L'arrivo a Baker Street
Chiamarono un taxi che arrivò velocemente a Pall Mall.
Salirono silenziosi nell'auto. Il giovane Holmes portava il borsone del fratello, che gli pesava come una intera vita. Si sedettero vicini, Sherlock avvisò John del suo arrivo con il fratello al seguito.
Watson fece poche domande, sapeva che quella scelta era stata dettata dalla necessità. Certo non sospettava il pesante perché.
Mycroft, guardava fuori dal finestrino, si stringeva nel cappotto quasi avesse bisogno di protezione. Aveva portato con sé il laptop, residuo del suo potere, formattato da carteggi compromettenti. Non avrebbe lasciato nulla dietro di sé che nuocesse alla sua famiglia.
Sherlock lo guardava ogni tanto, non sapeva bene cosa fare con suo fratello. Non lo riconosceva più, certo non era quello di sempre. Era così immerso nel suo mutismo, da farlo esasperare. Lo scorse appoggiare la fronte sul vetro e lo chiamò. "Mycroft, girati per favore. A cosa stai pensando?"
Lui scosse la testa, finalmente mormorò due parole. "Nulla, non penso a nulla, non sarà facile affrontare la compassione generale che vorrete affibbiarmi. Ma bada fratello che io non la voglio. Ero sicuro della mia scelta."
"Anche prima? Quando avevi capito l'errore che stavi per fare?" Il minore lo avrebbe picchiato per la sua testardaggine. "Guardami ora, dimmi che non ti fa piacere vedermi e parlarmi. Ed essere vivo! Stupido!"
Mycroft grugnì. Abbassò la testa. "Forse hai ragione, ma a cosa mi condanni adesso! Devo fingere di stare bene, mentre ti illudi che tutto tornerà come prima. Vuoi forzarmi a sorridere mentre dentro mi piego! " Mycroft si strinse il volto fra le mani, e si rese conto di non avere soluzioni. "Dio Sherlock, dimmi cosa devo fare perché io non lo so! "
Tornò a guardare la strada buia, mentre gli saliva prepotente la nausea.
Sherlock se ne accorse, fece fermare il taxi e lo spinse fuori, appena in tempo perché Mycroft vomitò anche l'anima. Fece il giro e lo tenne dalle spalle.
"Va meglio? " Sherlock gli teneva la fronte, mentre piegato in due il vecchio Holmes cercava di controllare il suo stomaco sottosopra.
Faceva freddo, tutti e due tremavano, Sherlock aspettò che si stabilizzasse, lo guidò verso l'auto. Il tassista li fissava perplesso.
"Tra poco saremo a casa e John si occuperà di te. Ora, cerca di stare tranquillo. Troveremo una soluzione insieme. Te lo giuro, non ti lascerò, qualsiasi sia il costo da pagare."
Il maggiore annuì stremato. L'unica cosa che voleva era un letto su cui distendersi. Risalirono nel taxi, Il detective chiamò Watson avvertendolo di scendere in strada per dargli una mano. Mycroft si lasciò andare al conforto del fratello, appoggiò la testa sulla sua spalla.
Sherlock sentiva crescere dentro una strana sensazione; si chiamava "cura". E non era un vantaggio. Quante volte glielo aveva ripetuto Mycroft e lui non aveva ascoltato.
Vide la familiare Baker Street e Watson poco oltre. Si sentì leggero. Scostò il fratello con delicatezza.
"Siamo arrivati, Myc." Non rispose, ma si raddrizzò.
Scese, non ci fu bisogno di dire nulla. John gli leggeva dentro e lo aiutò.
Prese in consegna Mycroft, pallido e insicuro. Lo sorressero entrambi. Il taxi fu pagato velocemente, salirono con il vecchio Holmes che non collaborava.
"Dimmi cos'ha, così che possa intervenire." Watson lo scrutava professionalmente, non riuscendo a capire cosa gli fosse successo.
Il giovane Holmes portava il fratello di peso. "Mettiamolo nella camera degli ospiti, poi ti spiego."
Mycroft si animò quel tanto da riconoscere John, ma la nausea lo limitava. Lo stesero nel morbido letto e lui si lasciò andare.
Il dottore prese la valigetta, cominciò a visitarlo. Sherlock lo spogliò, prese il borsone, tirò fuori il pigiama.
"Ha dato di stomaco e non smette di agitarsi." Era preoccupato, non riusciva a guardare in faccia il suo amico.
" Va a prendere queste medicine e queste fiale." Si occupò di Mycroft, lo chiamò, ma lui non rispondeva.
"Che hai, cosa ti è successo?" Ebbe un attimo di lucidità, lo guardò con aria di sfida.
"Vuoi sapere cosa ho fatto, mio buon Watson? Tanto te lo dirà mio fratello. Ho cercato di spararmi. Volevo mettere fine alla mia vita. Se Sherlock non fosse arrivato, ora organizzeresti il mio funerale."
John sbiancò. Sapeva la volontà di ferro di Mycroft e se lo aveva detto era vero. Lo esaminò, cercò di calmarlo.
Poi pensò al suo compagno e si irritò. "Non hai pensato alle persone che ti vogliono bene?"
"Perché devo preoccuparmi sempre per gli altri, John! È tutta la vita che vi proteggo! Non vi siete mai accorti di me! Quando mai vi siete chiesti cosa provassi?" Si agitò, divenne incontrollabile, il dottore fu costretto a chiamare in fretta il minore per farsi aiutare a tenerlo.
"Ora dormirai Mycroft, ti rilasserai, le discussioni le faremo in seguito". Sherlock arrivato in corsa, tenne stretto il suo braccio, Watson fu veloce e abile a infilargli l'ago in vena. Mycroft si dimenò, ma stretto al corpo di Sherlock si addormentò stremato.
John guardò la faccia tirata di Sherlock, lo prese per il braccio e lo trascinò fuori.
"Lasciamolo riposare. Ora si calmerà." Chiusero la camera in silenzio. Il giovane Holmes, distrutto da quello che era successo in quelle ultime ore, sprofondò nella vecchia poltrona.
Chiuse gli occhi, le mani giunte sotto al mento. Il suo compagno si sedette di fronte, rimase in silenzio. Pensò alla figlia Rosie che dormiva serena nella sua cameretta, inconsapevole che quello zio austero, ma benevolo, aveva perso la strada. Si rese conto che Mycroft, l'Ice man quello dalle decisioni veloci e non sempre legali era stato la sicurezza di tutti loro.
Watson si massaggiò la nuca mentre Sherlock aprì gli occhi e prese a raccontare al suo compagno quello che era successo. Non tralasciando nulla, un epilogo penoso che interruppe più volte.
"Se fossi arrivato pochi minuti dopo, non avrei più un fratello! Come potevo pensare che sarebbe arrivato a tanto. È sempre stato così razionale." Sbuffò e appoggiò la nuca sulla spalliera. "Devo decidere cosa fare per tirarlo fuori dal pantano in cui sta affondando. Ora tocca a me."
John fu professionale. "Per adesso possiamo solo sostenerlo, con farmaci antidepressivi, che lo tengano tranquillo, che stabilizzino l'altalena delle sue emozioni. Dobbiamo convincerlo che per un certo periodo li dovrà prendere." Si fermò per ribadire le sue convinzioni. "Le crisi allo stomaco, sono dovute alla sua emotività, che non conosce e si traduce in dolore fisico." Si avvicinò al detective, appoggiò la mano sul suo ginocchio.
Sherlock sbuffò seccato. "Non sarà facile, conoscendo mio fratello. Per un certo periodo sarà difficile lasciarlo solo, non voglio che possa riprovarci."
"Siamo in due e troveremo qualcuno che ci dia una mano." Watson era convinto di poter aiutare i due fratelli.
Sherlock intanto elaborava una condotta da tenere. " C'è il problema del posto che ricopre, se vengono a sapere che è sopravvissuto a un tentativo di suicidio, avranno timore che sia instabile, che i segreti che conosce siano mal riposti. Lo potrebbero obbligare a entrare in una delle loro case di cura e non ne uscirebbe più!" Agitò la mano in aria.
"Quindi cosa vuoi fare? Tenerlo nascosto è impossibile! " Watson sprofondò nella poltrona.
"Potrei trovare un accordo. Nel suo laptop Mycroft ha cancellato tutto per proteggerci, e metterci al sicuro, ma posso farlo ripristinare. Con quello che c'è dentro posso accordarmi. Lo farò dichiarare, momentaneamente incapace, ne prenderò la tutela legale a garanzia. Lo proteggerò in modo chiaro, lo blinderò, non dovranno toccarlo." Sembrò convinto, sorrise determinato.
"Non lo accetterà. È troppo orgoglioso." John finì per innervosirsi e si alzò.
"Lo era! Ora ha bisogno di sicurezze, è un modo per tenerlo al riparo da ritorsioni e soprattutto che possa restare con noi. Altrimenti lo perderò di nuovo." I suoi occhi si scurirono ma fu un breve attimo.
John strinse le spalle. "Dovrai parlargli, spero sarà in grado di comprendere, è decisamente indifeso."
"Vedremo domani, mio caro John, vedremo quanto è compromesso!" Il vecchio orologio segnava l'una di notte. Nessuno aveva mangiato quella sera.
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