03. Verità pungenti
Mi preparai per andare al Sound&South.
Indossai il mio bikini color argento di Vivienne Westwood, con i lacci che si incrociavano sopra l'ombelico. Me lo aveva regalato Micky per il mio compleanno. Lo adoravo. Era davvero sensuale e mi faceva sentire desiderata solamente a indossarlo. Mi infilai un paio di shorts in jeans strappati, una camicia bianca aperta, il mio cappello in paglia oversize e mi soffermai indecisa se indossare subito gli occhiali da sole. Nonostante il sogno inquietante, quelle quattro ore di sonno profondo mi avevano rimesso al mondo. Non avevo più i segni della serata ed ero nuovamente raggiante. Infilai i miei occhiali nella borsa di paglia e mi recai di sotto a testa alta.
Rimpiansi presto, però, di non essermi nascosta subito dietro a un bel paio di lenti scure.
Stacy, la ragazza del mio fratellastro, era seduta al mio posto a pranzare con tutta la mia famiglia. Alzai gli occhi al cielo, maledicendomi per non aver imboccato il portone di casa senza passare a salutare.
Point Break mi fulminò con uno sguardo truce, mentre mio padre continuava a ridere e scherzare con il mio rimpiazzo conviviale, ignorando come al solito la mia presenza.
Stacy era la classica biondina dalle tette rifatte e niente materia grigia. Se io avevo un costante vuoto nel petto, lei lo aveva nel cervello. Non capivo davvero perché il mio fratellastro ci stesse assieme. Era bello e di successo. Poteva avere entrambe le cose: una mente intelligente in un corpo da urlo. Non gli sarebbe costata tanta fatica trovare una ragazza con ambedue le caratteristiche.
Stacy invece faceva l'estetista al country club e non riusciva a intavolare nessuna conversazione che non riguardasse i gossip di tutta Long Island o qualche stupido reality show. Eppure stavano insieme più o meno da quando sua mamma si era trasferita a casa nostra. Ogni weekend Nate lasciava la Grande Mela per stare con le sue tre bionde preferite, in ordine di importanza: sua mamma, la sua tavola da surf gialla come il sole e Stacy tette rifatte. Che poi non era nemmeno bionda naturale, ma tinta. E pure male.
Si vedeva lontano un miglio che non ne era innamorato e a giudicare dalle conversazioni telefoniche con i suoi amici, che origliavo di tanto in tanto dal bagno, frequentava altre donne in città.
Eppure quando era qui, erano sempre assieme. Capitava spesso di incrociarli ai vari party negli Hamptons e lui se la portava sempre dietro con i suoi amici.
«Ciao a tutti, io esco. Vado al Sound&South!»
Cercai di essere sbrigativa per non essere incastrata in qualche inutile conversazione e mi dileguai in cucina per riempire di caffè la mia fidata mug da viaggio.
Ma fu un errore fatale, perché il mio fratellastro e Stacy mi seguirono, sollecitati da Susan che aveva chiesto loro di sparecchiare e prendere dell'uva dal frigorifero.
«Allora Gabi, i gossip freschi di giornata ti davano avvinghiata in spiaggia a un bel ragazzone asiatico, ieri notte! Chi è? Lo rivedrai?»
La schiena del mio fratellastro si irrigidì e si fece tesa come una corda di violino. Era in piedi di spalle con la faccia rivolta al il frigorifero, ma non faticavo a immaginare l'espressione di disgusto comparsa sul volto.
Prese con un gesto che tradiva nervosismo il cestino dell'uva e chiuse lo sportello sbattendolo rumorosamente.
Si appoggiò con entrambe le mani sul bancone, facendo guizzare nervosamente i bicipiti , e buttò fuori l'aria dalle narici come un toro pronto ad attaccare.
«Cristo santo, Gabi, Matt Lee, davvero? Hai timbrato il cartellino anche con lui?»
Avevo dimenticato l'alta probabilità che si conoscessero avendo frequentato Harvard negli stessi anni.
«Quello che faccio io e la mia vagina non ti deve interessare! Non sono affari tuoi. Non sei mio fratello! Il condividere il bagno con me un paio di volte alla settimana non ti dà il diritto di parlarmi in questo modo.»
Stacy sussultò sullo sgabello del bancone su cui si era accasciata non appena le rotelline del suo cervello avevano lentamente elaborato di aver fatto un gran casino. Per un attimo mi fece quasi tenerezza. Non era cattiva, era proprio solo tremendamente stupida.
«Ah, non sarebbe affare mio? Davvero? E come mai devo sorbirmi sempre amici e conoscenti che mi assillano per infilarsi nelle mutandine di mia sorella?»
«Non. Sono. Tua. Sorella!» urlai con più rabbia di quanto pensassi di avere in merito all'argomento e in tutta la casa calò il silenzio. Per un lunghissimo istante io e il mio presunto fratello ci guardammo in cagnesco. Fu lui a rompere il silenzio con una irritante calma e un odioso tono paternalistico.
«Non sarai mia sorella, ma che tu lo voglia o no, siamo una famiglia ora. Anche se siamo tutti adulti, sarebbe meglio che la smettessi di comportarti come una bambina viziata. Non fai altro che sballarti e scopare in giro. Pensi che non lo sappia che sei indietro con gli esami? Hai già perso l'opportunità di entrare ad Harvard e ora dai per scontato che tuo padre riesca a infilarti comunque nel master alla Columbia. Se vai avanti così, non basteranno tutte le raccomandazioni di questo mondo e tu non sarai in grado di combinare niente di buono nella tua vita!»
La crudezza di quelle parole mi lacerò il petto. Nemmeno mio padre mi aveva mai parlato in modo così severo. Per
lo più, si limitava a ignorare qualsiasi cosa facessi, bella o brutta che fosse. Ma Nate, che diritti aveva di parlarmi in quel modo? Era entrato nella mia vita da meno di un secondo e per di più lo vedevo solo nei weekend.
La rabbia di prima, che mi aveva inondato come uno tsunami, si ritirò, lasciando spazio solo al dolore. Avrei voluto urlargli in faccia per l'ennesima volta che non aveva nessun diritto di parlarmi così, che lui non era nessuno per me. Ma sentivo le lacrime in arrivo. Dovevo sbrigarmi a uscire da quella casa e scelsi di imboccare la strategia difensiva più facile, anche se poco etica: quella della cattiveria, colpendolo proprio nella sua incoerenza.
«Beh, alla peggio Stacy potrà aiutarmi a trovare un posto come cameriera al country club. Non credo tu abbia dei pregiudizi a riguardo, giusto?»
E girai sui miei tacchi, sentendo quell'oca farfugliare.
«Certo Gabi, lo sai che ci sono per te, se vuoi mandami il tuo curriculum!»
Non aveva nemmeno compreso il senso di quella discussione e men che meno che l'avevo appena sminuita in modo bieco e tremendamente scorretto. La sua inconsapevolezza non mi fece sentire meglio per quello che avevo appena fatto.
Per di più, il mio fratellastro aveva ragione. Sapevo che stavo piano piano gettando via la mia vita. Per questo motivo Nate mi aveva ferita così tanto. Ma non ero capace di sopravvivere in modo diverso.
Raggiunsi il mio Wrangler bianco e mi sentii finalmente al sicuro in uno spazio solo mio. Mancavano diciotto minuti all'appuntamento con Micky. Ne avrei trascorsi quindici guidando e piangendo e tre nel parcheggio a rifarmi il trucco, ricostruendo la mia solita splendida maschera che trasudava sesso e divertimento. Il resto della giornata lo avrei dedicato a scacciare via dalla mia mente quelle parole così vere e crudeli che il mio fratellastro mi aveva appena sputato in faccia.
Ben ritrovate! Iniziamo a diventare un po' elettrici in questo capitolo! Cosa ne dite?
Vi sembrano legittime le preoccupazioni di Nate?
Non vi fa tenerezza Stacy?
Secondo voi, che impatto avrà su Gabi la ramanzina del fratello?
Fatemi sapere cosa pensate!
A presto!
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