziose, dal quale pendeva un velo bianco che le teneva nascosti i capelli. Il sarafan che le fasciava il corpo era di broccato nero, con motivi floreali rossi e dorati ad abbellirlo. Il suo viso era ovale, il suo naso appuntito e i suoi occhi chiari vigili come quelli di un falco. Tra Yuri e lo sconosciuto sembrava quasi piccola, ma con la schiena dritta e il mento alto era chiaro che la cosa non la preoccupasse.
Yuri Medvedev si profuse in un inchino tanto profondo che, dopo essersi rialzato, il suo faccione divenne rosso per lo sforzo. Sonechka piegò la testa di lato. Non aveva mai visto suo padre così mite, come un cane che si mette a sedere quando il padrone glielo ordina.
«Moya gospozha» salutò Yuri, remissivo. «Perdonatemi, ero già in trattativa con questo signore.»
«Ora sei in trattativa con me» ribatté la donna, senza degnare l'altro cliente di uno sguardo. «Quanto ti è stato offerto?»
Yuri si irrigidì. In un attimo, la sua cordialità scomparve, sostituita dal sospetto. «Venti rubli. Un prezzo eccellente.»
La donna lo squadrò da capo a piedi. Le sue labbra assunsero una piega severa mentre infilava una mano guantata in una tasca del sarafan. Ne estrasse un sacchetto di velluto, che scosse leggermente. Il tintinnio metallico che produsse era inconfondibile e catturò subito l'attenzione di Yuri.
«Te ne darò cento» promise la donna. Non attese una risposta e lanciò l'involucro a terra, in mezzo al fango. Sonechka guardò suo padre inginocchiarsi con una velocità di cui non lo credeva capace e pulire il velluto sui suoi pantaloni logori. In quella posizione, era impossibile pensare che fosse lo stesso uomo che dettava legge a suon di sberle in casa sua.
«Lei è troppo generosa, moya gosp-» Yuri venne interrotto da un gesto secco della mano della donna.
«Quaranta rubli per la bambina, sessanta per non farti più vedere» precisò la signora. Solo allora scoccò un'occhiataccia alla sua destra, verso l'uomo allampanato con la barba. Sorrise arcigna, con i denti scoperti come quelli di una faina in un pollaio, e aggiunse: «O speri che questo miserabile possa fare di meglio?»
Il diretto interessato boccheggiò e le sue guance si tinsero di un tenue rossore. Mormorò un insulto a denti stretti e si dileguò trafilato dopo essere inciampato su Yuri, che nel frattempo era rimasto inginocchiato, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati; Sonechka non doveva avere un'espressione troppo diversa dalla sua.
Una strana eccitazione le attraversò il corpo non appena la signora avanzò verso di lei a passo sicuro. L'orlo della sua gonna e i suoi stivali in feltro si sporcarono con il fango quando scavalcò noncurante il signor Medvedev, e uno sprazzo di luce filtrata dalle nuvole le illuminò il copricapo e le gemme che lo adornavano.
Forse non era una zarina, ma di certo non le serviva un titolo per somigliarne a una.
«Vieni, cara» disse. Tese una mano a Sonechka per farla alzare dalla cassetta di legno e scendere dal carretto. Sopra ai suoi guanti spiccavano degli anelli enormi dall'aspetto costoso. Ne sarebbe bastato uno per comprare metà dei banconi del mercato. «Hai un nome?»
Sonechka accettò il suo aiuto senza alcuna esitazione e balzò a terra. Quando le sue dita si chiusero attorno a quelle della donna, la stretta era salda. «Sonechka.»
La donna ripeté il suo nome un paio di volte, come a saggiarne la consistenza con la sua voce calda e rassicurante. «Io sono Olga. Da oggi sarai una mia Pupilla, va bene?»
Sonechka annuì, confusa. Decise che per Olga sarebbe stata una Pupilla, un Braccio o un Dito. Aveva la sensazione che non sarebbe riuscita a negare nulla a quella donna, non dopo che l'aveva salvata dalle grinfie dell'uomo con la barba lunga. Aveva un debito nei suoi confronti e, se c'era qualcosa che i suoi fratelli le avevano insegnato quando si scambiavano un favore, era che i debiti andavano sempre ripagati.
Si fece condurre verso la piazza del mercato, ma prima di sparire tra la folla Olga si parò davanti a Yuri. Dopo essersi rimesso in piedi, si era concentrato del tutto sul sacchetto di rubli. Lo teneva in mano con una delicatezza inusuale, una che non riservava alle persone. Non aveva mai accarezzato la guancia di sua moglie con la stessa dolcezza e di certo non aveva mai rivolto ai suoi figli delle occhiate tanto adoranti.
Sonechka si vergognò per la tristezza che provava: suo padre non se la meritava. Per lei il valore del denaro era ancora un mistero, ma l'uomo ne aveva trovato uno: la vita. Se ne avesse avuto l'occasione, Yuri avrebbe venduto tutti i suoi figli al mercato. In fin dei conti, Oksana avrebbe potuto dargliene altri e in questo modo il suo stomaco sarebbe stato sempre pieno.
È cattivo, pensò Sonechka per tirarsi su di morale, ma l'attimo dopo si stropicciò gli occhi. È il mio papà.
Era ancora in tempo per convincerlo a cambiare idea? Se si fosse aggrappata alle sue ginocchia, sarebbe stata presa in braccio o schiacciata come un insetto fastidioso?
Olga si allungò verso Yuri e le sue labbra arrivarono a sfiorargli un orecchio. Sonechka era abbastanza vicina da udirla sussurrare: «Se dovessi rimettere piede a Nevrilzky, ti offrirò il cappio o il fucile. E ti prometto che nessuna delle due opzioni sarà piacevole.»
La rabbia accese il volto del signor Medvedev e Sonechka si tenne pronta a vederlo lanciarsi su Olga. Incredibilmente, suo padre non si mosse. Il suo corpo tremò per lo sforzo di rimanere fermo, ma non si schiodò dal suo posto. Sbuffò e quando Olga, per nulla intimorita, gli sistemò una piega sulla camicia ingiallita, la lasciò fare.
Yuri Medvedev strinse le mani in due pugni, ma non osò attaccare Olga quando la donna gli diede le spalle e si portò via sua figlia.
Fu l'ultima immagine che Sonechka ebbe di suo padre. Sembrava appropriata. L'uomo che aveva imparato a temere ancor prima di amare – lo stesso che si era liberato di lei come si fa con una bestia da macello e che presto si sarebbe dimenticato della sua esistenza – aveva trovato qualcuno a cui non importava quanto fosse grande e pericoloso. In fin dei conti, anche i tori potevano essere domati.
Per mantenere il passo con Olga, Sonechka sgambettò al suo fianco. Le loro dita erano rimaste intrecciate per tutto il tempo, e la bambina aveva cominciato a sentire gli anelli della donna morderle la pelle. Sonechka non allentò la presa: per qualche strana ragione, quel piccolo fastidio la tranquillizzava.
Impegnata a guardare Olga di sottecchi, si rese conto con qualche secondo di ritardo che non erano più sole. Nella calca del mercato, altre due ragazze le avevano raggiunte. Una aveva i capelli bruni e l'aria di chi fosse pronto a saltare sull'attenti in qualsiasi momento; l'altra era bionda ed era così bella che sembrava sprecata per il mercato di Nevrilzky. Potevano essere saltate fuori dal nulla, ma da come non sembravano turbate dalla presenza di Sonechka significava che avessero quantomeno assistito allo scambio.
«Hai fame?» chiese a un tratto Olga.
«Sì» rispose Sonechka. Come a voler rafforzare il concetto, il suo stomaco brontolò.
Olga represse in malo modo un sorriso. «Qual è il tuo piatto preferito?»
Sonechka scrollò le spalle. In tutta onestà, non aveva assaggiato molti cibi diversi dalla kasha di sua madre, quindi non ne aveva uno preferito, ma uno a cui era abituata. Una volta aveva provato un boccone di lepre, ma Sergej aveva cotto troppo la carne e ora Sonechka ricordava solo quanto fosse immangiabile.
Olga la osservò dall'alto.
«Lo scopriremo.»
«Perché il sole e la luna non sono insieme nel cielo?» chiese Sonechka, dondolando avanti e indietro i piedi mentre era sdraiata sul letto.
«Perché uno rischiara il giorno e l'altra illumina la notte» le ripose Amaliya, assente. Tutta la sua concentrazione era rivolta all'elaborata acconciatura con cui stava intrecciando i capelli dorati di Galina. Quest'ultima, invece, era intenta a rammendare uno strappo su una delle gonne della Madrina. Erano entrambe sedute sul pavimento e lavoravano alla luce delle candele. Era pomeriggio, ma il periodo dell'anno in cui il buio calava prima su Nevrilsky era arrivato, portando con sé il freddo dell'inverno e il calore dei camini. Fuori dall'izba, i rami spogli degli alberi risaltavano appena su uno sfondo nero.
Sonechka si rigirò sul materasso e le coperte sfatte le avvilupparono le gambe. Giocherellò con le punte dei suoi capelli corti: li aveva tagliati di recente, a seguito di uno spiacevole incidente con un intruglio che avrebbe dovuto ammorbidirli, non farli cadere. Adesso, le ciocche castane le sfioravano a malapena le spalle. La Madrina si era raccomandata di prendersene cura e farli ricrescere, ma Sonechka non era sicura di voler seguire il suo consiglio. Le piaceva la libertà che quel nuovo taglio le dava: se non fosse stato per le sue sorelle, avrebbe persino smesso di pettinarsi.
«Non si sentiranno soli?»
«Ma chi?»
«Il sole e la luna.»
Amaliya replicò senza guardarla. «La luna ha le stelle. Il sole ha noi.»
«La luna è circondata dalla stelle. E noi amiamo il sole fino a quando non brucia la terra o è coperto dalle nuvole» ribatté Sonechka. Fissò il soffitto, poi piegò la testa all'indietro e studiò il profilo al contrario dell'altra Pupilla. «Non credi sia triste?»
«Sono dei pianeti, Sonusha, non provano tristezza» disse Amaliya, fissando una treccia in cima alla testa di Galina con una forcina. Il suo tono di voce, pur mantenendo l'usuale pacatezza, suggerì che per la ragazza la conversazione si fosse conclusa.
Soneshka attese qualche secondo. Si concentrò sul fruscio prodotto dalle vesti delle compagne a ogni loro movimento. Infine domandò: «Te l'hanno detto loro?»
Amaliya sospirò estenuata e Galina si abbandonò a una delle sue risatine acute. Più che una risata, sembrava il verso di un maialino. Probabilmente era l'unica caratteristica sgraziata della Pupilla. Galina non la usava mai quando la Madrina era nei paraggi e, le poche volte in cui lo aveva fatto, Olga non aveva perso l'opportunità di mostrare il suo disappunto. Per cui, la vera risata di Galina era riservata alle sue sorelle e alla sicurezza della loro camere, e Sonechka credeva che fosse uno dei suoi tesori più preziosi, insieme alla pazienza di Amaliya. Erano cose che nessuno sarebbe stato in grado di portarle via, perché erano impresse nella sua memoria come delle cicatrici.
Sonechka gettò la spugna, chiuse gli occhi e si rilassò.
Stesa sul morbido letto che condivideva con le altre Pupille, era facile dimenticarsi una vita prima di quella. Le sembrava di aver sempre vissuto nell'izba e che i ricordi nella saklya fossero gli stralci di un sogno lungo e grigio.
Eppure, qualche volta si concedeva di pensare a quelle persone che un tempo avevano composto la sua famiglia. Si era chiesta che fine avessero fatto Sergej, Dmitri e Grigoriy, se Oksana passasse ancora le sue giornate a pulire gli anfratti più nascosti della sua casa. Non si soffermava mai troppo su Yuri. Quando lo faceva, le bastava ricordare la sua furia dopo l'incontro con la Madrina e si sentiva subito appagata.
La piaceva fingere di non essere mai stata Sonechka Medvedeva e di essere nata Sonechka Krasnova. Era una bugia che spesso scambiava per verità.
I primi periodi nell'izba non erano stati semplici. Sebbene tutti l'avessero accolta con il dovuto rispetto, Sonechka aveva impiegato qualche giorno per abbassare la guardia e smetterla di aggirarsi cauta nei corridoi, timorosa che al primo sbaglio sarebbe stata sbattuta fuori dalla porta. Sapere che le altre Pupille soppesassero ogni sua mossa, non aveva contribuito a farla sentire a suo agio.
Era stata Olga a guadagnarsi la sua fiducia, passo dopo passo, partendo dal rivelarle la ricetta dei syrniki alla marmellata di lamponi. Avevano preparato i dolci insieme, li avevano mangiati nell'ampia cucina dell'izba e Sonechka aveva decretato che quello sarebbe stato il suo piatto preferito – crescendo, lo aveva sostituito con la soljanka, ma i syrniki avrebbero sempre conservato un posto speciale nel suo cuore.
Successivamente, Olga le aveva fatto commissionare dei vestiti su misura. Sonechka non aveva trattenuto l'emozione quando aveva indossato il suo primo sarafan e dato fuoco alla sua vecchia casacca di juta. Ricordava di aver provato un moto d'orgoglio nel notare come le decorazioni della sua gonna si abbinassero a quelle della donna; quel sentimento si era rafforzato quando Amaliya e Galina le avevano regalato dei fiocchi uguali a quelli che tenevano appuntati sulle maniche. C'era voluto quel piccolo gesto per sciogliere il ghiaccio tra di loro.
Olga le aveva permesso di dormire con lei le prime settimane, e non si era arrabbiata quando Sonechka aveva bagnato il letto dopo un incubo. L'aveva tenuta stretta a sé e le aveva sussurrato storie di spiriti, ragazze coraggiose e veggenti all'orecchio.
"La mia dolce bambina", l'aveva chiamata, e Sonechka si era addormentata con le lacrime agli occhi.
Olga le aveva insegnato ad avere il portamento di una ragazza degna del suo rango, a consumare i suoi pasti con calma e a non ingozzarsi. Le aveva insegnato a leggere e scrivere. Forse era la cosa per cui Sonechka le era più grata. Olga l'aveva supervisionata mentre ricopiava su un quadernino le lettere dell'alfabeto, l'aveva corretta quando dimenticava di mettere le doppie e le virgole, le aveva spiegato come dare la giusta intonazione alle parole per rendere orecchiabile una lettura ad alta voce. Se durante le lezioni iniziali era stata indulgente, Olga non si era risparmiata di bacchettarla sulle nocche con una verga o di scuotere la testa con rassegnazione quando a Sonechka capitava di commettere lo stesso errore più di una volta.
Quelle punizioni erano state dure da digerire; deludere in qualsiasi modo la Madrina era paragonabile al peggiore dei fallimenti e Sonechka aveva fatto di tutto per dimostrare di essere brava e di meritarsi il suo ruolo di Pupilla. Fortunatamente, se poteva vantarsi di una qualità, era quella dell'imparare in fretta. Nel giro di poco tempo era stata in grado di ripetere a memoria poesie e leggere libri di ogni lunghezza. Aveva rinunciato al sonno per perfezionare la sua scrittura e a forza di impugnare il pennino un callo si era formato sul dito medio della sua mano destra.
Da allora, era stato come se una diga si fosse rotta. Sonechka non ne aveva mai abbastanza dei complimenti di Olga. Ne era affamata. C'erano giorni in cui non riusciva a pensare ad altro. Dal momento in cui aveva fiutato le aspettative che la donna nutriva nei suoi confronti, le aveva braccate come un cane da caccia. Sonechka amava Olga come si ama una madre – di più di quanto si ami una madre, perché il modo in cui amava Olga non era lo stesso con cui aveva amato Oksana.
Per questo, i suoi rimproveri le facevano male come un calcio agli stinchi. La Krasnova non aveva mai alzato le mani con lei, a differenza di quanto accadeva con Amaliya e Galina. Non ne aveva alcun bisogno. Le bastava far calare sul suo viso un velo di scontento e a Sonechka tornavano in mente i giorni nella saklya e i suoi tentativi di non provocare l'ira di Yuri o a quelli di affievolirla.
Per Sonechka, Olga era un dio. Le aveva dato tutto quello che possedeva, chiedendo in cambio solo la sua fedeltà. Le aveva promesso protezione e gliel'aveva data sotto forma di un pasto sempre caldo, di un letto pulito, di una libreria dalla quale attingere a testi nuovi e antichi. Era misericordiosa e terribile. Era la donna che raccoglieva ragazze dalla strada e spogliava le serve di tutti i loro averi se le sorprendeva a rubare. Era la mano che aveva gonfiato l'occhio di Galina e aggiustato il colletto di Amaliya, che aveva scheggiato un dente ad Amaliya e rassettato la gonna preferita di Galina.
Era la Madrina, e finché Sonechka fosse rimasta nelle sue grazie tutto sarebbe andato bene.
Sonechka riaprì gli occhi quando una domestica bussò alla porta della stanza e si affacciò per annunciare la cena. La Pupilla si mise a sedere sul bordo del letto e si scambiò un'occhiata con le sue sorelle.
Ogni traccia di serenità era scomparsa dai loro volti.
Il problema dell'avere quindici anni era che, per ogni osservazione corretta, il merito non veniva dato a Sonechka ma alla sua presunta impertinenza. A quanto pareva, ce n'era una quantità spropositata nel suo corpo e lei, per quanto le trovasse esagerate, non se la sentiva di smentire le voci. Supponeva che nel corso degli anni si fosse fatta più audace e non tutti tolleravano i suoi atteggiamenti. Il più delle volte, la Madrina li trovava divertenti, ma ultimamente la sua pazienza sembrava essersi assottigliata. Sonechka non sapeva quanto ancora potesse tirare la corda prima di spezzarla; ne sentiva i fili sfilacciarsi sotto i palmi della mani, uno a uno. Tuttavia, fino a quando Olga avesse approvato la sua sagacia, la Pupilla non avrebbe smesso di approfittarne.
Andava fiera di come avesse fatto tesoro delle sue lezioni. Se ne sarebbe dovuta vergognare, soprattutto essendo a conoscenza di quello che Amaliya e Galina subivano per molto meno di qualche battuta insolente. Era stata al loro posto e poteva dire quanto una sberla fosse dolorosa se colpiva i punti giunti. Eppure, non poteva fare a meno di godere di quel silenzioso privilegio che Olga le aveva elargito.
Qualche volta, aveva la sensazione che la Madrina si stesse muovendo in una specifica direzione con le sue concessioni, ma era un mistero che poteva attendere di essere svelato. Ce n'erano altri che richiedevano l'attenzione di Sonechka, come il perché gli spiriti di Nevrilzky continuassero a rubarle le calze.
Amaliya non era dello stesso avviso.
«Non essere un'incosciente» la mise in guardia un giorno. Eccetto loro due, la cucina era vuota. Le due Pupille avevano ordinato alla servitù di sgomberarla, cosicché potessero preparare la sorpresa per il compleanno di Galina. «Ti sta mettendo alla prova.»
«Mi conosce da anni ormai, si fida di me» brontolò Sonechka, affondando il mignolo nel ripieno di verdure e infilandoselo in bocca per assaggiare l'impasto.
Amaliya si pulì le mani sporche di sangue sul grembiule e la indicò con la punta della mannaia che stava utilizzando per tagliare il costato di un agnello. «Sta giocando con te come il gatto con il topo. Sei talmente accecata dalla devozione da non rendertene conto.»
«Non lo farebbe mai! Ci vuole bene!» le urlò contro Sonechka. Odiava quando la gente sparlava della Madrina e le sembrava surreale che fosse Amaliya a farlo. «Lo dici solo perché sei gelosa.»
La Pupilla più anziana scosse la testa, sconsolata.
«Oh, Sonusha» mormorò.
«Che c'è?»
La risposta che ottenne fu il tonfo della mannaia che si abbatté sulle ossa dell'agnello.
Le persone pensavano che Sonechka fosse intelligente per la sua età – il troppo era sempre sottinteso. Ma Sonechka era intelligente solo perché faceva domande e pretendeva delle risposte. Il fatto che Amaliya si rifiutasse di dargliene una la fece infuriare. Chi si credeva di essere? La Verifera con i suoi enigmi e vaneggiamenti? Aveva lo stesso comportamento di tutti quegli adulti che, a un certo punto, si stancavano di mettere in dubbio ciò che credevano di sapere e davano tutto per scontato.
"È così che va la vita" dicevano se qualcosa li turbava, senza capire che se la vita va in un modo è perché non si vuole cambiarla.
Sonechka si mise a pelare le patate, imbronciata. Se non altro, la sorpresa per Galina sarebbe stata un successo e questo pensiero attenuò la sua rabbia, fino a quando non segregò il discorso aperto con Amaliya in un angolino remoto della sua mente.
Continuò a passare le sue giornate come aveva fatto negli ultimi anni, con il naso infilato tra le pagine di un libro e i suoi quesiti rivolti a chiunque le capitasse a tiro. Ne sottopose un paio anche alla Madrina, ma solo quando la donna le sembrò di buon umore.
Quando Olga non era predisposta, toccava agli altri abitanti dell'izba essere tempestati dalla sua curiosità. Sonechka trascorse così tante ore in compagnia della cuoca che, presa dallo sfinimento, una mattina la vecchia signora le proibì di assisterla in cucina. Le disse di aver bisogno di far riposare la testa, lasciando intendere che Sonechka avrebbe dovuto fare altrettanto. La Pupilla ignorò il suo consiglio, e il giardiniere si trasformò nella sua nuova forma di intrattenimento. Lo stesso accadde con il garzone del fornaio, che ogni due giorni consegnava il pane fresco a casa Krasnova e che, pur di evitarla, aveva iniziato a presentarsi negli orari in cui di solito Sonechka era impegnata con i suoi studi. Se disgraziatamente la incontrava, il ragazzo si sbrigava a terminare le sue commissioni e a cambiare strada.
Era una reazione a dir poco esagerata: durante il loro primo incontro, Sonechka gli aveva solo chiesto se per lui la realtà esistesse in funzione dell'uomo o viceversa. Non c'era bisogno di essere così drammatici. Gli sarebbe bastato ammettere di non avere una risposta o di non volerne trovare una. Sonechka lo avrebbe accettato, ma lo avrebbe considerato anche molto stupido per non essersi sforzato di ragionare.
Pensare era l'azione più nobile che una persona potesse compiere. Le società funzionavano grazie a essa e collassavano per la sua mancanza. Gli uomini si tramutavano in creature odiose quando non pensavano. Diventavano tutti Yuri Medvedev, teste vuote mosse da un desiderio semplice, che non appagava la mente ma il corpo, e Sonechka aveva sperimentato sulla sua pelle cosa fossero capaci di fare.
Giurò che non sarebbe mai caduta tanto in basso. Si sarebbe riempita la testa fino a farla strabordare, anche se non era un lavoro sempre gradevole.
Dunque era un bene che, quando la Madrina non le chiamava per dormire insieme, le Pupille dividessero lo stesso letto. Alcune notti, Sonechka si concentrava sul braccio che le circondava la vita, sulle dita che le solleticavano la nuca, e chiudeva gli occhi. Il calore dei corpi di Amaliya e Galina era sufficiente ad acquietare i suoi pensieri, anche solo fino al sorgere del sole.
Altre notti, quelle più frequenti, non c'era verso per Sonechka di addormentarsi e se lei era sveglia non vedeva il perché non dovesse essere lo stesso per le sue sorelle. In loro favore, c'era da ammettere che ci misero più tempo di chiunque altro a soccombere all'insofferenza.
«Sono felice che tu abbia... una passione» Galina si massaggiò una tempia all'ennesima domanda di Sonechka. «Ma devi proprio coltivarla alle tre del mattino?»
«Alla conoscenza non serve dormire.»
«A me sì» protestò Galina. C'erano borse scure sotto ai suoi occhi e la sua testa sprofondava nel cuscino con la pesantezza di un mattone.
Sonechka non si impietosì.
«Se dobbiamo dirla tutta-»
Amaliya le schiacciò un cuscino sul viso. Quello era un metodo eccezionale per zittirla.
«È fuori discussione.»
Olga non aveva alzato lo sguardo dalle pratiche che stava sbrigando, ma non per questo Sonechka si sentì meno in soggezione. Non sapeva da dove arrivasse quel senso di inquietudine che le intorpidiva le membra; non lo aveva mai provato attorno alla Madrina. Credeva di esserselo lasciato alle spalle con la sua vecchia vita, che fosse una componente arrugginita del suo passato.
«Perché?» incalzò, ignorando quella parte dentro di sé che le intimava di lasciar perdere.
Aveva chiesto alla Madrina il permesso di uscire da sola di casa. Nelle ultime settimane, aveva sentito una sorta di richiamo provenire dalle strade di Nevrilzky. Forse c'era sempre stato, ma Sonechka non lo aveva mai ascoltato. Fino a ora. Affacciata alla finestra della sua stanza, le era capitato di scorgere dei ragazzi lanciarsi palle di neve oltre la recinzione dell'izba, e aveva provato l'irrefrenabile impulso di unirsi a loro.
Olga alzò un foglio per esaminarlo. «Nevrilzky non è un posto adatto alle ragazze sole, mia cara. Mi si spezzerebbe il cuore se ti capitasse qualcosa.»
Sonechka si rilassò e le sue labbra si incresparono verso l'alto.
«Farò attenzione» promise. «Non supererò la casa dei Kuznetsov. E comunque dovrebbero esserci dei ragazzi lì, quindi non sarò veramente da sola.»
Olga si sfilò gli occhiali e li posò sullo scrittoio. I suoi movimenti erano lenti, calmi, ma Sonechka rabbrividì quando la donna puntò i suoi occhi da rapace su di lei.
«Quali ragazzi?»
La Pupilla si inumidì le labbra. «Quelli che vengono a giocare davanti l'izba»
«E cosa vorresti da loro?»
«Be'» Sonechka cercò le parole giuste, «farmeli amici.»
La Madrina poggiò le spalle sullo schienale della sedia. Una ciocca dei suoi lunghi capelli neri le cadde sul petto e, come una macchia d'inchiostro, spiccò sulla sua camicia immacolata. «Le tue sorelle non ti bastano?»
Sonechka indietreggiò. Aprì la bocca per rispondere, ma nessun suono ne uscì fuori. Forse era un bene, perché non era sicura che a Olga sarebbe piaciuta la sua risposta. Sonechka amava Amaliya e Galina e lo avrebbe fatto per tutta la vita. Non credeva esistesse qualcosa che fosse in grado di cambiare ciò che per lei era una certezza. Al tempo stesso, non poteva accettare che il suo mondo si riducesse alla compagnia delle altre Pupille quando, varcati i confini dell'izba, ce n'era uno che aspettava di essere scoperto.
Era un'argomentazione adeguata. Sonechka si preparò a esporla dopo averla elaborata, ma il luccichio negli occhi di Olga la costrinse a bloccarsi di nuovo.
Il problema in sé non erano Amaliya e Galina, vero? C'era un altro significato dietro la domanda di Olga, qualcosa di insidioso. Era una tagliola nascosta tra l'erba alta, che aspettava di scattare e chiudersi attorno alla zampa di una volpe.
Qual era stato l'avvertimento di Amaliya?
Ti sta mettendo alla prova.
Sonechka si diede della sciocca per non aver dato retta all'altra ragazza. Possibile che a otto anni riconoscesse il pericolo meglio di quanto facesse a quindici? Yuri Medvedev non era stato un buon maestro per questa materia?
Subito, le fu chiaro cosa stesse omettendo Olga.
Io non ti basto?
Prese un respiro per tranquillizzarsi. Conciliante, disse: «Certo che mi bastano, Madrina. Sono la mia vita.»
Sostenne lo sguardo della donna e si impose di non abbassare il suo. Olga la studiò come se fosse una delle carte sparse sullo scrittoio e la Pupilla temette che sulla sua faccia si potesse leggere un'ammissione di colpa scritta a caratteri cubitali.
Alla fine, la Madrina agitò pigramente una mano a mezz'aria.
«Allora non c'è altro da aggiungere. Ho preso la mia decisione» dichiarò. Afferrò una pergamena e la spiegò davanti a sé. Prima di reimmergersi nella lettura, la sua espressione si ammorbidì. «Se sei così impaziente di uscire, puoi aspettare domani. Andremo a fare la spesa insieme»
Sonechka annuì, accennò un sorriso e si chiuse la porta della stanza alle spalle.
Resistette una settimana prima di lasciare l'izba per conto suo. Fu una delle donne della servitù a fornirle il pretesto perfetto per svignarsela: Sonechka la udì informare le compagne che sarebbe andata al lavatoio per lavare le lenzuola della Madrina. Non fu difficile corromperla per farsi delegare il compito – l'idea di sbrigare una faccenda in meno doveva essere allettante. Inoltre, essere una Pupilla le garantiva dei vantaggi.
Con un cesto di vimini sottobraccio e la testa coperta da uno scialle, Sonechka si incamminò lungo il sentiero che conduceva al cuore del villaggio. Non si fermò quando raggiunse la casa dei Kuznetsov e non incontrò il gruppo di ragazzi. Le parve di sentire delle grida divertite da qualche parte, ma non ci si soffermò troppo. Aveva i palmi delle mani umidi e, ansiosa di essere scoperta, si maledisse per tutto il tragitto che la separava dal lavatoio. Cercò di passare inosservata nei luoghi affollati e scelse la vasca più isolata per lavare le lenzuola.
Le sembrò un'esperienza disastrosa. Ma quando rincasò prima di cena e capì che Olga non aveva notato la sua assenza, rimuginò su ciò che aveva visto fuori dall'izba: coppie che passeggiavano tenendosi per mano, un signore attempato che lanciava bocconi di pane secco a un cane randagio, un bambino che piangeva perché un altro gli aveva rubato un cavallo di legno. E, ripercorrendo la strada di casa, tra le fronde degli abeti aveva intravisto svolazzare delle figurine traslucide.
Disobbedire alla Madrina l'aveva terrorizzata. Nel lavatoio, sfregando la saponetta su un lenzuolo, si era detta che non sarebbe capitato mai più. L'avrebbe considerata una semplice svista nella sua quotidianità.
Adesso, infilandosi un boccone di arrosto in bocca e sentendo la risata di Olga prorompere a seguito di una battuta di Galina, seppe di aver mentito.
Perse il conto delle volte in cui visitò da sola Nevrilzky. Si addentrò nelle strade innevate del villaggio e assistette a uno spettacolo di burattini nella piazza centrale. Si mescolò tra la folla che assisteva a un falò propiziatorio e vi bruciò manciate di aghi dei pini, un'offerta gradita dagli spiriti. Disegnò una mappa degli edifici più importanti del villaggio e li distinse in base alla loro funzionalità. Assaggiò la sua prima pinta di kvas in una locanda e si finse con scarso successo una cantastorie per gli avventori. Conobbe i ragazzi che l'avevano tanto incuriosita e si stancò di loro non appena capì che l'avrebbero considerata parte del gruppo finché non avesse posto domande e si fosse limitata a rincorrere una palla di cuoio.
Non era una sprovveduta. Aveva delle regole, semplici ed efficaci, che si era imposta per ricordarsi che la sua libertà fosse fragile quanto un guscio d'uovo e che un passo falso l'avrebbe privata di tutte le sue conquiste. Per esempio, il suo tempo fuori dall'izba non doveva durare più di due ore, scelte accuratamente tra quelle che precedevano o seguivano la cena. Erano gli orari in cui di solito Olga riposava o lavorava allo scrittoio, nonché quelli in cui le Pupille avevano maggiore autonomia. Se Sonechka trovava un modo per giustificare la sua assenza, usciva con l'appoggio della servitù; altrimenti, aspettava un altro giorno e si accontentava della sua lungimiranza.
Amaliya e Galina avevano intuito dove passasse il suo tempo quando spariva dall'izba, ma non le avevano chiesto più del dovuto. Avevano altro a cui pensare. Era da qualche giorno che le due ragazze avevano preso l'abitudine di confabulare tra di loro, filando la lana e guardandosi attorno circospette. Si ammutolivano ogni volta che qualcuno provava a unirsi alla conversazione e cambiavano discorso con la stessa facilità con cui inforcavano il filo nella cruna di un ago. A Sonechka dispiaceva che la tenessero all'oscuro di qualcosa o che cercassero di ingannarla con sorrisi innocenti, ma non le incolpava. I problemi degli adulti non erano affari per una quindicenne, e viceversa. Amaliya e Galina avevano il loro segreto, Sonechka aveva il suo.
Era un sollievo, quindi, che le altre Pupille non indagassero troppo su cosa combinava quando non era con loro. Meno sapevano, meno sarebbero finite nei guai se la Madrina si fosse resa conto del sotterfugio.
Sonechka era grata per il loro silenzio, sebbene avesse l'impressione che se ne servissero più per giudicare la sua imprudenza che per coprirla.
Le domestiche sembravano felici di aiutarla: le prestavano le loro divise per travestirsi e le affibbiavano lavoretti che non richiedevano grandi competenze manuali. Andrej Semyonov – una delle guardie – fingeva di non vederla quando Sonechka sgusciava via dalla porta d'ingresso dopo essersi accertata che Olga dormisse.
Soltanto essendo sue complici, quelle persone rischiavano ogni giorno di suscitare l'ira della Madrina, ma non pretendevano che Sonechka le ringraziasse e di sicuro reputavano irrilevante l'entità del debito che potevano riscuotere.
Fu così che la Pupilla si accorse delle piccole radici di ribellione che avevano attecchito in casa Krasnova e di cui tutti si prendevano cura. Sfidare l'autorità di Olga era un frutto di cui tutti avevano assaporato la polpa, succosa e rinfrescante.
Avrebbe dovuto prevedere che quel delicato equilibrio fosse destinato alla distruzione.
Sonechka trovava terribilmente ingiusto che la padrona della locanda stesse scaricando la sua frustrazione sulla sedia all'ingresso del suo locale. La signora, una donna nerboruta con le guance rubiconde e il naso schiacciato, assestò un calcio alla gamba della seggiola e sputò a terra. Non era ben chiaro chi avesse causato la sua rabbia, ma non doveva essere la prima volta che si sfogava in quel modo, visto che la sedia era tutta ammaccata e la vernice rossa con cui era stato tinto il legno era scrostata.
Era questo il trattamento che si meritava quella povera sedia? La crudeltà era l'unica forma di gratitudine che le era dovuta dopo che le sue gambe avevano sostenuto il peso di decine di avventori stanchi, o che il suo schienale si era modellato per rendere più comodo il riposo della sua padrona?
Se Sonechka fosse stata al suo posto, avrebbe pianto fino a sgolarsi.
«E se gli oggetti avessero una vita quando non li guardiamo?»
Si rese conto di aver parlato ad alta voce quando sentì addosso lo sguardo confuso di una ragazza a pochi passi da lei. Non doveva essere più grande di Sonechka. Forse avevano la stessa età, anche se le guance più scavate e i capelli meno curati la invecchiavano un po'. Era difficile identificare un'emozione dietro i suoi occhi neri, ma Sonechka attese di essere definita bizzarra o ignorata come un'orribile macchia di muffa sul muro.
La ragazza sogghignò. «Forse dovremmo spiarli.»
Sonechka inarcò le sopracciglia.
Ah?, fu l'unico pensiero eloquente che partorì la sua mente prima di concentrare tutte le sue attenzioni sulle efelidi della sconosciuta. Ce n'erano tante. Erano spruzzate sul suo viso e si estendevano lungo il collo, sparivano sotto la rubakha di lino e rispuntavano sui dorsi delle mani.
Potevano essere uno specchio delle stelle nel firmamento?
Sonechka la stava fissando. Distolse a fatica lo sguardo e sentì le sue orecchie andare a fuoco per l'imbarazzo. Galina e Amaliya avrebbero speso tutti i loro rubli per assistere a una scena simile – poi le avrebbero rinfacciato l'accaduto per mesi, se non anni.
"Dov'è finita la tua parlantina, Sonusha?", avrebbe cantilenato Amaliya e Sonechka avrebbe passato il resto dei suoi giorni a pregare di essere inghiottita dalla terra o che la Verifera le predisse una morte rapida e indolore.
«Io sono Motya» disse la ragazza. C'era una piccola fessura tra i suoi incisivi. Sonechka si ricordò a malapena di ricambiare la presentazione.
Il rumore della sedia che veniva fracassata a terra fece sobbalzare la Pupilla, e pezzi di legno rosso schizzarono in tutte le direzioni.
«Yulia Pavlova è spietata con la mobilia e docile con i clienti» rivelò Motya, ignara che Sonechka stesse benedicendo la padrona della locanda per averla salvata dal fare la figura dell'idiota. Se in precedenza aveva provato dell'empatia verso la sedia, sfumò davanti la sua triste fine: per quello che le riguardava, la signora Pavlova avrebbe potuto continuare a sbattere mobili a destra e a manca e si sarebbe comunque meritata un letto caldo e pulito su cui dormire per il resto dell'inverno.
Sentendosi osservata, Sonechka si riscosse: Motya la stava guardando, corrucciata. Doveva aver capito che intrattenere da sola una conversazione fosse una perdita di tempo e, con la stessa rapidità con cui era arrivata, avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe andata senza guardarsi indietro. Sonechka sentì il cuore farsi pesante.
Tuttavia, Motya la sorprese di nuovo. Era una cosa che le riusciva molto bene.
«Il lago è ghiacciato» esordì la ragazza. Diede a quell'informazione la stessa importanza di un'ovvietà e di sicuro lo era – il clima a Nevrilzy era talmente rigido l'inverno che il contenuto dei pitali lanciato per strada gelava a mezz'aria – ma ciò non impedì a Sonechka di assumere l'espressione più instupidita nel suo repertorio. Non ottenendo alcuna reazione, Motya proseguì: «Sai pattinare?»
No, Sonechka non sapeva pattinare.
Si lasciò afferrare la manica della camicia e seguì Motya senza protestare.
«Perché la tua gonna è bagnata?» le chiese Olga. La donna era seduta su una poltrona, le gambe raccolte e una coperta di lana a ripararla dal freddo. Sonechka abbassò lo sguardo sui fianchi del suo abito e strinse le labbra.
Era inevitabile che, prima o poi, Sonechka risvegliasse la diffidenza della Madrina. Era una bestia che aveva riposato per troppo tempo e, anche se la Pupilla fu sorpresa dal doverla affrontare, non si fece trovare impreparata. L'aveva vista azzannare le sue sorelle e i membri della servitù, l'aveva studiata insieme a delle tecniche per tenerla a bada. Era un'evenienza che aveva messo in conto dopo aver deciso di non poter fare a meno della compagnia di Motya – e non c'era voluto molto.
Nessuno aveva mai pensato di accennarle quanto le amicizie potessero rendere una persona avventata, ma almeno Sonechka non era stupida. A dirla tutta, aveva scoperto di essere un'abile bugiarda. Non provava alcuna gioia nel mentire. Le bugie avevano un peso strano sulla sua lingua e un sapore acidulo che le rimaneva attaccato al palato e ai denti, come se avesse morso una bacca ancora acerba. Probabilmente, era lo stesso sapore del senso di colpa.
Quindi, quando Olga cominciò a guardarla con sospetto, Sonechka era pronta. La intristiva vedere la frattura nel rapporto tra lei e la Madrina. Era già abbastanza dura dover nascondere qualcosa a Galina e Amaliya, ma farlo con Olga sembrava un vero e proprio tradimento. La fiducia della donna aveva un valore inestimabile, che nessun rublo sarebbe riuscito a comprare. Ma se la Madrina le chiedeva perché la sua gonna fosse bagnata, Sonechka non poteva semplicemente dirle di aver visitato di nuovo il lago vicino Nevrilzky e di essere scivolata sul ghiaccio così tante volte da impietosire Motya, che l'aveva rimessa in piedi e le aveva poggiato le mani sui fianchi per sorreggerla, anche se era da settimane che Sonechka cercava di imparare ad andare da sola. Non poteva dirle che, quando degli spiritelli si erano avvicinati per imitare la danza delle due ragazze, non li aveva degnati di uno sguardo, troppo concentrata sull'amica e la grazia con cui scivolava sulla superficie ghiacciata del lago, usando le suole lisce dei suoi stivaletti.
Così, con la stessa frequenza con cui poneva le sue domande, Sonechka propinò alla Madrina l'ennesima bugia.
«Volevo indossarla anche se non aveva finito di asciugarsi» rispose. Fece una giravolta su sé stessa e sorrise, il suo viso aperto in un'espressione che sperava sembrasse felice. «Mi sta bene?»
Se le avessero chiesto di spiegare la sua amicizia con Motya, Sonechka avrebbe scrollato le spalle e detto che non c'era nulla da spiegare. Tanto per cominciare, definire la loro relazione un'amicizia sarebbe stato abbastanza riduttivo. Non era sicura di aver mai avuta un'amica che rientrasse perfettamente nella descrizione. Amaliya e Galina vi si avvicinavano più di chiunque altro, ma quando indossavano quel termine stava loro stretto – e alla Madrina troppo largo.
E Motya... Be', era Motya.
Quando Motya sorrideva, Sonechka non aveva più domande da fare. Le faceva lo stesso, per il gusto di sentire l'altra ragazza parlare, anche se possedeva già tutte le risposte di cui aveva bisogno.
Prima di Motya, quando le sortite a Nevrilzky non avevano ancora un fine specifico, Sonechka aveva delle regole. Non erano molte, ma se le era imposte per ricordarsi che la sua libertà era fragile come il guscio di un uovo e che un passo falso l'avrebbe privata di tutte le sue conquiste. Per esempio, il suo tempo fuori dall'izba non doveva durare più di due ore, scelte accuratamente tra quelle che precedevano o seguivano la cena. Erano gli orari in cui di solito Olga riposava o lavorava allo scrittoio, nonché quelli in cui le Pupille avevano maggiore autonomia. Se Sonechka trovava un modo per giustificare la sua assenza, usciva con l'appoggio della servitù; altrimenti, aspettava un altro giorno e si accontentava della sua lungimiranza.
Motya l'aveva resa una sciocca. Contro ogni logica, Sonechka bramava la compagnia dell'altra ragazza in ogni momento della giornata. Quando non erano insieme, Sonechka pensava a nuove scuse per recarsi al villaggio e raggiungerla – e, quando lo faceva, arrossiva di fronte a Motya perché non aveva pronta un'altra scusa che giustificasse la sua visita.
Sii prudente, la avvertiva la Sonechka che viveva di scrupoli e attenzioni.
Motya mi aspetta, era la risposta della Sonechka che si calava dalla finestra con il sole alto in cielo e si dirigeva verso quello che era diventato il loro punto punto d'incontro preferito, lo stesso lago in cui si erano recate insieme per la prima volta.
Non era ampio e, a pensarci bene, sembrava quasi che le sue grandezze ridotte fossero provvidenziali, poiché per trovarlo bisognava attraversare un tratto del bosco, breve ma impervio; e, in ogni caso, erano gli spiriti ad avere l'ultima parola su chi potesse entrarvi. Giravano storie su come quelle creaturine tormentassero i visitatori non graditi, rubando i loro vestiti, animando le radici degli alberi, cambiando il percorso da seguire per rendere il bosco un labirinto.
Poi c'erano le persone che venivano accolte come cari ospiti ed erano tornate a Nevrilsky per vantarsi della loro fortuna. Motya rientrava in questa categoria, ma era scontato che nemmeno gli spiriti sapessero resisterle.
Sonechka, almeno, non poteva biasimarli.
Di tutte le conoscenze acquisite negli anni, nessuna era più sorprendente del formicolio che le attraversava mani quando Motya le stringeva nelle sue, o più disorientante dell'insistenza con cui Motya le sistemava le pieghe sulla gonna e la rimproverava per andare in giro come una stracciona.
"È proprio vero che chi ha il pane non ha i denti", la sfotteva la ragazza e, puntualmente, Sonechka si ripresentava il giorno dopo con i lacci del grembiule allentati; Motya brontolava, ma i fiocchi intrecciati dalle sue dita erano perfetti. In cambio, riparate all'ombra di uno dei pini vicino al loro lago, Sonechka le leggeva uno dei suoi libri e gli unici testimoni del loro divertimento erano gli spiritelli.
Nessuna conoscenza era più dolce dei baci che Motya faceva scoccare sulle sue labbra, iniziati per gioco, con timide carezze sulle nocche, e finiti nella segretezza dei vicoli, con le guance arrossate e gli occhi pieni di meraviglia. Per Sonechka non era più una sorpresa la fame con cui gli uomini parlavano del denaro, perché era certa che fosse uguale alla sua quando acciuffava l'altra ragazza dopo averla rincorsa lungo le vie di Nevrilsky e riscuoteva il suo premio rubandole baci come una ladra, non avendone mai abbastanza come la peggiore degli avari.
L'avrebbe dovuta terrorizzare la tranquillità con cui aveva accettato qualcosa di tanto complesso nella sua vita, senza sentire il bisogno di esaminarla accuratamente, come quando una volta aveva catturato una libellula e le aveva punto le ali con uno spillo per disegnarle.
Bastava un sorriso furbo di Motya per scacciare via tutte le sue paure, chiudere gli occhi e lasciare che l'altra ragazza le passasse le dita tra i capelli corti.
Sonechka trattenne il respiro quando una trave sotto ai suoi piedi scricchiolò. Era stata così attenta a richiudere il portone d'ingresso senza fare rumore! Sarebbe stata una vera ingiustizia se fosse stata tradita da un'asse di legno.
Lanciò un'occhiata guardinga a destra e a sinistra: l'atmosfera nell'izba era statica. Le braci nel camino ardevano debolmente, segno inequivocabile che fosse trascorso un po' di tempo dall'ultima volta che qualcuno aveva rimboccato la legna. Le candele erano state spente e la porta della camera di servizio per la servitù era chiusa. Fatta eccezione per Andrej, che montava la guardia nel giardino e l'aveva fatta passare come suo solito, stavano tutti dormendo.
Sonechka tirò un sospirò di sollievo. Si passò una mano sulla faccia per scacciare il sorriso inebetito che si era formato sulle sua labbra, ma quando le sue labbra lo sfiorarono si ricordò del bacio che Motya vi aveva fatto schioccare contro per augurarle la buonanotte. Trattenne a stento una risata: incastrati fra i denti aveva ancora i rimasugli dei biscotti che lei e Motya avevano condiviso, sedute su una vecchia staccionata. Provò a liberarsene con la punta della lingua, ma perse la pazienza in fretta e decise che, in fin dei conti, non le importava.
Si avviò verso le scale, mise il piede sul primo gradino e alzò il viso.
Il respirò le si mozzò in gola.
In cima alle scale, con i capelli sciolti e il viso privo di qualsiasi emozioni, la Madrina ricambiò il suo sguardo atterrito con uno colmo di fredda soddisfazione.
La mente della Pupilla si affrettò a esaminare la sua sua prossima mossa. Raccontare una mezza verità le sembrò una buona idea. Sì, era da un po' di tempo che sgusciava fuori di casa per andare al villaggio, ma solo di notte e nei giorni in cui si tenevano gli spettacoli delle marionette nella piazza. No, nessuno l'aveva aiutata e no, non aveva parlato con nessuno sconosciuto.
La Madrina fu più rapida dei suoi pensieri.
«Sai qual era la punizione per i traditori prima che Nevrilzky diventasse un villaggio di smidollati?» Olga scese un gradino. La luce della luna proiettò la sua ombra contro il muro di legno, distorcendola in una forma allungata, quasi mostruosa. Sonechka indietreggiò verso il soggiorno, tastando i mobili con le mani per non distogliere lo sguardo dalla Madrina.
«Venivano rinchiusi in una botte piena di chiodi e fatti ruzzolare giù dalle montagne» continuò la donna. «Se la botte arrivava integra a valle, al suo interno trovavi soltanto una poltiglia sanguinolenta di arti e capelli. I cani sapevano che farne, dopo.»
Olga si fermò ai piedi delle scale. Con la camicia da notte bianca come la pelle, poteva essere scambiata per uno spirito. «Devo considerarti una traditrice, Sonechka?»
«Madrina-»
«No, non lo sopporterei» mormorò la Madrina tra sé e sé. «È più probabile che la figlia del guardaboschi ti abbia corrotto.»
Sonechka sentì il pavimento mancarle sotto ai piedi e poggiò una mano sulla testiera della poltrona per non cadere. Come faceva la Madrina a sapere di Motya? No, non era la domanda giusta. Da quanto la Madrina sapeva di Motya? Le aveva seguite? Le aveva fatte spiare? I membri della servitù avevano vuotato il sacco? Forse era stato Andrej: a pensarci bene, quella sera l'uomo le era sembrato più teso del solito... O forse erano state Amaliya e Galina, che per una volta non si sarebbero trovate ad affrontare l'ira della Madrina.
«Motya non c'entra niente!» esclamò Sonechka, senza sapere da dove fosse arrivato il coraggio di suonare sprezzante. Si pentì subito di aver confermato il coinvolgimento dell'altra ragazza; volendo proteggerla, l'aveva messa in pericolo. «Prima di incontrarla, era da settimane che visitavo Nevrilsky.»
Olga piegò la testa di lato e le sue labbra si incurvarono verso l'alto, più in una smorfia che un sorriso. «Quindi hai scelto di ignorare i miei ordini» chiarificò.
Si mosse verso il soggiorno, lungo la parete opposta a quella di Sonechka; la cadenza dei suoi passi era calma e composta, come se la donna stesse passeggiando. Erano i suoi occhi, stretti in due fessure, a tradire una rabbia crescente che le deformava le piccole rughe sul viso maturo, rendendole solchi più profondi, simili a graffi.
Non era la prima volta che Sonechka fronteggiava una furia del genere, ma era la prima che la vedeva sulla Madrina. Di solito, l'aveva intravista esposta sotto un filtro: per quanto la inquietasse, era più facile sopportarla se si era suoi spettatori, e non diretti interessati.
Le gambe le tremarono, miseramente. Si chiese come avessero fatto Amaliya e Galina a resistere tutto questo tempo. Avrebbe dovuto chiederlo quando ne aveva ancora la possibilità.
«Dimmi, bambina» cominciò Olga, «se un fantino ordina al suo cavallo di fermarsi e questo non gli dà retta, è giusto usare la frusta per persuaderlo?»
Sonechka deglutì. Strinse le mani sudaticce attorno alla stoffa del suo sarafan e si spostò dietro la poltrona, per mettere distanza tra lei e l'altra donna. Olga scosse la testa e ridacchiò, come se trovasse esilarante l'idea che Sonechka cercasse un ostacolo per dividerle.
La Madrina si piazzò davanti al camino, dandole le spalle. Sfregò le mani tra di loro e le allungò verso le braci per riscaldarle.
«Non la vedrai più» disse dopo qualche secondo. «Ti dimenticherai di lei e io mi dimenticherò della tua insolenza. Non ti proibirò di andare a Nevrilsky, ma non lo potrai fare da sola. Ci vorrà un po' prima che tu riesca a riguadagnarti la mia fiducia, ma sei sempre stata una ragazza piena di risorse. So che ce la farai.»
Sonechka non poteva credere alle sue orecchie. Serrò la mascella e aggirò velocemente la poltrona, avvicinandosi alla Madrina con i pugni chiusi lungo i fianchi.
Non sarebbe successo. Non sarebbe tornata a essere una dei tanti passerotti intrappolati nell'izba, non ora che aveva visto cosa Nevrilsky aveva da offrirle. Non ora che Motya era entrata nella sua vita. Forse poteva cavarsela parlando. Avrebbe spiegato alla Madrina perché le avesse tenuto nascoste le sue scappatelle e quanto significassero per lei.
«Non può chiedermi di-»
Sonechka urlò quando una fitta di dolore si irradiò lungo il suo braccio. Si ritrovò inginocchiata a terra, a stringersi la spalla nuda e bagnata. Il tessuto che la copriva era stato squarciato, strappando in modo irregolare i ghirigori del sarafan. Frastornata, Sonechka si guardò il palmo della mano: era insanguinato.
Sollevò il mento verso Olga, che la sovrastava dall'alto con la sua figura. Le sue lunghe dita affusolate impugnavano il rampino in ferro del camino e delle ciocche di capelli neri le erano finite in bocca. Le sfilò con un gesto lento, senza distogliere lo sguardo.
«Non ti ho chiesto nulla, Sonechka.» La Madrina si abbassò alla sua altezza e le prese le guance con la mano libera, infilandole le unghie nelle pelle. «Te l'ho ordinato.»
Sonechka si divincolò da quella morsa, ma i suoi tentativi servirono a far aumentare la presa della Madrina. Sentì gli occhi bruciarle e il cuore batterle furiosamente nel petto mentre scalciava per allontanarsi dalla donna. Alla fine, Olga la lasciò andare con uno strattone e Sonechka boccheggiò per riempirsi i polmoni di tutta l'aria che non sapeva di aver perso.
Dove erano tutti? Era impossibile che gli altri abitanti dell'izba non si fossero accorti di cosa stesse accadendo sotto il loro tetto. Eppure, nessuno venne ad aiutarla. Che stupida. E perché avrebbero dovuto? Sonechka si era trovata spesso al loro posto e non si era comportata in modo diverso. L'indifferenza era una via semplice e comoda da imboccare.
Sonechka guardò la donna che l'aveva cresciuta e accolta in casa, che l'aveva nutrita e istruita. Conosceva quel volto a memoria, sarebbe riuscita a elencarne i dettagli a occhi chiusi. La Madrina era sia in grado di compiere grandi atti di benevolenza che di crudeltà. Ma un coniglio non smetteva di essere un coniglio se veniva cresciuto da un lupo, e un lupo non smetteva di essere un lupo se nella sua tana accoglieva un coniglio.
Sonechka guardò Olga e vide il mostro che si celava dietro la sua maschera.
Era in trappola.
Aveva così tante domande per la testa, ma si accavallano le une con le altre, impedendole di formularne una che avesse un'inizio e una fine. Improvvisamente esausta, sussurrò: «Perché?»
Olga le avvicinò una mano al viso e, d'istinto, Sonechka si tirò indietro. Tuttavia, la Madrina le mise una mano sulla guancia e le accarezzò la pelle con un pollice. Si rimise in piedi e si lisciò le pieghe della camicia da notte, gli occhi chiari ancora fissi sulla Pupilla. Per un attimo, sembrò turbata.
«Avrei dovuto insegnarti molto tempo fa che il primo passo verso l'obbedienza è non fare domande, Sonechka.»
Prima che il rampino calasse di nuovo su di lei, a Sonechka tornò in mente quell'uomo che un tempo aveva chiamato padre. Quasi non ricordava più il suono della sua voce o il colore dei suoi capelli, ma sapeva che Yuri Medvedev si era sempre preso le responsabilità per la sua cattiveria e che se doveva fare del male lasciava che le sue mani fossero il suo unico strumento.
Con la coda dell'occhio, vide appollaiate sulla rampa delle scale Amaliya e Galina. Se erano divertite dallo spettacolo, non lo diedero a vedere. Piuttosto, le loro facce sembravano dire: "Adesso sai".
Poi Olga la colpì, e Sonechka non pensò più a niente.
Nota dell'autrice
Eccoci qui! Capitolo lungo, lo so, ma avrebbe perso d'effetto se fosse stato diviso. La verità è che voglio fare concorrenza allx autorx di AO3. Vi anticipo già che i capitoli dedicati alle Pupille saranno tutti lunghi, perché, come avrete potuto notare, le loro backstories sono CARICHE. Mi spiace (non è vero). Spero che il POV di Sonechka vi sia piaciuto. Ho adorato scriverlo, soprattutto perché il tema che lo caratterizza è "la caduta degli dèi". Sonechka è un personaggio interessantissimo e ci sono stati dei passaggi che mi hanno stretto il cuore. Le voglio proprio bene (strana cosa da dire dopo quello che le ho fatto passare. Sarò stata posseduta da Olga? Who knows). Ha pure avuto la sua fase da teenager che scopre il caschetto. È un evento canonico, non posso interferire. Scherzi a parte, amo quando la simbologia del cambiamento dell'aspetto fisico può celare anche lo sviluppo di un personaggio. Sarà che sono molto visiva quando immagino le scene.
Per non parlare dei parallelismi. Fatemi sapere se siete riuscitx a trovarne alcuni.
E comunque, Sonechka e Motya matching each other's freak è il mio Impero Romano.
Concludo con qualche piccola annotazione.
La kasha è un tipico porridge russo che viene solitamente preparato con cereali, orzo o avena e acqua o latte. La soljanka è uno stufato piccante che può essere a base di carne, pesce o funghi. Il sarafan è una veste tradizionale russa. La saklya e l'izba sono abitazioni, la prima più modesta e la seconda simile a una baita.
"Moya gospozha" significa "mia signora" ("moy gospodin", invece, è "mio signore"). Da notare come Yuri si riferisca a Olga con tutti i titoli onorifici possibili e inimmaginabili, mentre Olga gli dà del "tu". Ho scelto questa differenza lessicale sia per mostrare il divario sociale tra i due, sia perché a Olga interessa meno di niente di quel ratto.
Concludo, che il capitolo è già lungo di suo e ci mancano solo le note: il prossimo aggiornamento (il doppio che vi avevo promesso) dovrebbe arrivare tra stasera e domani. Dipende tutto dalla febbre.
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