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«Carola!»

«Lasciami dormire, voglio rimanere nel letto e poltrire per almeno cent'anni». L'anima e il corpo dolgono all'unisono, mi costa fatica qualsiasi movimento, perfino ascoltare la voce di Andrea.

«Carola...»

Perché è così dannatamente ostinato?

«Puoi lasciarmi marcire qui, al buio, da sola?» alzo il tono della voce cercando di essere più convincente. «Non adesso Andrea... Per favore».

«Cornetti al cioccolato, cappuccino e panna montata a parte».

La sola pronuncia di queste dolci parole apre una voragine nel mio stomaco, un suono sinistro proviene da quest'ultimo e gli occhi si sbottonano automaticamente. Ruoto a fatica la testa in direzione della sua voce e intravedo un'imponente figura addossata allo stipite della porta, poggio la mano destra sulla fronte per schermare la luce proveniente dal soggiorno.

«Se proprio insisti... - sbuffo - Mi alzo». Perché mi conosce così bene?

Affondo per l'ultima volta la testa sul cuscino bianco, inspiro profondamente e getto le gambe giù dal letto come l'ancora un marinaio, tre secondi di attesa e poi in piedi. Afferro un laccio per i capelli, li lego in malo modo e scalza mi dirigo verso Andrea che, impassibile e a braccia conserte, è rimasto sulla soglia della camera.

«Eccomi, sono in piedi e tu, amico mio, sei senza pietà». Come un'anima in pena entro dentro il bagno soffermandomi sull'immagine riflessa nello specchio, vorrei picchiarmi, un bel dritto sul naso sarebbe l'ideale.

"Ben ti sta. Ingenua. Ben ti sta!"

Inondo la faccia con un getto d'acqua gelata cercando di far smettere questa dannata vocina.

Sono svuotata, come se tutte le emozioni fossero svanite nel nulla, Lorenzo non si è limitato ad aprire il vaso di Pandora, lo ha letteralmente distrutto. Stronzo!

"L'amore è una cosa meravigliosa, come in una favola bacerai un rospo che si trasformerà in un fantastico principe azzurro, da quel momento vivrai momenti fantastici, ti farà battere il cuore, girare la testa, camminare ad un metro da terra sospesa su soffici nuvole, finché morte non vi separi!"

Come una vera imbecille ho creduto alla favola, ero proiettata in un futuro tutto mio, tempestato di rose e fiori, con il bel vestito in tulle, i boccoli biondi e il mio principe che in sella al suo destriero mi avrebbe amata e rispettata per l'eternità.

Il rumore delle nocche di Andrea sul legno della porta mi scaraventa nuovamente al presente sbattendomi in faccia la cruda realtà. Niente rose, boccoli e abiti sontuosi, ma, al contrario, occhiaie, occhi gonfi dal pianto e capelli ingarbugliati.

Carola, era una favola, appunto.

Dimenticavo il principe azzurro, magicamente scomparso! Dall'alto del suo destriero, scrutando l'orizzonte ha notato la principessa del castello a fianco e, sguainando la spada, si è diretto verso nuove prospettive.

Purtroppo la realtà è sempre l'opposto della fantasia e, come nel mio caso, ti ritrovi a baciare un meraviglioso principe azzurro che poi si trasforma in un maledetto rospo.

«Sei viva?» si lamenta Andrea dietro la porta.

«Arrivo! Non riesco a fare pipì se stai lì dietro, vai in cucina, mi lavo i denti e ti raggiungo». Con una smorfia guardo la lingua allo specchio, è verde, come il volto. Caccio in bocca lo spazzolino ricolmo di dentifricio mentre sento Andrea che sbatte ripetutamente la testa contro la parete. E' anche troppo comprensivo nei miei confronti essendo ancora inconsapevole della causa di tanta disperazione. Probabilmente si sarà immaginato la motivazione, ma io non ho spiccicato parola né quando ci siamo incamminati verso la sua auto né all'ingresso nel mio appartamento.

«Dopo aver dormito solo due ore su quel divano scomodissimo ho stampi di bottoni su tutto il corpo. Sono sceso da Tania per dirle che non stavi bene».

Riesce pure a strapparmi un sorriso immaginando la scena.

«Ogni volta quella donna mi spoglia con gli occhi, ho paura a starle vicino». Sospira in attesa di una risposta, poi non sentendo niente, per ammazzare il tempo, continua.

«Impaurito sono scappato via e rifugiato in un bar, ho deciso di prendere la colazione. In questa casa non hai niente di commestibile». Con tono supplichevole conclude. «Ti muovi?»

Apro di scatto la porta, volto lo sguardo nella sua direzione e, con un cenno del capo, indico la cucina. Mi siedo al tavolo e afferro un cornetto iniziando a piluccarne piccoli pezzi, mentre Andrea opta per il cappuccino.

«E' freddo».

Non presto attenzione alle sue parole perché sto osservando le persone passeggiare su Ponte Vecchio. Una compagnia di Giapponesi noncuranti della pioggia, che da stanotte imperversa su Firenze, seguono in fila la guida. Due uomini d'affari ben vestiti li attraversano nel senso opposto gesticolando animatamente, ed ecco, come per dispetto, una coppia di innamorati, si stanno riparando sotto lo stesso ombrello bianco, amorevolmente abbracciati si guardano negli occhi come se il mondo attorno a loro non esistesse.

D'istinto abbasso lo sguardo, travolta da un implacabile senso di amarezza.

«Era con un'altra»

Inghiottisco un pezzo di cornetto insieme a un boccone di delusione. «Nel privé».

Come un flash rivedo le due ombre, strette, congiungersi. «Sul letto, con un'amica di Cecilia - voltandomi verso di lui proseguo - si baciavano, ma la relazione dura da tempo».

La voce sgradevole di Lia non potrò dimenticarla. «Lei ha detto "portami con te anche stasera", anche stasera capisci?»

Andrea mi sta guardando in silenzio a braccia conserte.

«Chissà da quanto tempo scopano quei due!»

Istintivamente lancio il resto del cornetto sul tavolo.

«Dalla rabbia, mi è anche passato l'appetito - lo riagguanto - non è vero, ho fame». Indispettita caccio in bocca tutto il croissant rimasto e a bocca piena, continuo il mio monologo. «Mangerò fino a scoppiare, diventerò così grassa che nessun uomo vorrà più sfiorarmi». Apro il bicchiere del cappuccino, inforco due generose cucchiaiate di panna montata, inizio a mescolare e, senza neppure ultimare il boccone, ingurgito il tutto. Osservo Andrea che per adesso non proferisce parola.

«Certo, parlare con te è veramente stimolante». Alzo le spalle, irritata. «Una parola, un giudizio, un'opinione in merito...?».

Si alza in piedi dirigendosi verso il frigorifero, prende una bottiglia d'acqua, beve, pensa, beve nuovamente e, finalmente, parla.

«Te lo meriti». Chiude la bottiglia, serio.

«Ti preferivo zitto».

«Anzi, non capisco per quale assurda motivazione ti stia ancora piangendo addosso».

Silente ed ammutolita ascolto le sue ragioni.

«Dovresti accendere un cero alla Madonna - ride - ma di questa portata». Con le braccia cerca di farmi capire la grandezza. «Ti concedo oggi per disperarti a dovere, punto».

Nuovamente silenzio tra noi.

«Hai rincorso per anni qualcuno che non ti voleva, questa è la verità». Si siede di fronte a me indugiando un attimo prima di parlare.

Con un cenno della mano lo incoraggio, tanto ormai peggio di così!

«Volevi che ti dicessi quanto sono dispiaciuto?» Tace per una frazione di secondo. «Non lo sono!»

Abbasso lo sguardo come ammissione di colpevolezza.

Prosegue imperterrito. «Eravate forse una coppia? In due no di sicuro, una Carola e un minuscolo pezzo di Lorenzo! Tu lo chiamavi, tu lo cercavi, tu uscivi con i suoi amici, tu desideravi il matrimonio con le colombe, tu volevi il lieto fine e tu volevi disperatamente essere felice al suo fianco. Chiaro il concetto? Sei una cazzo di miracolata!»

«Mi rendo conto che è solo causa mia».

Andrea è sempre immobile di fronte a me, sulla sedia. «E per cosa hai pianto tutta la notte? Ti ho sentita!».

Alzo la mano destra con il pollice in bella vista. «Uno per non avervi ascoltato - indice - due per essermi fatta prendere in giro - medio - tre per aver creduto a un idiota - anulare - quattro per aver voluto con tutta me stessa qualcosa di impossibile - infine mignolo, il più doloroso - e cinque per un annunciato fallimento». Serro la mano e picchiando il pugno sul ginocchio di Andrea caccio un urlo.

«So perfettamente cosa dirai: "sei un uomo e quindi non puoi capire", ma semplicemente sei caduta, hai provato dolore, pianto e ora è arrivato il momento di rialzarsi».

«Sei un uomo, non puoi capire, per te è tutto così semplice... Oserei dire elementare!»

Fa spallucce. «Appunto, se iniziassi a darmi ascolto?»

Non ha tutti i torti. Avrei già dovuto farlo da tempo.

«Sei una bella ragazza, intelligente, con un lavoro che ti piace, un sacco di amici ed hai me! - sfodera l'occhiata sorniona - un avvenente ragazzo di trent'anni».

«Trentaquattro... sei peggio di una donna!»

«Intelligente, seducente, elegante...»

«Elegante? - ribatto - in venticinque anni, se escludo la cresima, non ti ho mai visto con una cravatta».

«Ecletticamente distinto ed elegante nei modi - strizza l'occhio - direi anche simpatico, quando siamo insieme sorridi sempre».

Scuoto la testa sogghignando per non dare nell'occhio.

«Vedi?! - dice - adesso togli quel broncio e andiamo».

«Dove?» chiedo.

«A Milano!»

«Sei matto». Obietto, indicando la mia figura indecente.

«Avrei avuto un brunch di lavoro all'Hotel Baglioni, ma, casualmente è saltato».

Mi stringo nelle spalle essendo la causa.

«Quindi, mentre piagnucolavi ho chiamato Richard spostando il nostro appuntamento all'ora di cena, aggiungendo una persona - sta indicando me - conoscendolo non farà alcun tipo di obiezioni vedendomi arrivare con una bella ragazza di fianco». Indugia per un secondo, poi aggiunge. «Potresti mettere in mostra il davanzale, così, adocchiando loro - indica il mio seno - non baderà ai numeri del mio compenso».

«Alla lista delle tue innate qualità hai dimenticato di aggiungere, "indelicato opportunista"». Cerco di raggiungerlo con la mano per assestargli una pacca, ma schiva il colpo. «Non userai le mie tette per i tuoi scopi personali!»

Ride mentre, prendendomi sotto braccio, ci incamminiamo verso il bagno.

«Lo so, sto scherzando, puoi usarle solo per i tuoi scopi personali - continua a ridere, ma adesso che sono vicina una sberla sul braccio l'ha presa - non si può neppure scherzare! Ora va ti prego perché di questo passo dovrò cambiare di nuovo l'appuntamento con una colazione».

Entro nel bagno chiudendomi la porta alle spalle, ma Andrea sta ancora borbottando qualcosa.

Apro di nuovo. «Cosa vai blaterando?»

«Dicevo, non importa che ti trascini dietro tutto il guardaroba, domenica, massimo all'ora di pranzo torniamo».

«Ok, prendo due o tre cose necessarie».

«Appunto!» Ha solo sprecato il fiato.

«Mentre faccio una doccia, chiama mia nonna per dirle che partiamo, a te farà poche domande».

«Solo un terzo grado» obietta.

«Sempre meno che alla sottoscritta. Dai è tardi». Sfodero un sorriso smagliante a trentadue denti e congiungo le mani. Annuisce rassegnato dirigendosi verso il telefono in soggiorno. Chiudendomi la porta alle spalle arrivo al mobile da bagno dove mi soffermo allo specchio. La faccia è verde come prima, gli occhi sono sempre gonfi, ma hanno una luce diversa e, in sottofondo, la conversazione di Andrea con mia nonna mi strappa un altro debole sorriso.

«Miria ho detto che torniamo domenica verso l'ora di pranzo»

Silenzio.

«Non sappiamo bene quando»

Silenzio.

«Non lo so... A causa del traffico»

Silenzio.

«Vedremo»

Silenzio.

«Ho detto ve-dre-mo, non ver-re-mo»

Silenzio.

«Benissimo Miria, all'una e mezza siamo lì»

Riaggancia, poi alzando la voce mi comunica l'esito della conversazione. «Domenica pranziamo da tua nonna»

«Ha fregato anche te?»

«Come sempre»

Sorridendo apro l'acqua della doccia, mi spoglio, ed entro all'interno.

Sono caduta, ho pianto, provato dolore ed ora è il momento di rialzarsi.

Oggi si apre un nuovo capitolo della mia vita.

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