17
Driiin. Driiin. Driiin.
Il cellulare squilla insistentemente.
«Mmmm...» mugugna Andrea con la faccia ancora sprofondata nel cuscino. Senza neppure sollevarla rovista sul comodino con la mano sinistra alla ricerca del telefono, facendolo disavvedutamente cadere sul pavimento riducendolo in mille pezzi. «Cazzo!» Alza la testa, ha un occhio aperto e l'altro completamente serrato e, sporgendosi dal letto, si accerta del danno. «Beh, per un po' niente scocciature». Affonda nuovamente la testa nel cuscino provato dalla lunga notte di sesso appena trascorsa. Si volta supino e, stiracchiandosi, allunga affettuosamente la mano cercandomi.
Io da tempo non sono più lì.
Me ne sono andata, in silenzio, alle prime luci del giorno, ho preso le mie cose e mi sono chiusa la porta alle spalle.
Si volta, letto vuoto, spalanca con difficoltà gli occhi accertando la mia assenza.
«Carola...» Si gira in direzione della porta chiamandomi a bassa voce credendomi, con tutta probabilità, in bagno.
Nessuna risposta.
«Carola!» alzando il tono, ma ancora fiducioso di poter udire la mia voce. Potrei essere al piano di sotto.
Si alza di scatto e ancora nudo, corre in bagno, poi nell'altra camera, scende perfino al piano inferiore constatando, suo malgrado, che l'amica di una vita e amante, a suo avviso, di una sola notte, non è più lì.
Dopo aver perlustrato tutta la casa, ormai certo della mia assenza, bloccato nell'atrio della casa deserta, si mette le mani nei capelli profondamente amareggiato.
«Cosa abbiamo fatto?»
Si stropiccia il volto, più e più volte e, d'impulso, sale le scale in direzione della camera per ricomporre il telefono, sperando di fare altrettanto subito dopo con la nostra amicizia o quel che adesso è diventata.
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Fortunatamente l'incontro con i Safin non è durato a lungo così da permettermi di tornare a tutta velocità in ufficio.
Nuovamente la voce della saggezza, comunemente chiamata coscienza, torna ad infierire.
"Stai scappando?"
No. Istintivamente rallento.
"Si, come tuo solito te la svigni dai problemi. Facile!"
Io non fuggo dai problemi.
"Almeno sii sincera con te stessa."
Sono onestissima, non sto correndo, quindi non sto fuggendo. «Stai zitta!»
Ho alzato così tanto la voce da spaventare una deliziosa vecchietta che passeggiava al mio fianco. Mi scuso abbozzando un sorriso mentre mi guarda perplessa. Gioco la "carta auricolare", sfiorandomi l'orecchio sinistro. «Maria devi ascoltarmi, il lilla è un colore che odio. Intesi?»
La signora mi sorride mentre fuggo via.
Apro violentemente lo sportello dell'auto, furiosa, e lancio all'interno la borsa gridando. «Perché l'ho fatto?»
Entro dentro l'abitacolo rovente senza riuscire a darmi una spiegazione plausibile.
Io lo volevo mentre Andrea ha avuto delle legittime perplessità. Sì mi ha baciata, ma io nel nostro attimo di ripensamento sono andata a cercarlo e sempre io ho tolto i vestisti, uno a uno per fare l'amore con lui. Io, solo io. E ora fuggo!
Chiudo gli occhi chinando la testa sul volante, un brivido di piacere mi sta scivolando sulla schiena. Accendo l'auto in fretta e scuoto la testa per togliermi dalla mente l'immagine del suo corpo sopra di me.
É stato sbagliato, dannatamente grandioso, ma sbagliato.
Sono una cattiva persona, un lupo travestito da agnellino. Mi sento in colpa per essermene andata, ma ho bisogno di riflettere e non posso farlo con lui al mio fianco.
Si preoccuperà a morte non vedendomi.
Mentre una lacrima scivola sulla mia guancia il telefono inizia a squillare. Rovisto nella borsa continuando a guidare e, dopo numerosi trilli, lo trovo.
La scritta ANDREA CELL balena titanica sul display.
Gelo.
Con difficoltà deglutisco sempre con il telefono nella mano destra.
Lo guardo scossa e ansimante prima di scaraventarlo, tra le lacrime, sul sedile di fianco. «Idiota, sei una perfetta idiota, non hai neppure il coraggio di rispondergli - singhiozzo - cosa ti è passato per la testa stanotte? Dovevi rimanere in camera tua, trattenere quella dannata pipì tutta la notte - asciugo le lacrime che copiose mi ricoprono le guance - stupida, stupida e ancora stupida!»
In lontananza vedo una stazione di servizio, accosto. «E ora devo pure tornare in bagno - mi guardo allo specchietto retrovisore - sono penosa». Faccio spallucce. «Chi se ne frega».
Mentre esco dall'auto il cellulare squilla di nuovo, prendo l'apparecchio in mano guardandolo afflitta. «Ora non ci riesco, più tardi, più tardi ti chiamerò, adesso no». Respiro profondamente ed entro.
Come un violento e spropositato schiaffo nello stomaco l'odore di caffè che impregna l'aria del bar mi fa mancare i sensi per qualche secondo, senza perdere tempo corro in bagno per bagnarmi la faccia, ma lo stordimento non passa, anzi si è aggiunta perfino la nausea. Velocemente faccio pipì e scappo via.
Accendo il motore in lacrime, detestandomi a morte per ciò che sto facendo, ma altrettanto bloccata per tornare indietro da lui.
«Mamma che faccia! - all'ingresso dell'ufficio Tania mi sta guardando sgomenta - verde!»
Entro mesta fissando esclusivamente il pavimento. «Grazie per il complimento».
«Scusa - si alza - ti senti bene?» Mi segue mentre entro all'interno dello studio.
Annuisco.
«Non si direbbe Carola. Vuoi un caffè?»
Solo udire quella parola mi fa venire il volta stomaco. Copro la bocca con una mano mentre con l'altra tengo la fronte.
«Vomiti?» dice correndomi in contro.
Scuoto la testa silenziosa e un attimo dopo l'appoggio sulla scrivania, ansimando. «Tranquilla Tania, sto bene, solo pesantezza di stomaco. Ho esagerato nel fine settimana».
«Se non te la senti vai pure a casa, all'ufficio penso io - sorride - ce la posso fare».
Mi abbandono sulla sedia cercando di recuperare le forze. «Qualche minuto e mi riprendo, devo farlo, oggi giornata piena - la guardo - telefonate?»
Annuisce. «Marranci per confermare l'appuntamento delle 16. Carlo, l'imbianchino, per dirti che i campioni di pittura per il mare sono pronti - poi le si illumina il volto - e Andrea». Sorride compiaciuta mentre il mio volto si rabbuia. «Voleva sapere dov'eri. Sembrava agitato». E dato che al peggio non c'è fine sento di nuovo gonfiarsi lentamente gli occhi di lacrime. Mi alzo voltando le spalle a Tania per non farle percepire il mio turbamento. «Ha chiamato qualcun' altro?» Tossisco cercando di sembrare indifferente. Mentre Tania ammutolita non risponde. Mi giro. «Ti ho chiesto se ci sono state altre telefonate».
«No» risponde interdetta.
«Eccellente. Ora scusami, devo preparare tutte le planimetrie prima dell'appuntamento con l'assessore». Mi siedo, fisso i capelli con un lapis ed accendo il portatile.
Tania, con dubbiosa calma, si incammina verso l'uscita bloccandosi a pochi passi dalla soglia. «Avete litigato?»
Inspiro profondamente, poi rispondo gelida. «Puoi chiudere la porta per favore?»
Se ne va eseguendo la mia richiesta.
Chinando la testa una lacrima solca con lentezza la mia guancia cadendo come un macigno sulla scrivania bianca.
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