04. Bloody Beagle

Strinsi i pugni e rimasi inerme a vederla allontanarsi, con il suo ancheggiare sinuoso e la testa alta, verso la sua auto. Faceva scattare le sue gambe affusolate mettendo un piede davanti all'altro in modo deciso, quasi nervoso. Si era appena infilata gli occhiali da sole e sapevo che quel gesto era volto a nascondere le lacrime. Le avevo visto mordersi le labbra prima. Le sue lentiggini si erano colorate di rosa, come se la temperatura del volto fosse diventata incandescente. I suoi occhi grigi invece erano diventati più scuri e velati, come se le iridi fossero appena state colorate di una vernice fresca.

L'avevo ferita. Ne ero conscio. Ma non sapevo più cosa fare con lei. Non eravamo riusciti a instaurare un buon rapporto da quando mia mamma si era trasferita da Connor. A dire il vero, non eravamo proprio riusciti ad avere neanche lontanamente una sorta di relazione puramente civile.

Ma ero stanco di vederla combinare casini su casini mettendo a repentaglio questa famiglia neonata. Volevo che mia mamma vivesse serenamente. Era finalmente riuscita a rifarsi una vita dopo tutto quello che avevamo passato.

Non avevo una grossa stima del suo nuovo marito. Connor era calmo, equilibrato e le riservava tantissime attenzioni. Ma qualcosa in lui non mi convinceva. Forse dipendeva dal modo in cui ignorava la figlia e non si rendeva minimamente conto di come si stesse autodistruggendo.

Io, invece, ce l'avevo sotto il naso tutte le sere che trascorrevo negli Hampton perché frequentavamo le stesse feste.

La vedevo allo sbando ogni dannata sera e più lei esagerava, più suo padre fingeva di non accorgersi di nulla. Per questo mi ritrovai presto a sentirmi in qualche modo responsabile per lei. Aveva ragione. Non avevo nessun diritto di interferire. Il più delle volte mi limitavo a osservarla da lontano durante i party per controllare che non si cacciasse in qualche guaio davvero grosso.

Stacy continuava a lamentarsi di non passare mai una serata da soli. Ma era più forte di me. Volevo evitare a mia mamma qualsiasi altro dramma familiare.

E quindi continuavo a uscire con lei e con i miei amici, prendendo parte a tutte le feste dove ricchi rampolli si davano alla pazza gioia sperperando in DJ, alcol e droghe i soldi dei loro paparini.

Sapevo bene cosa stesse facendo Gabrielle. C'ero passato anche io. Riconoscevo il dolore dal modo sfrenato in cui ballava, beveva e dal modo in cui si faceva con quella sua amichetta lesbica e manipolatrice. Continuavo a ripetermi che non erano problemi miei, ma alla fine ero sempre qui appena riuscivo a scappare da Manhattan, a prendere parte a feste di ragazzini viziati e a frequentare una donna di cui non ero innamorato. Volevo bene a Stacy fin dai tempi in cui ci divertivamo senza impegni negli spogliatoi del personale del country club, quando lavoravo in piscina come bagnino per aiutare mia mamma con le spese. Eravamo diventati subito ottimi amici con benefici. Ci eravamo allontanati quando vinsi la borsa di studio per Harvard e di conseguenza non riuscivo più a tornare a casa spesso.

Ora invece lavoravo nella city, e tornavo a Montauk ogni weekend. Stacy era solo un altro pretesto per farlo, ma ancora di più era un'ottima distrazione per non guardare in faccia la realtà. Quell'elefante nella stanza che mi sforzavo tanto di ignorare.

Per lo stesso motivo, trascorsi il resto della settimana a lavorare rintanato nel vecchio studio di Connor. Mi svegliavo all'alba e andavo a fare surf a Kirk Park Beach. Con rammarico di mia madre, rimanevo fuori per colazione.

Volevo evitarle altri battibecchi tra me e Gabi.

Non avevo accennato nulla a mia madre riguardo la nostra ultima litigata, ma il suo sguardo mi aveva raggiunto attraverso la veranda quando Gabi se ne era andata quella domenica pomeriggio. La tristezza dei suoi occhi mi era bastata per capire che era molto delusa per come stavano andando le cose.

Quindi per tutta la settimana evitai la mia sorellastra per quanto mi fosse possibile. Pranzavo con mia madre sapendo che Gabi non tornava mai dalla spiaggia e la sera a tavola mi limitavo a parlare il meno possibile. Lo stesso facevo ogni volta che incrociavo il broncio di quella ragazza dai capelli rossi, mordendomi la lingua per evitare di pronunciare le solite frecciatine che in genere le riservavo.

Stava filando tutto liscio, ero fiero della posizione neutrale che stavo mantenendo e la settimana si era quasi conclusa. Quella sera mia mamma e Connor sarebbero volati a Miami e io potevo finalmente rilassarmi e smettere di impersonare la Svizzera.

Ma proprio quella mattina andò tutto a rotoli.

Ero felice dopo aver cavalcato le migliori onde della settimana. Il sole delle prime ore del giorno mi stava finalmente scaldando mentre mi apprestavo a ingurgitare una doppia razione di uova e bacon al BloodyMarien. La proprietari, Marien per l'appunto, era la regina delle colazioni e le sue uova strapazzate erano famose in tutta Montauk. Adoravo quel chiosco circondato da tavolate dello stesso legno del pontile. Aveva in sottofondo musica rock anni '80 che si mischiava al fragore dei gabbiani. Due suoni magici che mi mettevano di buon umore. Così come la figura familiare di Marien, una bellissima donna che mascherava molto bene la sua età nonostante avesse visto crescere me e la maggior parte dei miei amici che frequentavano il suo chiosco dopo scuola. Tuttavia quella pace non durò a lungo.

«Ehi amico, che si dice a Manhattan?»

Matt Lee si era infilato al mio tavolo senza alcun invito, dopo avermi dato una sonora pacca sulla spalla. Il mio rilevatore di rabbia era già balzato a livello arancione solo a vedere il suo muso giallo.

«Ehi Splendore, mi puoi far portare del caffè e una bagel al formaggio?» disse rivolto a Marien prima di tornare alla carica. «Allora Point Break, hai visto che onde oggi? Cavolo, appena ho visto le previsioni, sono tornato prima da Harvard apposta!»

Provai a contare fino a dieci per mantenere la calma.

«Va tutto bene, fratello?» mi incalzò, non avendo ancora avuto nessuna reazione da parte mia in quanto ero impegnato a gestire un'irrefrenabile voglia di scombinargli quel suo bel visino dai lineamenti delicati.

«Sì, scusami. Avevo la bocca piena. Già... giornata fantastica, peccato dover tornare a lavorare.»

«Stai lavorando da remoto da casa dei tuoi?»

«Sì, esatto.»

«Senti, volevo chiederti un favore. Riguarda la tua nuova sorellina.»

Livello di rabbia balzato a rosso fuoco.

«Cosa vuoi, Matt?»

«Beh vedi, lo scorso weekend abbiamo, come dire... legato in modo molto, molto profondo.»

Ridacchiò cercando la mia complicità come se stesse parlando di una ragazza qualsiasi. Non trovandola, soffocò la sua viscida risata, cercando di andare dritto al punto e correggendo il tono, ma purtroppo non il contenuto. Tirò fuori il cellulare e mi mostrò il profilo di Gabi nella sua rubrica.

«Vedi, mi ha lasciato il suo contatto, ma forse era troppo ubriaca e deve aver fatto casino con i numeri perché risulta inesistente. È tutta la settimana che provo a chiamarla.»

Allarme rabbia a livello viola!

«Scusami Matt, credo di non aver capito bene. Stai per caso dicendo che ti sei scopato mia sorella mentre era completamente sbronza?»

Marien interruppe la sua conversazione con una delle cameriere e iniziò a guardare preoccupata nella nostra direzione.

«Oh andiamo amico, lo sappiamo tutti come è fatto quel peperino. Non prendertela sul personale. Non sono mica il primo e poi non è neanche tua sorella. Ti assicuro che mezza Long Island la conosce molto meglio di te.»

Allarme nero! Mayday, abbandonare il BloodyMarien. Il naso dello stronzo si autodistruggerà tra tre, due, uno... e sbam!

In uno scatto, gli presi la nuca e gli sbattei il suo bel faccione sul piatto che la cameriera gli aveva appena portato.

«Scusa, Marien. Ti lascio la mancia per le pulizie extra. Però guarda, ti ho creato un nuovo piatto: Il Bloody Beagle.»

Indicai con l'indice il piatto di Matt ricoperto di sangue, ma vedendo che lo sguardo di Marien rimaneva truce e impassibile, smisi di comportarmi da coglione e lasciai una banconota da cento dollari sul tavolo mentre Matt si contorceva dal dolore. Ma prima di andarmene, mi piegai su di lui e gli bisbigliai all'orecchio.

«Tieni quelle luride mani lontano da Gabi, faccia da sushi, o ti assicuro che questo sarà solo un piccolo assaggio di quello che ti aspetta.»

Mi diressi verso la porta, chiedendo ancora scusa a Marie, la quale continuava a guardarmi in modo severo.

Avevo appena sputtanato una settimana di sforzi e il nervosismo non andava scemando mentre guidavo verso casa. Dovevo darmi una calmata prima di rischiare qualsiasi interazione con Gabi. Ero sconvolto dalla mia stessa reazione.

Avevo già provato rabbia in passato quando qualcuno mi chiedeva il numero di Gabi, palesemente interessato più alla sua brutta reputazione che a lei. Lo stesso succedeva quando la vedevo tra le braccia poco galanti di qualche ricco e arrogante figlio di papà. Ma ero sempre riuscito a gestirla.

Entrando nel vialetto, fui pervaso da un senso di sollievo vedendo Connor e mia madre che stavano caricando le valigie in macchina.

«Tesoro, meno male che sei arrivato! Dobbiamo anticipare la partenza per via della tempesta in arrivo. Temevo di non riuscire a salutarti.»

«Non ti preoccupare, mamma, fate buon viaggio e pensate a divertirvi. Se il tempo è buono e non ho riunioni in programma, tornerò qui a metà della prossima settimana.»

Ero rimasto sul vago perché non ero sicuro di voler tornare così presto. Dovevo prima assicurarmi di riprendere il controllo di me stesso.

Mia madre si avvicinò per stringermi in uno dei suoi affettuosi abbracci.

«Nate, mi raccomando. Trattala con gentilezza mentre siamo via. Lo so che non si comporta bene, ma ha bisogno di essere accettata per capire cosa vuol dire essere una famiglia.»

Connor ci raggiunse con l'ultimo borsone contenente la sua attrezzatura subacquea.

«Bene! È tutto pronto, possiamo partire, Susy! Figliolo, passa un buon weekend e tieni d'occhio la mia ragazza.»

Come faccio da anni, Connor, proprio perché tu non ti degni mai di farlo.

Non pronunciai davvero quella frase. Rimase rinchiusa nella mia testa a fomentare la mia rabbia. Mi limitai a fingere un sorriso e abbozzare una controbattuta scontata.

«E tu tieni d'occhio la mia, Connor!»

Salirono in macchina per poi imboccare il vialetto mentre io rimanevo lì a guardarli allontanarsi con un gran amaro in bocca per l'ipocrisia di quel momento. Mi aveva chiesto di badare a Gabi giusto per dire una qualsiasi frase fatta da uomo alpha in partenza, più per impressionare mia madre che per una reale preoccupazione per quello che poteva combinare sua figlia a casa, da sola e senza alcun freno.

E io non ero più così certo di essere la persona giusta per sorvegliarla.

Che dire... Matt sembra essersela un po' cercata, non pensate anche voi?

Vi ha divertito questo capitolo?

Cosa pensate del subbuglio di Nate?

Ci troviamo al prossimo capitolo! A presto!

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