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Quattordicesimo giorno prima delle Calende di febbraio (19 gennaio)
L'espressione della donna che le aprì la porta fu di pura sorpresa.
«Cognata!» esclamò poi, allargando le braccia. «Che bello vederti!»
«Ero di passaggio e ho pensato di farti un saluto» replicò Livia, scrutando la sorella di suo marito.
Nonostante avesse passato i quaranta e la sua vita fosse stata costellata di disgrazie e umiliazioni, Ottavia era ancora una bella donna. Portava i capelli biondi acconciati frettolosamente sulla nuca - in una pettinatura molto diversa da quella che era solita sfoggiare in pubblico, con le trecce raccolte in una crocchia e il ciuffo rigonfio sulla sommità del capo - e alcune ciocche ribelli le spiovevano ai lati del volto armonioso. Gli occhi grigiazzurri, identici a quelli del fratello, la fissavano con calore e stupore. Le volte in cui Livia aveva fatto visita alla cognata in tutti quegli anni potevano contarsi sulle dita di una mano e non si poteva di certo dire che le due donne fossero amiche. Per Livia, Ottavia era niente più che una pedina nei giochi politici di Ottaviano, una fattrice di bambini e una madre adottiva per una serie di pargoli che la guerra aveva privato di entrambi i genitori. Ottavia, invece, non si sentiva a suo agio con una donna lucida e intelligente come Livia e la considerava in tutto e per tutto il braccio destro di suo fratello.
Però entrambe avevano imparato la sottile arte della cordialità familiare fin da piccole, quindi Livia finse che quella fosse una mera visita di cortesia e Ottavia finse di crederci.
«Che pensiero gentile» sorrise la padrona di casa. «Entra pure.»
Livia varcò la soglia della domus chiedendo: «Che fine ha fatto il tuo ostiarius?»
«Oh, sarà in giro da qualche parte.»
«È sconveniente che debba venire tu ad accogliere gli ospiti» non poté evitare di rimbeccarla Livia.
Ottavia percepì la sua ostilità ma la placò con un sorriso dolce. «Non giudicarmi, cara Livia. Ho tanto tempo libero.»
«I tuoi figli non ti tengono abbastanza impegnata?»
«Da quando sono terminati i preparativi per le nozze della mia primogenita con il caro Agrippa mi sono ritrovata con le mani in mano.»
Livia non aveva alcuna intenzione di perdere tempo in frivole chiacchiere, ma si costrinse a chiedere: «Stanno tutti bene?»
«Oh sì! Marcello è con il maestro di equitazione, Claudia Marcella è con la grande Antonia - stanno spettegolando a proposito di un giovane conosciuto all'ultima festa pubblica. La piccola Antonia, invece, ha preso a seguire i gemelli come un'ombra, non li lascia mai. Credo che siano accanto all'impluvium a dare da mangiare ai pesci.»
Era difficile non perdere il conto di tutti i ragazzini che vivevano in quella casa. Dal primo marito, Ottavia aveva avuto tre figli: la maggiore, Claudia Marcella, aveva sedici anni ed era da poco sposata con Agrippa, il fedele amico di Ottaviano; quello di mezzo, Marcello, aveva quindici anni ed era senza dubbio il nipote prediletto da Ottaviano, che non nascondeva di volerlo fidanzare a sua figlia per farne l'erede e successore; infine, l'altra Claudia Marcella, tredici anni, nata dopo la morte del padre. Poi Ottavia si era risposata con il triumviro Marco Antonio - una mossa politica volta a garantire la sua fedeltà al partito di Ottaviano - e da lui aveva avuto due figlie, entrambe chiamate Antonia: la più grande aveva dodici anni, la più piccola nove.
Ma dentro quella domus non vivevano solo i bambini che il grembo di Ottavia aveva generato: dopo Azio e la sconfitta della regina Cleopatra e di Marco Antonio, Ottaviano aveva deciso che sarebbe stata sua sorella a prendersi cura dei figli che i suoi nemici avevano dato alla luce. E così i gemelli Cleopatra Selene e Alessandro Elio si erano aggiunti alla nidiata, insieme al fratellino minore Tolomeo Filadelfo, che però era morto due inverni prima. Ottavia non aveva battuto ciglio quando suo fratello le aveva ordinato di prendersi in casa i figli che il marito aveva avuto dalla sua amante, dalla regina egiziana, dalla donna per la quale Antonio aveva rinunciato a tutto, sanità mentale, onore e infine la vita. Ottavia amava i bambini ed era stato naturale per lei amare i tre piccoli come se fossero stati suoi.
E poi c'era Iullo Antonio. Figlio di Marco Antonio e della sua prima moglie Fulvia, aveva raggiunto la casa di Ottavia dopo la morte della madre, molto prima di Azio. Era stato il primo "figlio adottivo" di Ottavia e, forse, quello cui lei era più legata. Ma nessuno avrebbe potuto leggere una preferenza nel cuore buono della matrona.
Comunque, era proprio quel ragazzo il motivo per cui Livia era lì.
«Iullo Antonio è in casa?» domandò infatti, lasciando improvvisamente perdere i convenevoli.
Ottavia si adombrò. Iullo era un ragazzo d'oro ma aveva diciotto anni, e i diciotto anni sono un'età molto difficile. «Ha fatto qualcosa di male?» chiese subito, torcendosi le mani per la preoccupazione.
«No, ma ho bisogno di parlargli.»
«È in biblioteca. Come sempre» aggiunse con un sorriso. «Trascorre le mattine con il grammaticus e i pomeriggi a scrivere rotoli e rotoli di papiro. Credo sia componendo un qualche tipo di poema ma non vuole farmelo leggere.»
Perché probabilmente sa che non è un capolavoro, malignò Livia. Seguì la padrona di casa fino alla biblioteca, dove ebbe occasione di indispettirsi nuovamente quando, prima di aprire la pesante porta di legno, Ottavia batté tre rapidi colpi con le nocche, chiedendo addirittura: «È permesso?»
Livia stava per ricordarle che quella era casa sua e che doveva farsi rispettare, ma Ottavia entrò nella biblioteca annunciando allegramente: «Caro, hai visite!»
Livia si fece avanti e scorse la sagoma di Iullo Antonio china su uno scrittoio. Non appena la vide, il ragazzo depose il pennino e si alzò in tutta la sua imponente altezza, ereditata dal padre. Gli mancava però la sua muscolatura, dato che si rifiutava espressamente di andare in palestra e di fare qualsivoglia esercizio fisico. Era magro e allampanato, con le ginocchia nodose e le spalle un po' curve. Ma ciò che gli mancava nel fisico compensava nel volto. Aveva lineamenti gradevoli e un sorriso accattivante, gli stessi capelli ramati e occhi nocciola del padre, denti bianchissimi e un naso dritto e aristocratico.
«Imperatrice» si inchinò con deferenza.
Livia si girò verso Ottavia. «Puoi lasciarci soli?»
Lei non si risentì per essere stata congedata dalla sua stessa casa. «Vado a controllare cosa stanno combinando i ragazzi. Vuoi che ti faccia portare qualcosa?»
«Non è necessario.»
Ottavia svanì oltre la porta, che si richiuse alle sue spalle. Livia osservò Iullo, che si era appoggiato con indolenza allo scrittoio.
«Se la donna più importante di Roma vuole parlarmi, devo averla fatta proprio grossa» scherzò il ragazzo, che in realtà non pareva molto sulle spine. Aveva ereditato il carisma di suo padre, la sua abilità nell'accattivarsi le simpatie di chiunque. In futuro, questo avrebbe potuto rappresentare un problema.
«Conosci il lupanare "L'antro di Venere"?» andò dritta al sodo Livia.
Iullo Antonio fece un risolino imbarazzato, grattandosi i riccioli color rame. «Temo di sì.»
«Sei un frequentatore abituale?»
«Temo di sì.»
«Bene. Ho bisogno che tu mi ci faccia entrare.»
Iullo sbatté le palpebre, la mano ancora sulla testa arruffata. «Non credo di aver cap...»
«Hai capito benissimo, invece. A quanto pare, le donne non sono bene accette in quel posto. Devi trovare il modo di farmici entrare questa notte.»
Iullo si sedette sullo scrittoio, costernato. Rimase zitto per qualche istante e infine chiese: «Augusto lo sa?»
«E non dovrai farmi domande al riguardo.»
Solo allora, Iullo mostrò qualche segno di preoccupazione. «Imperatrice... quello che mi chiedete non è solo impossibile, è anche del tutto immorale e... Se Augusto lo scoprisse...»
«Non lo scoprirà, perché glielo dirò io quando sarà tutto finito. Omettendo il tuo ruolo nella faccenda, ovviamente.»
Iullo la fissò e poi, improvvisamente, attaccò a ridere di gusto. Arrivò persino al punto da asciugarsi le lacrime, prima di ansimare: «E io che pensavo che sarebbe stata una giornata noiosa!»
Scosse la testa, l'ilarità che gli faceva splendere gli occhi. Oh sì, pensò Livia con improvvisa lucidità. Questo ragazzo sarà un bel problema, in futuro.
Iullo scattò in piedi e si sfregò le mani. «Ma sì, facciamolo! È da tanto che non vedo la cara, vecchia Purpurea.»
Livia drizzò le spalle, contenta di averlo convinto tanto facilmente. Non che avesse mai dubitato della propria capacità di persuasione. Era da tempo che non aveva più bisogno di chiedere; le bastava ordinare. «Come lo faremo?» chiese, pratica.
Iullo si portò una mano al mento, cogitabondo. Quindi le scoccò un'occhiata birichina, squadrandola dalla testa ai piedi. «Ho un'idea, ma non credo vi piacerà.»
DIZIONARIO DELLE PAROLE LATINE
Grammaticus: precettore che si occupava del secondo livello di istruzione dei ragazzi di età superiore ai dodici anni. Insegnava lingua e letteratura greca e latina, storia, geografia, fisica e astronomia
Ottavia
Iullo Antonio
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