In fondo al boccale

«Tra di noi, stasera, c'è la mia assassina.»

Le Pupille smisero di parlare all'unisono, dimentiche dei pettegolezzi che si stavano scambiando. Avrebbero fatto silenzio anche se Olga Krasnova avesse interrotto la conversazione per farsi passare della panna acida da spalmare sopra una fetta di syrniki, perché lei era la Madrina ed era un loro dovere ascoltarla.

Ora più che mai, Olga sentiva su di sé l'attenzione delle sue protette. Occhi sgranati, fronti aggrottate, labbra schiuse; erano la perfetta immagine della confusione e della sorpresa. In altre circostanze, Olga si sarebbe dispiaciuta per aver rovinato la loro serata. Ma questa non era una circostanza qualunque e, stando alle informazioni in suo possesso, l'unica autorizzata a lamentarsi per il cambio di piani era Olga stessa.

«Madrina?» chiese Amaliya dopo qualche secondo, posando il suo bicchiere di tarkhun sul tappeto dove erano tutte sedute. Prevedibilmente, era stata la prima a rompere il silenzio tra le ragazze. Era sempre la prima a chiedere scusa quando la Madrina era di cattivo umore, sempre la prima a cercare una soluzione per rimediare a un errore, e adesso era la prima a dare voce alla curiosità delle sue compagne.

«E sospetto» continuò Olga, ignorandola, «che la mia morte sia dolce quanto il kvas che avrei dovuto bere.»

Gli sguardi attenti delle Pupille si spostarono sul boccale ancora pieno che la Madrina teneva stretto fra le mani. Nella luce soffusa del camino, il colore ambrato del sidro poteva essere scambiato per quello carminio del sangue. Era impossibile scorgere a occhio nudo il veleno al suo interno. O era stato ben diluito, o era trasparente come l'acqua.

Se Olga lo avesse ingerito, avrebbe percepito il suo sapore sulla punta della lingua? Se non fosse stata a conoscenza della minaccia celata nella bevanda, se ne sarebbe mai accorta?

Anche se ci aveva messo un po' ad arrivare, la preoccupazione cominciò a farsi largo sui bei visi delle Pupille.

«È... È uno dei vostri giochi, Madrina?» Questa volta, la domanda giunse da Galina, che aveva rinunciato a usare una ciocca di capelli biondi per far giocare il gattino tra le sue braccia e aveva affondato le mani tremanti nella pelliccia dell'animale.

«Nient'affatto» rispose Olga con calma perentoria. «Sarebbe senza ombra di dubbio una trovata originale da parte mia. Ma l'unico gioco di questa serata, a quanto pare, sarà quello di capire chi non vuole vedermi uscire viva da qui.»

Di nuovo silenzio. Se non fosse stato per la tensione che albergava nella stanza, Olga era pronta a scommettere di non aver conosciuto la quiete prima di quella sera. Gli unici rumori che sentiva erano lo scoppiettio della legna nel camino acceso e le fusa del gatto di Galina. Se avesse chiuso gli occhi, avrebbe trovato la pace. Di fronte a lei, però, le sue tre Pupille la fissavano atterrite, immobili come statue – belle come statue. Forse speravano che, non muovendosi, Olga si sarebbe scordata della loro presenza.

Come se fosse stato possibile.

Fuori della baita le neve cadeva fitta e rapida; affacciandosi da una delle finestre, si sarebbero potuti scorgere degli spiritelli danzare gioiosi nella bufera, distinguibili per il tenue bagliore emanato dai loro corpi traslucidi. Le loro forme cambiavano tra un battito di ciglia e l'altro: un momento erano un branco di volpi inseguite dalla figura longilinea e tremolante di un uomo, e quello dopo erano coppie che ballavano con le punte dei piedi che non toccavano terra. Ridevano senza emettere suono e si muovevano senza lasciare alcuna traccia del loro passaggio.

Olga desiderò unirsi a loro: da giovane lo avrebbe fatto senza esitazione, guidata dall'incoscienza dell'età. Aveva perso il conto di tutte le notti in cui era sgattaiolata fuori di casa per rispondere al richiamo degli spiriti, convinta che i suoi genitori non l'avrebbero scoperta se avesse indossato i suoi stivali in feltro dopo aver superato la soglia dal portone d'ingresso, o avesse camminato su determinate assi di legno per non farle scricchiolare.

Ogni volta che era riuscita nel suo intento, si era chiesta se fosse lei quella troppo furba o i suoi genitori quelli con il sonno troppo pesante – o magari quelli troppo stupidi, fino a quando non aveva capito che in gioventù sua madre aveva fatto lo stesso, così come tutte le vecchie signore di Nevrilzky e quelle di cui ormai rimaneva un lontano ricordo. Acquisire quella conoscenza aveva rovinato in parte il fascino delle sue scappatelle, però Olga aveva continuato a visitare gli spiritelli attorno al villaggio, da sola o con le sue coetanee. Era cresciuta nella pelliccia di suo padre e nelle camicie da notte che sua madre le ricamava con tanta cura e aveva creduto che la sua vita potesse ridursi agli attimi in cui si nascondeva tra gli alberi, aspettando che gli spiriti la trovassero e le tirassero i capelli intrecciati per farle un dispetto.

Ma non era più una ragazzina: era una donna matura, e gli spiriti preferivano la compagnia delle fanciulle, come quella delle Pupille. Avevano un debole per l'innocenza, una rarità nella mente degli adulti.

Olga avrebbe dovuto incoraggiare le sue protette a uscire dalla baita per partecipare alla danza, per onorare la tradizione delle loro antenate. Avrebbe dovuto esigerlo, anche solo per ingraziarsi quelle creaturine volubili.

Non lo aveva mai fatto. E lei, a differenza dei suoi genitori, aveva il sonno molto leggerlo.

«Con tutto il dovuto rispetto, Madrina, ma è sicura di quello che sta dicendo?»

Sonechka, la più giovane del gruppo, fu l'ultima a prendere parola. Nonostante le sue guance avessero perso il loro solito colorito, la Pupilla non si era curata di dosare la diffidenza nel tono della voce. Se si fosse trattato di un'altra persona, Olga l'avrebbe considerata una tremenda mancanza di rispetto; tuttavia, sapeva che la sua protetta si approcciava alla vita con il fare scettico di una ragazza di quindici anni che mette in dubbio ogni cosa che le viene detta. Quindi, anche se ormai stava diventando un'abitudine, Olga non poté fare a meno di perdonare la sfrontatezza di Sonechka.

E guarda dove mi ha portata l'indulgenza.

Senza scomporsi, Olga ammise: «Ho ricevuto una visita dalla Verifera.»

Le ragazze sussultarono. Galina si lasciò sfuggire un verso angustiato, Amaliya si portò una mano al petto. Persino Sonechka non poté affidarsi a una delle sue risposte argute.

La Madrina non si aspettava delle reazione diverse da quelle.

C'era solo una ragione per cui la Verifera si sarebbe spinta fuori dai suoi amati boschi per avventurarsi nelle strade di Nevrilzky: condividere le sue profezie e rovinare la giornata a chi le avesse ricevute. A sua discolpa, c'era da dire che non fosse una donna malvagia, non le piaceva causare problemi. Casomai, Olga sospettava che cercasse in tutti i modi di risolverli; ma le sue soluzioni erano perlopiù criptiche e spesso non venivano decifrate in tempo. Quindi, gli uomini del villaggio incolpavano la sua lingua lunga e mente affollata per ogni disgrazia, i bambini le puntavano un dito contro dopo essersi messi al riparo dietro le gambe dei loro genitori, e i più risentiti sussurravano che fosse "un po' toccata".

"Possono disprezzarmi quanto vogliono", le aveva detto la Verifera un pomeriggio, quando Olga le aveva chiesto se quelle accuse le dessero fastidio. "Non cambierà ciò che il destino ha in serbo per loro. E poi, il loro odio non deve essere così forte, visto che continuano ad ascoltarmi".

A Olga era sembrata surreale la calma dell'altra donna. Se fosse stata al suo posto, non avrebbe sopportato di vivere sapendo di non essere amata. Piuttosto, avrebbe raso al suolo l'intero villaggio alla prima offesa di troppo.

Eppure, la Verifera continuava imperterrita con il suo lavoro, incurante delle voci che la circondavano. Le importavano solo quelle che aveva nella testa. Alcuni abitanti di Nevrilzky sostenevano che parlasse con gli spiriti, altri che gli spiriti parlassero attraverso di lei. Qualunque fosse la verità, le sue profezie non erano mai errate, per quanto nefaste e difficili da comprendere.

La Verifera aveva previsto incendi e pestilenze causati da spiriti malevoli, piaghe improvvise che avevano mietuto vittime fra i bestiami e faide tra famiglie rivali. Aveva previsto che Olga fosse sterile e che nel suo ventre la vita non avrebbe attecchito, come un seme che viene gettato nella brace.

Non si era mai sbagliata. E, a detta sua, quella sera Olga sarebbe morta.

"Tre in una e una per tre, rossa e liquida la tua nemica è.
Lento arriva il nuovo anno, ma non lo vedrai.
Fredda la neve e freddo il tuo corpo quando cadrai.
Rapida la tua Morte sarà e una mano amica avrà".

Dopo aver ricevuto la profezia, la Madrina aveva trascorso le successive settimane a guardare con sospetto ogni abitante della sua izba. Aveva licenziato più servitori di quanti ne avesse mai assunti e aveva fatto in modo che i restanti non si avvicinassero troppo. Aveva mangiato solo il cibo che lei stessa aveva comprato al mercato e che si era preparata, anche se i suoi primi tentativi di impastare la sfoglia dei pel'meni erano stati a dir poco fallimentari, e spesso si era accontentata di sbocconcellare del pane e delle prugne secche.

Aveva dormito da sola, svegliandosi più volte nel cuore della notte e controllando negli angoli della sua camera per accertarsi che tra le ombre non si nascondesse qualcuno. Rannicchiata sotto le coperte come una bambina, il suo letto le era sembrato troppo grande. Di solito, Olga lo condivideva con le sue Pupille, ma le ragazze, vedendola agitata, si erano proposte di montare la guardia fuori dalla sua stanza. Sonechka aveva tenuto il mento alto mentre le prometteva che non avrebbero fatto entrare nessuno e Olga aveva sentito i suoi occhi inumidirsi.

Si era rifiutata di parlare del suo incontro con la Verifera, temendo che, se lo avesse fatto, ciò che le era stato predetto si sarebbe avverato più velocemente. Ma i giorni erano passati, si erano tramutati in settimane, e Olga aveva abbassato la guardia quando ogni mattina si era svegliata per vedere il cielo terso sopra Nevrilzky. Si era sentita invincibile. Per cui, quando le Pupille le avevano proposto di ritirarsi nella baita per festeggiare la fine dell'anno, Olga aveva accettato. Per loro, quella era una piacevole usanza, e la Madrina aveva confidato che le ragazze le avrebbero fatto passare una bella serata.

Mi terranno al sicuro, si era detta prima di uscire dall'izba, mentre Amaliya le aggiustava lo zibellino sulle spalle. Per una volta saranno loro a proteggere me. Mi fido di loro.

Le sue Pupille erano la sua più grande gioia, il suo tesoro. Non l'avrebbero mai tradita. La amavano troppo, glielo ripetevano ogni giorno, perché Olga aveva dato loro una seconda vita, le aveva cresciute e istruite come figlie, non le aveva mai lasciate sole. Le aveva protette con ferocia, come avrebbe fatto una madre.

Aveva capito troppo tardi il suo sbaglio. E ora era sola, senza scorta. Era stata Olga stessa a declinare l'offerta di Andrej Semyonov di accompagnarla fino alla baita.
Non ci sarebbero stati testimoni se il crimine fosse stato commesso.

In mezzo alla neve, gli spiriti continuarono a danzare.

«Noi non le faremmo mai del male!» esclamò Amaliya. I suoi occhi lucidi riflettevano le fiamme delle candele e quelle nel camino.

Olga posò il boccale di kvas accanto a lei. «No?»

Le Pupille scossero la testa all'unisono, le facce tese per l'orrore, come se lo scenario dipinto dalla Madrina fosse inconcepibile.

Olga aveva talmente bisogno di credere alla loro innocenza che per poco non si convinse a desistere. Ma se avesse avuto ragione? Se i suoi dubbi fossero stati fondati?

Fece cadere lo sguardo sulle gambe di Galina e le indicò con un cenno del capo.

«Galina, dammi il tuo gatto» ordinò. La ragazza la accontentò senza esitare, automaticamente, ma il suo labbro tremò per un istante.

Olga afferrò il gatto per la collottola, se lo portò all'altezza del viso per studiarlo. Aveva grandi occhi gialli e curiosi, il pelo soffice e pulito. Non poteva avere più di qualche mese; Galina lo aveva trovato nelle stalle, l'unico sopravvissuto di una cucciolata, e lo aveva rimesso in sesto. Era carino e affettuoso, come la sua proprietaria. Myshka – così lo aveva chiamato la ragazza – aveva l'abitudine di strusciarsi contro le gambe di chiunque gli passasse accanto, anche a costo di infilarsi tra i piedi dei passanti. Olga non lo aveva mai sentito miagolare, ma i suoi occhietti erano sempre vigili, come se sapesse più di quanto fosse concesso alla mente di un animale. In alcune occasioni, quando Galina era triste e si chiudeva nella sua stanza, Olga avrebbe giurato che Myshka le aveva rivolto sguardi carichi di delusione.

La Madrina gli diede qualche carezza, ricevendo in cambio delle fusa rumorose. La donna prese un pezzo di syrniki, lo arrotolò su se stesso, lo immerse nel kvas e, prima che Galina riuscisse a protestare, fece ingoiare il boccone all'animale. Poi lo lasciò zampettare via, sotto le espressioni incredule delle Pupille.

«Madrina...» sussurrò Galina.

Olga non si fece impietosire. Alternando lo sguardo fra il micio e le sue protette, intinse il syrniki rimanente nella marmellata di fragole. Lo morse, mangiò con gusto, si leccò le dita mentre il gatto giocava con un lembo sfilacciato del tappeto. Contò lo scorrere dei secondi e poi, finalmente, notò che i movimenti della bestiolina si erano fatti più lenti.

Quando Myshka stramazzò a terra in preda alle convulsioni, Olga sorrise. Non sapeva da dove arrivasse la sua soddisfazione, ma era confortevole, una certezza a cui poteva affidarsi.

Le Pupille strillarono, balzarono in piedi e indietreggiarono verso il muro dall'altra parte della stanza. Il gatto vomitò sangue, si contorse un'ultima volta e infine, dopo un fremito, si rilassò e non si mosse più.

Olga non era sicura di potersi alzare senza che le sue gambe cedessero, perciò rimase seduta.

«Volete essere voi le prossime ad assicurarsi che il mio kvas sia avvelenato a dovere?» chiese.

Galina le rispose con un singhiozzo e Olga si stupì di avvertire la rabbia montarle in petto. Pur conoscendo l'accuratezza delle profezie della Verifera, aveva sperato di essere l'eccezione quando, nei giorni precedenti, si era riempita i polmoni di profonde boccate d'aria, per ricordarsi che, a discapito di tutto, era ancora viva.

Tuttavia, Myshka giaceva morto sul tappeto, la bava e i grumi di sangue alla bocca, i dentini bianchi macchiati di rosso, e qualcuno doveva aver avvelenato il kvas.

La Madrina passò in rassegna i volti delle sue protette, in cerca di un segno di colpevolezza. Quello che trovò furono guance rigate dalle lacrime e nasi gocciolanti, una vista pietosa che la fece infuriare. Come osavano piangere per uno stupido gatto quando era stata Olga a rischiare la vita? Si sarebbero disperate alla stessa maniera se fosse stata lei a schiumare sangue dalle labbra?

Una mano amica, aveva detto la Verifera, e le uniche amiche che Olga avesse mai conosciuto erano tutte in quella baita. Erano state loro a organizzare la festa e a prodigarsi per far trovare a Olga i suoi dolciumi e distillati preferiti. La colpevole avrebbe avuto a sua disposizione tutto il tempo necessario per avvelenare il boccale e passare inosservata.

«Tornate qui» disse la Madrina. Quando le ragazze non le obbedirono, aggiunse a denti stretti: «Non fatemi ripetere.»

Amaliya fu la prima ad avvicinarsi – sempre la prima. Galina e Sonechka la seguirono, tenendosi per mano. Le tre giovani si accomodarono sul tappeto, a debita distanza dal corpo del gatto.

A debita distanza da me, pensò Olga, amareggiata.

«Madrina-» provò a dire Sonechka.

«Silenzio.»

Olga trasse un respiro per tranquillizzarsi. Doveva ragionare, e per farlo aveva bisogno di resistere all'impulso di scaraventare ogni oggetto che le capitava a tiro contro le ragazze davanti a lei. Non desiderava altro se non strozzare quelle sciagurate.

Le odiava con tutta se stessa.
Le amava a tal punto da non poter immaginare una vita senza di loro.

«Adesso, vi dirò cosa accadrà se la colpevole di questa insulsa congiura non salterà fuori» esordì. «Attenderemo che la bufera si plachi e torneremo a casa. Una volta lì, vi farò rinchiudere nella cantina e vi interrogherò una ad una. Se vi ostinerete a tacere, mi prenderò le vostre dita, o la vostra lingua, devo ancora decidere. E se continuerete a resistermi, vi scuoierò vive e vi appenderò fuori dalla mia abitazione, così che tutti possano vedere cosa accade a chi si mette contro Olga Krasnova.»

«Non siamo state noi!» esclamò Galina. I suoi capelli biondi erano arruffati, il suo viso gonfio per il pianto e i suoi occhi chiari risaltavano in modo innaturale grazie al rossore che li contornava. Il moccio le colava dal naso, eppure Olga si chiese come facesse a conservare la sua bellezza anche in quelle condizioni.

«Vi ho dato tutto. Vi ho raccolto dalla strada quando non eravate altro che sudicie zecche. Vi ho lavato, vi ho vestite, vi ho insegnato a leggere. Vi ho dato il mio nome. Siete delle Krasnova quando prima valevate meno di un sacco di letame. E voi mi ripagate in questo modo?» Olga indicò con un gesto della mano il povero Myshka. Alzò il mento e, con fare accondiscendente, continuò: «Potrei ancora perdonarvi, sapete? Dovete solo dirmi chi di voi è stata.»

Non fu necessario aggiungere che, se non avessero parlato, se ne sarebbero pentite.

Inaspettatamente, nonostante la minaccia, si ritrovò a sbattere contro il mutismo delle sue protette. Non erano nemmeno in grado di reggere il suo sguardo, tuttavia tenevano la bocca sigillata con cieca ostinazione.

«Non avete nulla da dire, mie care?» Olga sorrise, mostrando i denti. «Molto bene. Facciamo così, allora: proverò a indovinare.»

Che il gioco abbia inizio, dunque.

Nota dell'autrice
Surprise, surprise. SURPRISE SURPRIIIIISE!
I'M BACK FROM THE DEAD. E ho pubblicato in anticipo. L'Apocalisse deve essere molto vicina.
Comunque, scherzi a parte. Non so cosa mi abbia spinta a tornare su questa piattaforma, ma sono contenta che LMSDK sia il mio lavoro di ri-esordio. È una storia che in origine nasce come un racconto, e come tale doveva essere pubblicata. Tuttavia, mentre la revisionavo, mi sono resa conto che avevo ancora molto da scrivere su la Madrina e le Pupille, e per questo ho allungato il brodo. Adesso, LMSDK conta otto parti, e ne vado molto orgogliosa. Gli aggiornamenti verranno eseguiti nei prossimi fine settimana e saranno doppi, quindi tenete d'occhio le notifiche.
Prima di chiudere, volevo condividere con voi il significato del nome Myshka, che mi sembra molto carino: "topolino". E in effetti, il povero Myshka non ha fatto la fine degna di un gatto...
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti!

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