Sangue gemello
Comunicarono a Korsark che si sarebbero diretti verso la casa delle altre due principali sospettate. Lo trovarono intento a supervisionare il lavoro degli altri agenti come suo solito, nella camera da letto della vittima, impartendo direttive e ispezionando l'ambiente circostante. Il vecchio agente acconsentì a lasciarli andare con un cenno de capo, facendosi promettere che gli avrebbero riferito tutto ciò che sarebbe emerso dall'interrogatorio, senza nascondere particolare alcuno.
«È successo solo una volta, ed è stata solo un svista!» aveva replicato Robert in risposta alle parole del poliziotto, che sapeva starsi riferendo ad un caso di qualche tempo prima, in cui lo psicologo aveva dimenticato sbadatamente di riferire un piccolo particolare della psiche del sospettato. Piccolo a detta sua, difatti, però, quel particolare fece concludere il caso.
Korsark liquidò la faccenda con un cenno della mano. «L'ho detto solo per precauzione. Comunque sia,vedete di non perdervi per strada. Se il signorino qui smarrisce gli occhiali è la fine» disse scherzosamente accennando a Travor, che roteò gli occhi e incrociò le braccia al petto, per poi andarsene dalla stanza seguito dall'amico, il quale si affrettò a raggiungerlo dopo aver salutato il capo dipartimento.
Uscirono dalla casa e percorsero il viale fino allo spiazzo erboso dove erano parcheggiate le volanti bianche con la facciata a quadrati gialli e blu. Presero quella di Travor, visto che Robert si era fatto accompagnare sul luogo da Evans, come accadeva quando la destinazione era troppo lontana da raggiungere in bicicletta. Travor accese il motore e immise la macchina di nuovo nella strada asfaltata che costeggiava quella villa sfarzosa.
Si lasciarono casa Braxton alle spalle, mentre il paesaggio veniva di nuovo sostituito dai prati erbosi sui quali pascolavano greggi di pecore. Le nuvole si erano ormai diradate quasi del tutto e il Sole cominciava a riscaldare con la sua flebile luce parzialmente mascherata dalle nubi rimanenti. Robert accese la radio dell'auto, sintonizzandola su una stazione che trasmetteva smooth jazz e rilassandosi sul sedile.
«Jazz? Davvero?» chiese retoricamente Travor alzando un sopracciglio.
«È un genere musicale molto rilassante, Evans lo mette sempre la mattina per svegliarsi» commentò l'altro, guardandolo.
«Non possiamo mettere qualcos'altro?» domandò l'agente di polizia.
Robert sbuffò «E va bene» disse cambiando stazione. Il suono de "La cavalcata delle valchirie" si diffuse nell'abitacolo.
«E questo cos'è?» chiese Travor sorpreso.
«Wagner» rispose solo l'altro , tranquillamente, osservandosi le unghie.
«Sai, non intendevo proprio questo, prima» disse il moro.
«Ah, no? Cosa si può volere di più?» volle sapere lo psicologo.
«Non lo so! Il rock?» Robert fece un'espressione contrariata. «Va bene, va bene, niente rock. Troviamo un compromesso allora» propose Travor. L'altro annuì e mise sulla solita stazione che trasmetteva principalmente Pop. Robert provava sempre a far ascoltare all'amico altri tipi di musica, "per ampliare i tuoi orizzonti" diceva sempre, ma la discussione aveva sempre quella conclusione.
Qualche canzone dopo videro in lontananza una casupola, l'unica nelle immediate vicinanze. L'abitazione delle sorelle Moore era grande quanto un piccolo appartamento e, così sperduta nel nulla, dava l'idea di essere stata un vecchio capanno degli attrezzi abbandonato. Era ricoperta per la maggior parte da edera e possedeva un solo piano. Era quasi cubica e aveva le pareti esterne intonacate di giallo canarino. In alcuni punti, però, la vernice si scrostava, mostrando il grigio del cemento sotto di essa.
Parcheggiarono ai lati della strada, notando che davanti alla casa era presente un piccolo giardino nel quale crescevano fiori di campo e che era delimitato da una giovane siepe, che, piccola com'era, poteva definirsi al massimo un piccolo cespuglio. Percorsero Il sentiero ricoperto di ghiaia che portava all'ingresso e suonarono il campanello.
Venne ad aprire una donna che non poteva avere meno di trentacinque anni, pressappoco, dal volto squadrato e gli zigomi in rilievo, incorniciato da una chioma di capelli biondi, del colore del fieno secco in estate, tagliati al livello delle orecchie in un elegante caschetto. Fissava i due colleghi squadrandoli con uno sguardo confuso, soffermandosi soprattutto sull'aspetto –che poteva considerarsi abbastanza eccentrico– di Robert. Molto probabilmente non si aspettava una tale visita, d'altronde, come avrebbe potuto?
«Lei è Rachel Moore, sorella di Chloé Moore?» domandò Travor, cercando di indovinare quale delle due sorelle fosse la persona che avevano davanti. Sperò in un colpo di fortuna, onde evitare il più possibile situazioni imbarazzanti.
La donna annuì in modo smarrito, guardando i due uomini diffidentemente.
«Sì, sono io... Potrei sapere sapere il perché di questa domanda?» chiese a sua volta con una punta di sospetto nella voce.
«Siamo del distretto di polizia di Invercargill, io sono l'agente Travor Riggs, della squadra omicidi, e questo è il mio partner, lo psicologo Robert Brooke» al sentirsi menzionato, quest'ultimo accennò un saluto con la mano «Avremmo piacere di parlare con lei e con sua sorella» la informò il poliziotto, osservando il lampo di sorpresa che le attraversò il viso per un secondo.
«Ma certo, entrate pure» disse girandosi, facendo svolazzare lievemente la gonna del vestito nero con una fantasia di fiori rossi, che le arrivava fino alle ginocchia, e facendo segno di accomodarsi. Si ritrovarono in un piccolo soggiorno provvisto di un angolo cottura, probabilmente fungeva anche da cucina, al cui centro vi era un tavolo di legno, di forma rotonda, al quale era seduta un'altra donna avvolta in una coperta grigia intenta a bere una bevanda calda, forse tè. Aveva gli stessi occhi vivaci e verdi della sorella, alla quale somigliava molto fisicamente: difatti la forma del viso era la stessa, forse leggermente meno scavata, come il naso a punta, le labbra sottili e la corporatura slanciata, seppur questa desse l'impressione di essere leggermente più in carne. Si potevano distinguere facilmente per il solo particolare dei capelli, infatti, quella che i due colleghi intuirono essere Chloé Moore, li aveva scuri come il legno d'ebano e lunghi fino a quasi metà schiena, raccolti in una coda ordinata alla base della testa.
Rachel si sedette vicino alla sorella, invitando con lo sguardo i due colleghi a fare lo stesso.
«Chlo', questi signori sono della polizia, dicono di volerci parlare» spiegò alla sorella, utilizzando un nomignolo affettuoso. Chloé rivolse ad entrambi un sorriso stanco e li salutò cordialmente, saluto che venne subito ricambiato. Aveva un'aria malaticcia, sotto gli occhi aveva delle occhiaie bluastre, era pallida e sembrava ricurva sulla tazza fumante, quasi a voler assorbire il più possibile il calore del suo vapore, ma ciò non toglieva alla sua espressione un ché di grazioso e un tono gentile.
«Posso offrirvi qualcosa? Un tè, magari? O, se preferite, del caffè?» chiese iniziando di alzarsi.
«Non sforzarti, posso farlo io» sussurrò Rachel gentilmente, avendo visto il gesto della sorella.
«Tranquilla, ce la faccio» replicò, per poi volgere il capo verso i due colleghi, aspettando una risposta.
«Per me niente, grazie» rispose Travor.
Al suo rifiuto, la donna si rivolse a Robert. «Lei, invece?»
«Se non le arreca disturbo, gradirei un tè, la ringrazio»
«Nessun disturbo» affermò sorridendo, alzandosi un po' dolorante, seguita dallo sguardo preoccupato di Rachel, e riempì una tazza con l'acqua calda contenuta in una teiera di porcellana bianca, per poi metterci un infusore riempito della miscela usata per la tisana, dall'odore sembravano frutti di bosco. La porse a Robert, informandolo che avrebbe dovuto essere pronta entro qualche minuto, per poi sedersi nuovamente al suo posto, tenendosi il ventre con entrambe le braccia.
«Si sente bene?» chiese Travor notando il suo stato.
«Sì, non si preoccupi, è solo un normale mal di stomaco» minimizzò lei.
«Allora... A cosa dobbiamo questa visita?» domandò Rachel dopo qualche attimo di silenzio, irrequieta.
Travor rivolse uno sguardo al compagno, chiedendogli implicitamente di dare lui la notizia, non essendo mai stato pratico in quel genere di cose, cosa che l'altro lo sapeva bene, perciò prese parola quasi subito cogliendo il suo atto.
«Vedete, signore, purtroppo portiamo una notizia assai spiacevole. Il signor Braxton...» fece una pausa guardandole negli occhi, cercando di prevedere la reazione di entrambe e sperando di non causare loro troppo dolore. Quella, infatti, era una delle parti più difficili nel loro lavoro, portare la notizia della morte di un proprio caro e poi comunicare a esso il suo rientrare nella lista dei possibili sospettati, consapevoli di causare molte pene all'interlocutore, causava notevole disagio anche a chi lo faceva da anni. Prese un profondo respiro e continuò, cercando di mantenere il tono più pacato e rassicurante possibile «purtroppo è deceduto».
L'aria parve farsi più fredda di colpo e il tempo sembrò rallentare, mentre le due sorelle afferravano il significato di quelle parole. L'effetto che ebbero fu devastante, tanto che Chloé, appena le ebbe udite, rischiò di soffocarsi con la bevanda che stava sorseggiando, prendendo a tossire violentemente, al punto che la sorella si alzò dalla sedia sotto la sguardo del detective e dello psicologo, anch'essi alzati, pronti ad intervenire, iniziando a darle delle pacche sulla schiena cercando di aiutarla. Chloé terminò, rimanendo immobile sulla sedia e accasciandosi contro lo schienale, con gli occhi umidi e la tazza ancora stretta tra le mani, sicché le sue nocche erano diventate lattee per la forza con la quale teneva quella posizione. Rachel, dopo essersi assicurata della salute della sua consanguinea, prese uno straccio e pulì il tavolo dalle gocce di tè che erano sfuggite dalla tazza mentre l'altra donna veniva scossa a causa del suo tossire, per poi mettersi in piedi di fianco a lei, tesa quanto una corda di violino ed evidentemente sconvolta da quella rivelazione.
«Deceduto? Com'è possibile? L'ho visto giusto ieri pomeriggio, stava bene...» ma la mora non terminò la frase, la voce le morì in gola, mentre cercava come poteva di trattenere le lacrime. Guardò i due agenti, sperando che fosse solo uno scherzo, li supplicava con lo sguardo.
«Riteniamo sia stato un omicidio» la informò Travor con tono grave. La prima lacrima solcò la guancia della donna, che se la asciugò con la manica della felpa grigia con una mossa repentina. In quell'atto si poteva scorgere un velo di fierezza, non voleva farsi vedere debole davanti a degli estranei e avrebbe fatto il possibile per contenersi.
«Immagino che stiate per informarci che siamo sospettate, vero?» chiese, quasi retoricamente, Rachel, freddamente.
«Temo di sì, signora» disse Robert con lo stesso tono dell'altro.
«Sentite, abbiamo appena perso quello che per me era un amico e per mia sorella una persona molto importante, nonché la nostra unica fonte di sostentamento e ora con che coraggio venite ad accusarci di averlo ucciso?» chiese indignata.
«Ci dispiace, non è niente di personale, ma non possiamo escludere nessuna possibilità. Non avete niente di cui preoccuparvi, nel caso non siate state voi ad ucciderlo la verità verrà a galla» le rassicurò Robert, tornando a sedersi, imitato dall'amico.
Il primo prese un sorso del suo tè, ormai pronto. «Davvero delizioso» commentò.
«Grazie, è un infuso che preparava nostra madre» affermò la domestica, accennando un sorriso.
«Signore» riprese Travor, riportando la conversazione al suo tema principale «potremmo farvi qualche domanda?»
«Certo» disse Chloé con ancora gli occhi rossi, tirando su con il naso, mentre Rachel, ancora in piedi dietro di lei, annuiva.
Lo psicologo sfogliò le pagine a righe del suo block-notes, fino ad arrivare ad una che non fosse già ricoperta di scritte, togliendo il tappo dalla sua caratteristica penna verde.
«Dove vi trovavate ieri sera, verso le nove?» esordì il poliziotto.
«Vediamo... Ieri sera ho iniziato a sentirmi male, circa dopo cena, saranno state le sette e mezza o giù di lì. Rachel si è presa cura di me, ma sono stata costretta a letto per tutta la sera e stamattina non sono potuta andare al lavoro» raccontò la governante.
«Un po' dopo sono uscita di casa, ero con Rhydian, il giardiniere, lavora con noi. L'avete già incontrato?» aggiunse l'altra.
«Sì, è stato lui a trovare il corpo del signor Braxton. Pare confermare il suo alibi»
«Oh, povero Rhyd! Non riesco ad immaginare quello che può aver visto!» esclamò Chloé, deglutendo. «Com'è morto?» chiese, poi.
«Due colpi con un oggetto contundente al petto. Non siamo sicuri si tratti di proiettili, non abbiamo riscontrato fori di uscita» rispose Robert.
«Capisco» disse singhiozzando, guardando la tazza che stava ancora stringendo «Pensate abbia sofferto?» rialzò lo sguardo verso i due colleghi, speranzosa di ricevere una buona notizia.
«Non lo possiamo dire con certezza, però è morto quasi subito, deve aver avuto appena il tempo di accorgersene» affermò Travor, mentre la donna sussurrava un lieve "almeno questo", appena udibile.
«Ci potreste parlare del signor Urquhart?» domandò gentilmente Robert, alzando gli occhi dal foglio, su cui era chino a scrivere. Aveva l'abitudine di assumere quella posizione quando scribacchiava qualcosa, nonostante si dicesse che rovinasse gli occhi. Molte volte, quando era a scuola, veniva ripreso perché da lontano potrebbe sembrare che si addormenti sugli appunti, tale era la poca distanza tra il suo volto e la carta che i capelli neri la coprivano completamente.
«Come già sapete, Rhydian era il giardiniere di Al. Era uno dei suoi pochi amici, lavorava per lui da sette anni, ormai, e il loro rapporto non poteva essere dei migliori. Al si fidava completamente di lui e negli ultimi tempi lo stava incoraggiando a finire gli studi per fargli prendere una specializzazione in botanica, che aveva abbandonato quando suo padre era morto e lui non aveva avuto abbastanza soldi per continuare, dicendogli che avrebbe pagato lui la retta. Lo aiutava a studiare e non toglieva quelle ore in cui stava in casa dalla sua paga, è... era molto altruista. Rhyd era sempre stato riconoscente per tutto quello che Al aveva fatto per lui, non lo avrebbe mai ucciso, non potrebbe fare del male ad un acaro della polvere!» raccontò Chloé, la sua voce, nonostante lei tremasse appena, era ferma.
«Ha per caso notato se negli ultimi tempi il signor Braxton si comportasse in modo diverso dal solito?» chiese Travor.
«No, era sempre il solito... L'unico cambiamento è stato che aveva iniziato a scrivere dei racconti, e ne era molto preso, ma oltre questo nient'altro» rispose lei.
Lo psicologo alzò nuovamente la testa dal foglio, interessato «Che tipo di racconti?»
«Erano brevi storie autoconclusive ambientate nel medioevo. A volte, nei momenti di pausa, ce le leggeva e ci chiedeva il nostro parere, diceva di volerne unire a formare una raccolta» intervenne Rachel.
«Pensate l'abbiano ucciso per rubargli le idee?» volle sapere la sorella. Aveva gli occhi sgranati e lucidi, le labbra le tremavano e deglutiva a fatica.
«Siamo ancora agli inizi dell'indagine, potrebbe essere un'ipotesi nel caso non ritrovassimo i manoscritti» asserì Travor, sistemandosi gli occhiali sul viso «Piuttosto, ci potrebbe descrivere la relazione tra lei e Alberic? Ci è stato detto che eravate in procinto di sposarvi»
«Mi aveva chiesto la mano qualche settimana fa, mi aveva portata nella sua stanza della casa preferita, illuminata dalle candele, si era inginocchiato e mi aveva detto le parole più belle che avessi mai sentito. Non potevo crederci» Chloé, non riuscendo più a trattenersi, scoppiò in lacrime, nascondendo il viso tra le braccia incrociate sul tavolo. Singhiozzava rumorosamente, ma tra i sigulti si potevano riconoscere alcune parole, che messe insieme probabilmente formavano la frase "non potrò più sentire la sua voce". La sorella si inginocchiò accanto a lei e le circondò le spalle con il braccio, sussurrandole qualcosa che Travor e Robert non riuscirono a sentire. Questi ultimi volevano fare qualcosa, ma non volendo peggiorare la situazione pensarono fosse meglio lasciare che fosse la gemella a consolare la signorina Moore.
Quando il respiro di Chloé si fu regolato e questa si asciugò le lacrime, cosa che accadde qualche minuto dopo, tornò a guardarlo con gli occhi ancora arrossati.
«Ci dispiace davvero per l'invadenza, abbiamo quasi finito» si scusò Robert. Chloé annuì e prese per mano la sorella, che gliela strinse.
Travor si rivolse a Rachel «Ci è stato detto che il signor Braxton pensava che lei rubasse...» cominciò.
L'interpellata si irrigidì e contrasse la mascella, rizzando la schiena «Solo perché a volte non trovava alcune sue cose perché non metteva mai gli occhiali! Mi accusava ingiustamente e l'abbiamo appurato, non vedo il motivo di tirare fuori questa storia adesso. Noi ci stiamo aiutando dicendovi tutto quello che sappiamo, ma non avete il diritto di accusarmi in questo modo» il suo sguardo si era indurito come la sua postura e il tono della voce si era alzato e fatto leggermente più stridulo, tutto nel suo comportamento mostrava come fosse sulla difensiva.
Nessuno dei due colleghi si aspettava quello scatto, e rimasero interdetti per qualche secondo. Fu Robert a parlare, la sua voce era calma e rassicurante «Non stiamo facendo accuse contro di lei, non ci permetteremmo mai a questo punto delle indagini, vogliamo solo raccogliere il maggior numero di informazioni che possano aiutarci. Comprendiamo di averle fatto una domanda inopportuna e non stiamo in alcun modo mettendo in dubbio la validità della sua collaborazione» le assicurò.
La donna rilassò le spalle e incurvò la schiena in una posizione più naturale, sospirando. «Mi dispiace per aver perso la calma, tutto questo è troppo da gestire in una volta sola...»
Robert accennò un sorriso gentile «Capisco perfettamente, non deve scusarsi, è una reazione comprensibile. Se non è disposta a parlarne adesso può sempre venire in centrale dopo e rilasciare una dichiarazione»
«Non c'è tanto da dire sulla faccenda in realtà, ho solo avuto una reazione esagerata. Alberic era un collezionista di manufatti medievali e ogni cosa esposta in casa era disposta secondo un ordine preciso di datazione. A volte per pulirli li spostavo, e lui pensava li avessi nascosti o rubati. Inoltre si rifiutava di portare gli occhiali e spesso scambiava un oggetto per un altro, pensando li avessi sostituiti. Poi però abbiamo chiarito e non ci sono più stati episodi del genere» raccontò ora lei, più tranquilla.
«Vi ringraziamo per la vostra testimonianza, se avrete qualcos'altro da dire non esitate a venire da noi. Vi faremo sapere in caso di progressi nelle indagini» promise Travor, iniziando ad alzarsi.
Robert finì di scrivere e rimise insieme le sue cose, per poi seguirlo. «Ci scusiamo ancora per il disagio» aggiunse.
«Non fa niente, grazie per il lavoro che state facendo sul caso, comunque» Chloé rivolse loro un sorriso accennato, gli occhi ancora lucidi e il capo chino, come se volesse solo sparire dentro quella tazza di tè quasi vuota che teneva davanti a sé.
Si diressero verso la porta, ma quando Travor l'aprì si ritrovò davanti un ragazzo di appena vent'anni, dai capelli ricci e del colore delle nocciole tostate, tagliati corti ai lati della testa e lasciati più lunghi al centro, che guardava l'agente con un'espressione sorpresa mista a quella di chi è stato colto sul luogo del misfatto sul suo viso coperto di lentiggini, dal basso della sua altezza, cinque o dieci centimetri meno di quella dell'altro, con il pugno alzato come se fosse stato in procinto di bussare ma la porta si fosse aperta prima. Si trattava nientemeno che di Martin Legan, il tirocinante di Bethany Davis, il medico legale.
«Legan che ci fai qui?» esclamò Robert, sorpreso quanto il partner.
«Davis voleva informarvi che aveva i risultati del tampone eseguito sulla ferita» rispose sorridendo.
«E perché non ci ha semplicemente mandato un messaggio?» chiese il poliziotto alzando un sopracciglio inquisitore.
«Mi sono offerto di dirvelo di persona. Volevo assistere ad un interrogatorio...» ammise, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzato.
Sebbene ci fossero una quindicina di gradi fuori, il ragazzo era in maniche corte. Da quando l'avevano conosciuto, nessuno dei due l'aveva mai visto con una giacca, salvo quella volta in cui aveva nevicato. Stranamente non si era mai preso un raffreddore, ma ciò non aveva impedito a Davis di regalargli un pesante maglione l'inverno passato.
«Che ti è successo al braccio?» domandò lo psicologo avvicinandosi all'arto e notando che dal gomito usciva una goccia di sangue dovuta ad un'abrasione sulla pelle diafana, con un tono velatamente preoccupato.
«Nulla di grave, nella fretta di raggiungervi, appena ho parcheggiato, sono caduto dalla moto mentre scendevo. Mi succede spesso, non avevo nemmeno notato di stare sanguinando» minimizzò, sorridendo per la sua stessa sbadataggine.
«Tieni, ho un fazzoletto, intanto asciugati il sangue» gli consigliò Travor, offrendogli un pacchetto di fazzoletti di carta.
Robert si girò quindi verso le sorelle Moore, mentre gli altri due stavano uscendo, e prima di chiudere la porta diede loro un ultimo saluto «Signore, scusateci ancora e arrivederci» disse. Queste sorrisero, ma, come poté notare, Chloé era notevolmente più pallida rispetto a prima.
Dopo questo uscì dalla casa delle sorelle, venendo investito dall'aria fresca e dal profumo del polline dei fiori estivi di inizio dicembre. Un tenue raggio di sole gli accarezzò il viso, riscaldandolo di poco.
Fece qualche passo per raggiungere gli altri, che intanto si erano incamminati per il giardino.
«Soffre di emofobia» commentò Robert, rompendo il silenzio appena li ebbe raggiunti, ottenendo che due persone si fermassero e si girassero verso di lui, confuse.
«Cosa?» chiese Travor, non capendo a cosa si riferisse, mentre il ragazzo ascoltava la loro conversazione.
«Chloé Moore.» specificò «Ha paura del sangue, data la reazione che ha avuto vedendo Legan. Ne sono quasi del tutto certo, i segnali c'erano, forse è stata in cura da un terapeuta per questo, dovremo controllare poi».
«Quindi non può aver ucciso Braxton» ragionò Legan.
«Non ho detto questo, è solo improbabile che l’abbia fatto. Se una persona del genere vuole
uccidere, cerca di farlo in modo da non vedere il sangue, per esempio usando del veleno. Oltretutto statisticamente le donne sono più propense ad utilizzare questo metodo» specificò lo psicologo. Martin annuì, dando segno di aver capito.
«A proposito, quali sono le informazioni che ha raccolto Davis?»
domandò in un secondo momento ricordandosi del motivo principale per cui il ragazzo si trovava lì.
«Giusto, stavo dimenticando. Il trauma peri mortem non è stato causato da un proiettile ma da un corpo contundente, è affondato nel cuore scalfendo le costole. Dal tampone sulla ferita, passato allo spettrometro di massa sono stati rilevati l’1,64% di carbonio» lasciò la frase in sospeso, perché venne subito interrotto da Travor.
«Dicci direttamente il materiale,sai che non ci intendiamo di percentuali». Legan assunse un’aria lievemente mortificata, prima di
riprendere.
«Acciaio, vecchio di almeno sette secoli secondo la datazione effettuata. Dai segni lasciati sulle costole sembrerebbe provenire da una lama affilata ma non seghettata, con una
forma triangolare. Ho le foto delle lastre, aspettate» e dicendolo prese il cellulare dalla tasca dei jeans grigio-bluastri, mostrando ai due le radiografie del torace della vittima, in cui si notavano dei segni rossi fatti con il pennarello da Davis, che formavano due tracce oblique tra loro e molto vicine, ad evidenziare la traiettoria dei colpi.
«Non ci sono altre ferite o segni di lotta nella vittima, è
morta istantaneamente e senza provare a difendersi o non avendone il tempo» aggiunse Legan.
«Inviaci la foto e tienici aggiornati sui particolari scoperti dall’autopsia» ordinò Trevor, mentre si avviava verso la sua autovettura, seguito dal collega.
«Detto fatto, signor Riggs» fu la risposta del giovane, mentre camminava anch'egli nella direzione della sua moto nera, parcheggiata sul prato vicino.
*Angolo di chi scrive all'una di notte*
Ho ricominciato a scrivere, ma ho bisogno dei vostri consigli, perché mi sembra di non stare usando bene lo show don't tell...
Qualsiasi errore o suggerimento vogliate darmi o segnalare sono pronta a riceverlo, purché sia espresso cordialmente.
L'unica nota a piè di pagina in questo capitolo è che, essendo la nuova Zelanda nell'emisfero australe, le stagioni sono, diciamo, "al contrario", quindi l'estate per loro è per noi l'inverno. Inizio dicembre non è proprio estate perché non c'è ancora stato il solstizio, ma dopotutto anche noi abbiamo la tendenza a considerare inizio giugno come estate. Se comunque pensate sia un'incoerenza potete dirmelo tranquillamente, si fa presto a modificare.
Questo capitolo è il mio regalo di natale per voi, 3968 parole, sono felice di essere tornata a scrivere.
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