L'imprevisto

Pochi interminabili secondi d'indecisione e tanto bastò. In quel preciso istante il cellulare cominciò a vibrare con un ronzio insistente. Era lì sul tavolo, e non smetteva di riportarlo indietro.

Mycroft sussultò, prima incerto, poi incuriosito guardò quell'ultima chiamata. Posò la pistola trepidando.

Sherlock. Dio! Si ritrovò l'anima in gola. Il cuore saltò un battito, illudendosi che il suo amato fratello avesse ancora bisogno di lui.

E rispose dandosi un contegno.

"Sherlock, che cosa vuoi? Sono impegnato." Mycroft cercò di essere l'inespressivo freddo uomo che si era cucito addosso.

"Ti cercano tutti, sei sparito!" Sembrava incuriosito, ma sentiva la voce di Mycroft incrinata, si avvicinò di più alla casa di Pall Mall.

Perché Sherlock era lì fuori che lo cercava con lo sguardo dalle finestre.

Era da troppo tempo che non si faceva sentire, anche Violet sua madre, chiedeva insistentemente di lui. E Sherlock aveva capito che Mycroft stava male. Lo sentiva nelle ossa e nel cuore.

"Dove devo essere fratello? Sono a casa, sbrigo del lavoro e adesso dimmi cosa vuoi." Mycroft cercava di recitare bene la sua parte, ma era contento di sentire la sua voce. Dopo sarebbe riuscito a chiudere i suoi conti con tutti, serenamente.

Il detective lo vide seduto al grande tavolo, incurvato sulla sedia e tremò angosciato. Il piccolo revolver era appoggiato sul tavolo, con un foglio e la stilografica in bella mostra. Non gli ci volle molto a capire.

Lo intrattenne al cellulare con una scusa banale ed entrò piano in casa, lasciava sempre aperto.

"Sherlock per Dio! Arriva al dunque! " Mycroft si stava irritando, trovava inutile conversare su delle cose futili.

Sherlock era entrato in silenzio, gli fu rapidamente alle spalle. "Credo che prenderò in prestito una cosa Mycroft. Questa!" Il giovane Holmes alle sue spalle afferrò la rivoltella, mentre l'altro si girò di scatto e se lo trovò davanti.

Rimase immobile, il cellulare traballò nelle sue mani, impallidì.

Il più giovane credeva sarebbe svenuto, prese un bicchiere d'acqua dalla cucina e glielo porse costringendolo a bere. "Piano, respira, razza d'idiota, cosa stavi per fare!"

Mycroft vacillava, non riusciva a smettere, soprattutto per la vergogna di avere Sherlock lì davanti.

Il fratello minore cercò di calmarlo, si sedette di fronte a lui, lo prese per le mani e le strinse così forte che Mycroft si lamentò. Era furioso e allo stesso tempo sconvolto. Alzò la voce.

"Se avessi tardato pochi minuti, avrei trovato il tuo amato cervello sparso sul tavolo. Cristo! Cosa ti è preso?" Sherlock implorava una risposta sensata. "Mi volevi condannare a ricordarti morto in questo modo, con il tuo sangue disseminato ovunque. E per quale misterioso motivo vuoi chiudere la tua vita, fratello?"

"La mia vita è stata una faccenda ignobilmente inutile, Sherlock!" Mycroft scattò in piedi lasciando la sua stretta. Gli occhi ridotti in due linee sottili, si morse irrequieto le labbra sanguinando. Portò le mani sulle tempie stringendole tanto forte che divennero bianche.

"Inutile? Ma come sei giunto a questo, per Dio? La tua vita inutile? Sei stato presente in ogni attimo della mia esistenza! Gesù, sei tu lo sconsiderato adesso." Sherlock rifletté per alcuni secondi.

"È stato per Eurus, vero? Per quello che lei ha fatto! E per mamma e papà! Per quello che hai visto nei loro occhi. Ma lo sai che era la scelta giusta da fare! Ti ho appoggiato." Si rabbuiò in volto. "Ma in parte è anche colpa mia, nel averti pensato sempre forte." Ora se ne rendeva conto con amarezza.

Mycroft continuava a rimanere muto, preso nel contorto giudizio di sé stesso.

"Vestiti! Prendi il cappotto usciamo da questa casa." Sherlock ebbe un moto di rabbia. Si avvicinò al fratello che si lasciò guidare.

Il minore lo aiutò a mettere il Crombie nero e gli aggiustò la sciarpa. "Fa freddo fuori e tu hai bisogno di schiarirti le idee. Semmai nei hai una che funzioni lì dentro."

Ma Mycroft continuava nel suo desolato silenzio.

Presero la porta che dava sul retro, che portava nella campagna e seguiva una mulattiera. Era illuminata da qualche fioco lampione, perché era giunto il buio.

L'aria sferzò il viso contratto di Mycroft, che rabbrividì per il freddo. Si alzò il bavero e ficcò le mani in tasca. Non lo faceva mai per non rovinare i suoi costosi cappotti, ma ora niente aveva importanza.

Un pensiero lo assalì. Poteva già essere morto da un'ora, sentì lo stomaco rivoltarsi, il dolore salire fino a farlo gemere dalla disperazione.

Sherlock lo prese sotto braccio e lo forzò a camminare. "Non pensare a nulla, respira e seguimi. Forza."

I due fratelli procedevano lenti, senza parlare, nel buio della sera. Mycroft insicuro, incespicava vicino a Sherlock, si stringeva nel cappotto, rabbrividendo.

Non poteva sorreggersi con il suo amato ombrello che Sherlock aveva requisito.

Teneva le mani strette a pugno nelle tasche. Sollevava la testa di tanto in tanto, guardando il fratello minore. E non riuscì più a trattenersi, si fermò improvvisamente.

Sentì salirgli una sofferenza violenta che gli offuscò la vista. La sua mente così unica cominciò a vacillare improvvisamente assente, si sentiva fisicamente distrutto.

Si nascose il volto con le mani. Sentiva le gambe cedere. E sarebbe crollato se non ci fosse stato suo fratello.

Sherlock lo afferrò e lo tenne stretto, lo fece appoggiare al muretto. Poi lo abbracciò con tutto l'amore che poteva dimostragli. Myc affondò il volto sulla sua spalla e soffocò la disperazione, mentre diceva cose sconnesse, chiedendogli di perdonarlo.

Il minore avvertì tutta la sua angoscia e tremò.

Non era più l'altero, freddo British Government, il Mycroft, scaltro e risoluto. Ora era Myc, schiacciato dalla sofferenza e da un peso portato troppo a lungo. Completamente smarrito.

Quando si calmò, Sherlock lo fece camminare ancora per qualche tratto, stemperando l'ansia che lo avvolgeva. Gli porse un bianco fazzoletto per asciugarsi il volto umido, Mycroft lo afferrò esitando, mormorando un timido. "Grazie"

"Stasera vieni a Baker Street, prendi dei vestiti, starai con noi per qualche giorno.'"

Non protestò, sapeva che era instabile e rimanere da solo poteva portarlo a riprovarci. Guardò il fratello e annuì senza parlare.

Il bel viso di Sherlock si addolcì. Lo aiutò a prendere coraggio, mentre il giovane Holmes realizzò quanto fosse andato vicino a perderlo per sempre.

La luna apparve e illuminò il volto teso di Mycroft, i suoi lineamenti una volta così decisi ora erano appena accennati. La stanchezza lo segnava. Eppure Sherlock vide una luce nei suoi occhi grigi che lo rincuorò.

Entrarono in casa, Sherlock prese il foglio sul tavolo e lo diede al vecchio Holmes.

"Se queste erano le tue ultime parole Myc prendilo, mettilo via non voglio nemmeno vederlo." Era irritato e allo stesso tempo addolorato.

Mycroft lo infilò dentro la giacca senza parlare. Non riusciva a dire niente. Si limitò a salire insieme a lui in camera, a prendere alcuni vestiti. Ma era mentalmente affaticato, incapace di prendere qualsiasi decisione.

Gli mise un cambio dentro il borsone, cercò di coinvolgerlo, ma Myc non reagiva.

Sembrava allontanarsi come la sorella, temeva che andasse oltre, come Eurus. Perse la residua pazienza gli sferrò due sonori ceffoni.

"Ora metti qualcosa in quella borsa! Mycroft fa quello che ti dico!"

Lui si scosse dolorante, le guance arrossate, si massaggiò il viso e finalmente parlò.

"Per Dio, fratello! Mi hai fatto male. Hai delle mani pesanti."

Il minore fu contento di risentire la sua voce. Quella che molte volte aveva giudicato fastidiosa, ora gli sembrò il dono più dolce.

"Te ne darei mille se servisse a farti ragionare." Il minore gli sorrise finalmente rasserenato.

"Dio, Sherlock, prima mi abbracci poi mi riempi di schiaffi." Brontolò. "Però mi ha fatto bene." Mycroft increspò le labbra e gli restituì un debole sorriso.

Al giovane Holmes sembrò di toccare il cielo con un dito. Mai il volto sorridente di suo fratello gli era stato così caro.

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