11
Due giorni, due interminabili giorni.
Né visti, né sentiti e non per sua volontà.
Ho preferito negarmi al telefono. Sì, sono una codarda e non ci sono scuse che possano giustificare il mio comportamento.
Ha squillato ripetutamente anche stamani mattina, ed io... Niente, come se quell'assordante squillo fosse il sottofondo musicale della mia colazione.
Ancora assorta nei miei pensieri entro all'interno dell'enorme sala espositiva, che, come al solito, è affollata.
Noto Vittoria indaffarata con una coppia di ragazzi intenti a scegliere la pavimentazione per la loro nuova sala, mi ha vista e con un braccio sta facendo segno di attenderla nella stanza di fianco mentre con l'altra indica che, probabilmente in poco tempo, potrà liberarsi.
Decido così di percorrere i corridoi e dare un'occhiata in giro quando, di fianco ad una porta socchiusa, sento delle voci femminili e non riesco a trattenere la curiosità.
«Sono uscita con lui ieri sera!»
Mi avvicino per origliare, non è educato, lo so, ma dovendo aspettare per un tempo ancora indeterminato, cerco almeno di divertirmi un po'.
«Non ci avevi detto niente del tuo appuntamento galante».
La ragazza precisa: «Galante si fa per dire».
«Perché?» risponde curiosa la collega.
«Dopo l'aperitivo in centro voleva già entrarmi nelle mutande».
Soffoco una risata per non farmi scoprire mentre le tre ragazze ridono fragorosamente.
Poi, calmandosi, la diretta interessata continua il racconto. «Lo conoscete, è anche carino, ma se fosse stato per lui, avremmo potuto addirittura incontrarci davanti a un motel».
«Dai su racconta» tuona l'amica.
«Siamo curiose» le fa eco l'altra.
«Ve l'ho detto, non esistono più gli uomini di una volta – sospira – ci siamo dati appuntamento al Kitch quel bar vicino a...»
«Lo conosco, prosegui!» La interrompe una delle ragazze.
«Mi stava aspettando fuori, passeggiando su è giù. E' carino anche senza l'uniforme da fattorino sapete?»
Mentre la ragazza racconta per filo e per segno il suo appuntamento, improvvisamente il mio cellulare inizia a squillare, per non farmi scoprire estraggo fulminea l'apparecchio dalla borsa, mi allontano il più possibile dalla stanza e rispondo con un filo di voce.
«Pronto».
«Buongiorno Architetta, sono Safìn». In un italiano molto stentato continua. «Sono dubbio io per camera letto bambini. Picola, tropo picola».
Trentacinque metri quadrati per due gemelli di dieci anni? Nello stesso spazio c'è chi è costretto a sviluppare interi appartamenti e lui sostiene sia troppo piccola per due marmocchi?
«Buongiorno signor Safin. La cameretta è trentacinque metri quadrati, sono più che sufficienti, non crede?»
«No!»
Deciso e sintetico.
«Ok, vedrò come sistemare al meglio il problema cameretta».
«Tu riesce?»
Sembra l'orco cattivo.
«Stia tranquillo»
Bugiarda!
«Ha idea come fare?»
«Sicuramente, ho in mente già più di una soluzione»
Andrai all'inferno per tutte le cavolate che dici.
«Voglio sui disegni presto a vedere»
Il suo tono è sempre più minaccioso, manca solo la risata da mangia bambini sul finale, mi dà i brividi.
«Non si preoccupi, a presto»
Stia pur tranquillo che tanto in ansia sono io.
Riaggancia senza neppure salutare.
Ripongo il telefono in borsa mentre torno nella stanza a fianco dove, noncuranti della mia assenza, stanno continuando il racconto.
«... non ci voleva andare»
Essendomi persa buona parte della storia cerco di stare attenta per riprendere il filo del racconto.
«Come?! – ribatte la collega – neppure a cena fuori?»
«Certo che il mondo è proprio cambiato prosegue l'altra.
Ridendo la diretta interessata precisa. «Proprio così, dopo aver pagato l'aperitivo di entrambi voleva andare a casa mia»
«Che tipo»
«Per allungare un po' la serata ho proposto una pizza, ma non era troppo convinto, poi notando il mio disappunto, ha accettato». Racconta rassegnata.
«Allora, dove siete andati?»
«Al...»
Di nuovo il cellulare.
«Pronto» Mi allontano nuovamente.
«Sono io» É la nonna.
«Dimmi» Sottovoce.
«Perché parli così piano?»
«Ho un lavoro, dei clienti... Ricordi?»
Sto semplicemente origliando, ma quale lavoro e clienti?!
«Scusami, ma avrei bisogno del tuo aiuto»
«Adesso? Ti richiamo tra un po', va bene?»
«Ve bene, ma...»
Questo "ma" riuscirà a farmi perdere buona parte della storia.
«Dimmi nonna» Ormai rassegnata.
«Dovresti accompagnarmi a comprare un abito nuovo per la cena della vittoria alla contrada Ferruzza». E' orgogliosa, come se avesse lei stessa cavalcato il mezzosangue in testa per i due giri di pista.
«E' vero! – non lo ricordavo – quando avevi intenzione di andare?»
«Stasera sei libera?»
Immagino che la frase in cui puntualizzavo di avere un lavoro, dei clienti e tutto il resto non l'abbia ben capita.
«Oggi non posso, ma domani sera sul tardi potrei». Nella mente scorro l'agenda vagliando i possibili appuntamenti.
«Se prima non puoi, va bene domani». Sembra quasi delusa.
«Vuoi andare stanotte? Chiamiamo il negozio e lo facciamo aprire solo per te!» Mi guardo attorno, ho alzato troppo il tono della voce.
Risentita risponde: «Cos'hai? Oggi ti arrabbi per niente!»
Se lo sapessi forse capiresti il mio stato d'animo... Meglio di no, sei l'ultima persona a cui ritengo opportuno raccontare il misfatto.
«Sono solo impegnata nonna, tutto qui»
Mentire è diventato il mio sport preferito.
«Stamani ho chiamato Andrea per quel problema di facebook, mi ha detto che non vi sentite da giorni e non rispondi al telefono!»
La interrompo bruscamente. «Ti ho detto che adesso sono occupata!»
«Tu hai qualcosa, ti conosco troppo bene»
Odio quando ha ragione.
«Sono da un fornitore, non ho tempo». Cerco di tagliare corto.
«Ne parleremo domani».
«No – rispondo secca. Pentendomene subito dopo cerco di rimediare – scusa, sono di fretta, a domani nonna. Ciao».
«Ciao, ma non me la racconti giusta»
Attacco tornando nella precedente posizione di ascolto, dove il racconto sta volgendo al termine.
«... erano circa le undici e mezza quando mi ha chiesto per l'ennesima volta di salire a casa mia».
Trattenendo a stento le risa una collega interviene. «Ho capito tutto, lui è un etologo, voleva solo vedere la tua collezione di farfalle!»
«Sinceramente credo ne volesse vedere una sola!»
Scoppiano tutte a ridere e io con loro.
Driiin.
Non posso crederci, il cellulare, di nuovo, è un vero tormento.
Guardo il display, è Tania dall'ufficio.
«Pronto»
Mi allontano, questa volta per il troppo rumore.
«Non te le ho date, o meglio, te le ho date le piantine, ma non quelle giuste»
Furiosa appoggio il cellulare sul piano di un mobile da bagno poco distante, apro la borsa da lavoro e la cartellina che poco tempo prima avevo ricevuto da Tania, estraggo i disegni e, come previsto, sono di un altro cliente. Ripongo il tutto all'interno della borsa e riprendo il telefono in mano.
«Mi dici dove hai la testa quando fai le cose?» Respiro di nuovo.
«Scusa» Sento che è dispiaciutissima, ma in questo momento, a causa delle forti pressioni, non sono lucida.
«Dopo più di un'ora di traffico, aver cercato invano il parcheggio, posteggiato in quinta fila, presa certamente una multa, adesso cosa me ne faccio delle tue scuse?»
Silenzio.
«Dovrò prendere un nuovo appuntamento – ormai sono arresa di fronte alla sua totale disattenzione – ti chiamerò più tardi per comunicarti il nuovo appuntamento così lo scrivi sull'agenda».
«Ok... Mi dispiace». E' veramente abbattuta.
Chiudo la conversazione furente scaraventando il telefono nella borsa mentre cerco di intravedere Vittoria per poter prendere un nuovo appuntamento in questa settimana, data la premura dei Safin.
Mentre percorro il corridoio tempestato di porte il cellulare squilla per l'ennesima volta.
Esasperata lo acciuffo e, senza neppure controllare il display, rispondo con un secco e sgarbato. «Pronto»
«Forse non è un buon momento». Andrea.
Pentita e nuovamente imbarazzata cerco di rimediare alla brusca risposta. «Prima della tua telefonata ne ho ricevute altre mille, come ultima quella di Tania che ne ha combinate una delle sue».
«Sei stata impegnata in questi giorni, non hai mai risposto».
«Lavoro, impegni, le solite cose».
Le solite scuse.
«Però ci sentiamo sempre – dalla sua voce traspare una vena di dispiacere – è strano».
«Non ti ci mettere anche tu, per favore – alzo il tono, forse per auto convincermi – ho avuto molto da fare a lavoro. Ti avrei richiamato».
Ipocrita e codarda, non sono mai stata minimamente intenzionata a farlo.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?»
Siamo andati a letto insieme, nulla di diverso dal solito, no!
«Niente – rispondo secca per tagliare il discorso – ora sono occupata in uno show room, ci sentiamo dopo».
«Vediamoci stasera per una birra, ci sono anche Piero ed Alberto».
Non sono ancora pronta per intavolare una conversazione telefonica, figuriamoci di persona.
Sufficientemente vaga rispondo. «Stasera ho una cena con una... Persona».
«Chi è?» domanda vagamente curioso.
«Uno...» rispondo ancor più sfuggente.
«Non me lo volevi dire? – sorride malizioso – lo hai per caso incontrato alla festa?»
Sono confusa, non mi aspettavo una domanda del genere. «Ero ubriaca! – aumento in maniera sconsiderata la voce, proseguendo il monologo – completamente sbronza, per la precisione, e non rammento niente di sabato sera, potrei aver scopato con Brad Pitt e non lo ricorderei, pensa la sfiga! Per cui penso sia difficile avere un appuntamento con uno sconosciuto di cui non ricordo neppure la faccia. Buio pesto su come sono arrivata in quella camera, cosa ho fatto in quel letto e con chi!»
Andrea cerca di parlare invano. «Ma...»
«Nessun "ma" Andrea, voglio che capisci bene quello che è accaduto, lo archivi e non ne parliamo più, capito? – inspiro profondamente per tranquillizzarmi mentre dall'altra parte della cornetta il silenzio – ti chiamo io!»
«Ok»
Chiudiamo la conversazione.
Sospiro appoggiandomi con la spalla alla parete mentre la parola "crudele" mi rimbomba all'interno della testa come un enorme martello. Ancora frastornata volto lo sguardo ignara del fatto che l'animata conversazione intercorsa tra me ed Andrea è stata ben udita da tutto il negozio.
Imbarazzo più totale.
"Ero ubriaca...", "Scopato... Con chi?."
Questo è ciò che ho urlato pochi istanti prima ad Andrea e tutti, ma proprio tutti, hanno ascoltato, le facce sgomente ne sono la prova.
Nessuno dice niente, ma percepisco una coltre di perplessità mista ad imbarazzo che aleggia sopra le loro teste.
Tossisco, ma nessuno si muove o dice qualcosa, mi faccio coraggio e, incamminandomi, dico la cosa più ovvia e stupida che mai avrei potuto proferire. «Si è fatto tardi, non posso più attendere». Mi infiltro all'interno del capannello di spettatori che poc'anzi ho attirato, aumento il passo per arrivare alla porta il più in fretta possibile e spingo con rabbia il maniglione per uscire fuori dal locale.
Che imbarazzo! Non ci sono parole per descrivere ciò che è appena accaduto e soprattutto come potrò varcare di nuovo la soglia del negozio?!
Estraggo dalla borsa taccuino e penna. In prima pagina, a caratteri cubitali scrivo:
- Necessaria ricerca di nuovo fornitore.
Con ancora la coda tra le gambe per la vergogna mi dirigo a passo svelto verso l'auto.
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