26
Adoravo il Natale, fin da piccola è sempre stato il periodo dell'anno che preferivo, la città illuminata, maestosi alberi addobbati in ogni dove, bambolotti barbuti e finti pupazzi di neve disseminati ovunque, tutto era magico, accettavo di buon grado perfino le interminabili code nei negozi, ero felice.
Una volta...
È il primo pomeriggio del ventiquattro Dicembre e il mio umore è pessimo. Luci, alberi addobbati, presepi ad altezza naturale e perfino qualche fiocco di neve non sono riusciti a sollevarmi il morale, con oggi ventun giorni d'inferno.
Da quell'orribile notte Andrea è sparito dalla mia vita, senza proferir parola ha raccolto le chiavi per abbandonarle sul tavolo, mi ha guardato per un istante interminabile e com'era arrivato, in silenzio, è scomparso nel buio, lasciandomi in piedi di fronte a questa stessa finestra, muta, con il telefono in mano.
La casa è cosparsa di oggetti e indumenti che gli appartengono, ogni angolo di questo dannato appartamento mi parla di lui in continuazione. Solo ricordi, lui non c'è, non ha chiamato, non l'ho chiamato, è sfumato via.
Mi sento a pezzi e non voglio fare niente per mutare questa condizione, me lo merito.
Fra poche ore saremmo dovuti partire, destinazione Innsbruck, ci andiamo ogni vigilia di Natale, la multinazionale per cui lavora convoca i dirigenti europei per una cena intima, circa duecento persone. Andrea odia andarci da solo, i partecipanti hanno quasi tutti il doppio dei suoi anni e dopo l'aperitivo a base di champagne sono già brilli a sufficienza per poter tornare in albergo.
Dove sarà adesso? Con chi sarà partito? Non avrà sicuramente avuto problemi a trovare un'accompagnatrice! Una forte fitta allo stomaco mi fa gemere dal dolore. Ben ti sta!
"Quest'anno alla cena non fingeremo di essere una coppia!"
Ricordo benissimo l'attimo esatto in cui ha pronunciato questa frase, stava preparando la cena mentre io ero appena uscita dalla doccia, sono corsa verso di lui ancora bagnata e l'ho baciato.
Con una mano asciugo le lacrime che copiose scendono lungo le guance, non credevo di averne così tante a disposizione, scivolano ormai da giorni senza controllo.
Vorrei tornare bambina, credere ancora a Babbo Natale e poter esprimere un solo desiderio: Andrea.
Impossibile, anche nella remota possibilità che Santa Claus non abitasse solo in vecchie leggende e in tasca al consumismo, strapperebbe o addirittura brucerebbe la mia lettera, io sono cattiva, le mie azioni sono spregevoli e non merito di esprimere alcun desiderio.
Il mio posto è questo: seduta su una sedia di fianco al tavolo, in lacrime osservando porta e finestra.
Non arriverà nessuno, nessuno che vorrei veramente.
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«Buonasera signor Lamberti - sorriso smagliante - buonasera e Buon Natale».
Smorfia di circostanza. «Grazie Jakob».
Con uno spiccato accento tedesco incalza. «Dia pure il cappotto». Sbatte le mani. «Sophie, Sophie». Nella hall del ristorante arriva correndo una ragazza bionda e minuta vestita di nero. «Prendi il soprabito del signore e mettilo subito nel guardaroba - rivolgendosi ad Andrea - la sua deliziosa compagna non è venuta quest'anno? - sorride ancora - spero stia bene, l'avrei vista volentieri». Si copre la bocca con le mani come per celare qualcosa di veramente sconcio. «Non solo il sottoscritto, sicuramente molti o addirittura tutti gli invitati».
Andrea alza lo sguardo gelido. «Qual è il mio tavolo Jakob?»
Tossisce ricomponendosi. «Dodici signore».
«Grazie» risponde secco chiudendo definitivamente la conversazione e, con una mano in tasca, si avvia a passi lenti verso la sala gremita di persone gioiose . É la vigilia di Natale, tutti sono felici...
Tranne lui.
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Impressionante, Firenze è deserta. Solo ventiquattr'ore fa Ponte Vecchio, e probabilmente tutta la città, sarebbero potuti sprofondare tanta era la calca di persone che vi transitavano, dalla mia finestra sembravano minuscole formichine operaie cariche di borsoni che, strada facendo e con il passare delle ore, si sono decimate fino a scomparire del tutto. In questo momento staranno banchettando nei loro nidi a suon di pandori e panettoni.
Io me ne sono andata.
Ho avuto il bene placido della nonna consapevole delle mie condizioni emotive a dir poco precarie, mi ha lasciata uscire addirittura prima del dolce a una condizione: non avrei dovuto sedermi nuovamente su questa sedia di fronte alla finestra.
Ho disobbedito.
Sono di nuovo qua, di fianco a questo tavolo con al centro il cellulare su cui non ricevo mai la telefonata sperata, mi sento terribilmente sola, come se avessi perso una parte fondamentale di me e non riuscissi a colmare questa lacuna con niente al mondo.
Inaspettatamente un fruscio, delle piccole farfalle si muovono all'unisono dentro la pancia, ho un sussulto, è lui, lei, non so come chiamarlo, appoggio delicatamente la mano sopra il ventre, il bambino si muove di nuovo provocandomi lo stesso brivido lungo la schiena. Finalmente, dopo tanto tempo sorrido, con qualche lacrima, ma è già un passo avanti, un enorme passo avanti.
Entusiasta afferro il telefono. «Devo chiamare An... - lo metto giù, momento di silenzio, inspiro profondamente - devo dirlo alla nonna». Compongo in fretta il numero per dimenticare l'istante di angoscia appena passato. «Rispondi! - attacco, per provare sul cellulare - forza nonna, dove sei?»
Il campanello mi coglie di sorpresa, mi alzo e titubante guardo il video citofono. «Nonna?»
Dal piccolo schermo in bianco e nero un'enorme pupilla mi sta osservando. É proprio lei. Ogni volta la stessa storia, non ha capito che da quello spioncino non riuscirà mai a vedermi, ma, al limite, sarò io a controllarle le diottrie.
Apro. «Vieni su. Hai bisogno di una mano?»
In lontananza risponde. «No, ci pensa il tassista - con tono minaccioso - vero?»
Poco dopo entrambi sono nell'ingresso del mio appartamento, la nonna con una piccola pochette da cui sta estraendo la mancia mentre il malcapitato tassista è più carico di un traslocatore.
«Lasci pure tutto qui, ha fatto abbastanza».
Piano piano scarica tutti i pacchi. «Si figuri, la signora non mi ha dato molta scelta».
Guardo la nonna, che con una smorfia obietta. «Avrei dovuto far scendere mia nipote? Con quella pancia?» Porge la mancia al tassista che ringraziando se ne va.
«Arrivederci». Chiudo la porta e mi volto verso la nonna che nel frattempo mette già le vettovaglie in frigorifero. «A cosa devo questa improvvisata?»
Senza neppure guardarmi. «E secondo te lasciavo la mia bambina da sola la sera di Natale? Non sono potuta venire prima perché il pranzo si è prolungato, ma appena zia Fulvia se n'è andata ho fatto impacchettare due cose da Fina e...»
La interrompo. «Si, giusto due!»
«Carola, in casa tua non c'è mai niente! - replica prontamente - ed eccomi qua, forse non sono la migliore delle compagnie, ma ti puoi adattare, no?».
Sorrido, passandole un vassoio stracolmo di lasagne. «Si è mosso».
Si volta. «Il bambino?»
Annuisco. «Si, il bambino, infatti poco prima che citofonassi ti stavo chiamando - accartocciando una busta proseguo - in verità la prima persona che istintivamente ho pensato di chiamare è stato Andrea - di nuovo mi pungono gli occhi - poi giuro, ho pensato subito a te ed a nessun altro». Asciugo un accenno di lacrima. «Te lo assicuro!»
«Perché non l'hai chiamato?» chiede prontamente. Non ottenendo nessuna risposta riformula un'altra domanda. «Com'è stato?»
«Emozionante, una sensazione indescrivibile». Una lacrima cade a terra, è scesa troppo velocemente per poterla nascondere. Alzo lo sguardo verso il soffitto imprecando. «Santo cielo, sono un'idiota!»
La nonna mi afferra saldamente le braccia. «Guardami!»
Obbedisco.
«Non rovinarti anche questo momento - scuotendomi prosegue - sappiamo tutte e due cosa hai fatto e le conseguenze che ha portato, smetti di ripeterlo, è arrivato il momento per te di pensare a questo bambino e reagire».
Sospiro silenziosa.
Estraendo un piccolo fazzolettino di stoffa bianca dalla borsa mi asciuga una lacrima e sorridendo, continua. «Avresti dovuto chiamare lui... Non me - afferma senza mezzi termini - devi fare qualcosa Carola, anche alzare la cornetta potrebbe essere un inizio».
Mi siedo sul bancone nero della cucina. «Lo so. Sono consapevole che stando seduta su quella sedia ad aspettare, la vita non cambierà, non farà di me la madre perfetta e tanto meno riporterà indietro Andrea. Nonostante sapessi l'epilogo della storia, adesso che è davvero accaduto non so come comportarmi, come... Rimediare - prendo una matita dal porta frutta vuoto, la infilo saldamente nei capelli e continuo - dannazione nonna, ti rendi conto cosa ho fatto? E soprattutto a chi l'ho fatto? Come puoi pensare che voglia anche solo rivolgermi la parola? Lui non può perdonarmi!»
Con tutta la calma del mondo risponde. «Lui ti ama, aveva accettato un figlio teoricamente non suo per averti, questo per me è vero amore. Sappiamo entrambe che se avessi ascoltato le persone a te vicine, magari... - tossisce per evidenziare il concetto - quello che hai fatto è passato e può solo aiutarti a non sbagliare di nuovo nel futuro. Se lo ami, e sicuramente la risposta è sì, devi far tesoro di quel che è accaduto e capire come reagire. Avrai un bambino adesso, per la precisione avrete un bambino, state per diventare genitori e non potete ignorarvi all'infinito».
Con una mano mi alza lo sguardo. «Siete adulti, vaccinati e sufficientemente intelligenti per capirlo - posa le mani sui fianchi come un colonnello - dovrete solo essere guidati nella direzione giusta».
«Non pensare e soprattutto, cosa di vitale importanza, non fare stupidaggini - con tono ancora più allarmistico - ti prego, sono già nella merda fino al collo, preferirei non sprofondarci».
Nega con la testa. «Mai fatto niente di stupido in vita mia».
«Prometti».
Annuisce, poco convinta.
Scendo dal bancone per bere un sorso d'acqua, mi volto verso di lei che a sua volta mi sta osservando.
«Mi manca terribilmente...»
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"How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here"
Sei un coglione, un vero coglione, per quale cazzo di motivo ascolti questa canzone?
Andrea sei un coglione!
Nessuno ascolta "Wish you were here" facendo jogging.
Forse i coglioni... Sono un coglione!
Passare alla traccia successiva mi sembra la soluzione giusta. Questa no... questa neppure... manco questa!
Niente musica! Decisamente meglio, ogni brano dentro questo stramaledettissimo i-pod mi ricorda lei, ed è l'ultima cosa a cui intendo pensare.
Mi è passata anche la voglia di correre.
Sono le sette passate, me ne torno a casa.
La strada che fiancheggia villa Lamberti è particolarmente buia e nebbiosa stasera, sono quasi le otto quando Andrea la percorre correndo. Sta rientrando prima del previsto e, con il cappuccio in testa, a capo chino, attraversa l'enorme cancello quando un'auto con il motore acceso cattura la sua attenzione. É un taxi al cui interno un uomo legge distrattamente il giornale mentre i sedili posteriori sono vuoti.
Asciugandosi il sudore con una manica prosegue lungo il vialetto bianco verso l'ingresso di casa dei genitori, la porta è socchiusa, spinto da un moto spontaneo di curiosità varca la soglia.
Qualcuno dall'altra parte della sala sta parlando con sua madre, sono troppo lontani, la voce non è nuova ma non riesce a capire chi sia la donna seduta sul divano. Percorre ancora qualche metro nel modo più silenzioso possibile, quando l'abbaiare di un cane lo fa sobbalzare, si volta, è Cecilia.
«Stupida cagna, fai silenzio!»
Abbaia di nuovo, questa volta cercando di saltargli in braccio.
«Non adesso... Shhh!»
«Andrea sei tu?» Dall'altra parte della sala sua madre lo sta osservando.
Rivolgendosi al cane sottovoce. «Dopo, io e te facciamo i conti!» Cecilia delusa si volta e ansimando, scompare dalla porta d'ingresso mentre Andrea schiarendosi la voce, risponde: «Si sono io, me ne stavo andando, ero venuto per... - imitando Cecilia conclude - niente di importante comunque. Vado a casa, ciao ma'».
Bloccandolo. «Fermo, è per te».
Andrea ruota di scatto la testa mentre la madre lo raggiunge. In silenzio si indica mentre la madre annuisce. «É Miria e attende il tuo arrivo già da un bel po'».
Alza gli occhi al cielo mentre la madre lo ha raggiunto. «Togli il cappuccio e non fare quella faccia per cortesia, credo di averti insegnato le buone maniere mio caro». Dall'espressione del volto si capisce che preferirebbe percorrere il corridoio del patibolo piuttosto che la lunga sala in direzione del divano, ciononostante obbedisce e, scompigliandosi con una mano i capelli, un passo dopo l'altro arriva a destinazione. La nonna di Carola lo attende seduta sul divano a braccia conserte, sorridente.
«Buonasera Miria». Si siede.
«Ciao Andrea, perdona l'improvvisata».
Non risponde.
«É un po' che non ci vediamo. Sei dimagrito! - sorride - ma bello come sempre!»
«Diciamo che sto passando un periodo...»
«Di merda!» Lo interrompe prontamente.
Andrea accenna una smorfia di circostanza. «Sicuramente ne saprà qualcosa, non credo sia questa solo una visita di cortesia - osservando la reazione conclude - sbaglio?»
«Non ti sbagli affatto - sistemandosi sulla poltrona continua - cercherò di essere diretta, ma prima ci tengo a precisare che sono venuta di mia spontanea volontà. Avrei addirittura promesso il contrario ma non posso starmene in un angolo senza far niente, di nuovo». Si guardano silenziosi per qualche istante poi, come per rompere l'imbarazzo creatosi con quella premessa, inizia: «Vado al sodo».
Andrea annuisce.
Miria riprende. «Carola ti ama, ti ama moltissimo, ma la ragione per cui sono qui è per dirti che tu la ami».
Stropicciandosi gli occhi, sarcasticamente risponde: «Così è più che diretta! Ma se posso permettermi, come fa ad esserne così certa?»
Risponde secca. «Lo so».
Andrea si incupisce e, appoggiandosi con i gomiti sulle ginocchia, attende il seguito della predica.
«In questo momento il rancore e la collera hanno preso il sopravvento, è giusto, come potrebbe essere il contrario dopo ciò che ti ha fatto? Ma sotto questo cumulo di sentimenti dolorosi celi qualcosa di completamente diverso ed entrambi sappiamo cos'è».
Un accenno di sorriso.
Indicandolo con una mano. «Vedi, la tua reazione lo conferma».
Rabbuiandosi nuovamente. «Miria non può capire, il nostro rapporto è... era complesso».
Sbuffando riprende le redini del discorso. «Sono mesi che mia nipote ripete la stessa frase e, forse, se avesse dato ascolto alla nonna che "non capiva" adesso non starebbe chiusa in casa, piangendo seduta di fianco a un tavolo. Non fare lo stesso errore, di testardi ne basta uno».
«Altroché se è testarda... - sussurra Andrea con un filo di voce - ma non ha giustificazioni!»
«Ha avuto paura di perderti... Questa è la motivazione delle sue scelte sbagliate - qualche secondo di silenzio poi riprende - Carola non è tenace e risoluta come vuol far credere al mondo. Bensì un covo di incertezze».
«Lo so».
«La conosci forse meglio di me».
«Conoscevo - la interrompe bruscamente - mi ha mentito sul nostro bambino, lei sapeva che io ero il padre e non me l'ha detto».
«Ci ha provato, ma...»
Alza la voce. «Beh non abbastanza!»
Silenzio.
Miria non dandosi per vinta continua. «All'inizio della conversazione ti ho detto che le sue azioni sono state insensate e non sono venuta qui per giustificarla, ma vorrei che riflettessi sul perché del suo modo di agire, le cause che l'hanno spinta a fare certe scelte».
«Questo cosa significa? Aveva paura di perdermi così ha preferito mentirmi?»
«No Andrea, tutto è iniziato perché vi siete ingannati a vicenda. Eravate come fidanzati, ma cercavate l'amore altrove, questo non è mentire?«
«Beh in un certo senso... Ma lei...»
Bruscamente lo interrompe. «Lei si è trovata improvvisamente con una barca, in un mare in tempesta cercando di tappare le falle e, arrivata la quiete, ha temuto l'arrivo del nuovo ciclone. Come puoi non capire?»
Silenzio.
Alzandosi conclude. «Ho sempre ritenuto che fossi una persona molto matura e intelligente, per molti aspetti anche più di mia nipote, fra poco tempo avrete un bambino e insieme o separati, dovrete crescerlo, per questo motivo, se riesci, prova a riporre la collera e pensa a cosa rappresenta Carola, per te, adesso».
Poggiandogli una mano sulla spalla prima di andarsene. «Spero di rivederti presto».
Andrea annuisce senza voltarsi, immerso nei suoi pensieri.
In lontananza il rumore dei tacchi sul parquet, la porta che sbatte, se n'è andata.
Miria sarà riuscita a convincere Andrea?
Vi aspetto al prossimo capitolo.
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