Rivelazioni a cuore aperto
Sylvie's POV
Sono finalmente di ritorno da questo week-end lavorativo. Sono stanca morta, benché ieri io, Selena e Marilena, siamo state a marinare nella jacuzzi, tra i vapori e i getti idromassaggio.
Entro in casa, lasciando cadere sul pavimento la valigia piena di vestiti. Sento rumori in cucina, deve essere Mark che mi sta cucinando qualcosa di buono come cena di bentornata.
"Mark, mon amour, cosa mi ha preparato di bello stasera il mio..." dico, per poi rimanere a bocca aperta.
Mark è barcollante e tiene in mano una bottiglia vuota del vino rosso più pregiato che avevamo in casa. Deve essersela scolata tutto da solo, preso da chissà quale fantasma...
"Mark, ma cosa stai facendo?" gli chiedo, le braccia conserte. Il mio tono mi tradisce, rivelando il mio cuore ferito.
"Mark, cosa stai facendo?!" ripeto, stavolta alzando la voce.
Lui sembra come rinvenire da questa sorta di coma etilico, prende una lunga boccata d'aria e comincia a farfugliare qualche parola in inglese e qualche gesto confuso dopo riesce a esprimersi in una lingua a me comprensibile.
"Le... cose..." borbotta, lasciandosi scappare un rutto "...non vanno bene... Sylvie... continui a dirmi come io..." continua a singhiozzi, l'alcol sta facendo i suoi brutti effetti.
Prende una pausa, appoggiando la mano sul tavolo e accasciandosi sulla sedia. Beve quello che immagino sia l'ultima goccia di vino rimasta nella bottiglia, poi continua, stavolta, e paradossalmente aggiungerei, sembra essere più chiaro: "Le cose non vanno bene così come sono Sylvie... tu, punti sempre il dito sulla mia ignoranza senza renderti conto che non è colpa mia! Io sono frutto del sistema americano! Tutto quello che so e che non so, lo devo all'America! E a me non sta bene che tu..."
Il suo tono inizia a incupirsi, mentre la voce si fa sempre più aggressiva, quasi fosse colpa mia che gli Stati Uniti d'America abbiano un basso livello di approfondimento delle materie che non riguardano se stessi.
"Sì, ma non è colpa mia se il sistema è questo..." dico io, evidenziando un dato di fatto.
"Sì, ma tu... con i tuoi toni europei!" si alza di scatto dalla sedia, puntandomi il dito.
"Penso tu debba darti una calmata" mi limito a ribattere.
"Una calmata?!" Scaraventa la bottiglia vuota sul pavimento, che si costella di tanti frammenti di vetro.
"Mark, ti senti bene?!" chiedo, agitata e impaurita. Non l'ho mai visto così nero di rabbia.
"Basta chiedermi queste cazzate! Io sto benissimo! Ma sei tu che, ostinata, tenti di farmi indossare la parte dell'ignorante, e sono stufo!"
"Io non faccio nulla, fai tu autogoal. Non è colpa mia se la tua nazione ha così poca considerazione del grado d'istruzione dei suoi cittadini, e di certo non è colpa mia che tu ostini ad essere un rozzo e un cafone! Addormentarti in teatro così... anche lì vuoi dare la colpa al tuo governo?!" Stavolta ho fatto centro. Ho beccato esattamente il suo punto di vanto.
"Voglio ricordarti che è la mia nazione in questo Paese che mi permette di portare il pane a casa" risponde lui, passandosi la mano sul viso.
"Mark, mi duole rivelarti che anche io lavoro, e porto a casa il pane, come dici tu."
"Sì, ma tu... non puoi capire" sussurra, lo sguardo fisso sul pavimento.
"Allora, aiutami a capire, Mark. Perché mi sembra che qui tu voglia incolpare me di colpe che io non ho. Sei stato tu a farci fare una brutta figura con Selena e, soprattutto, Felipe" cerco di avere un tono più comprensivo, non voglio che la situazione si intensifichi di nuovo. Non voglio immaginare come potrebbe reagire Mark nella rabbia più completa.
"Il mio Paese... a loro tutto quello che interessa sono il profitto economico e un grande esercito. Io mi sono stancato di sentirmi dire che sono un ignorante. Non è colpa mia se non conosco cosa succeda nell'altra parte del globo."
"Questo è il punto, Mark. Tu non conosci e non hai intenzione di approfondire le tue conoscenze. Questo è ciò che ti recrimino. Non godi per nulla di uno slancio di curiosità. Non ti informi. Sono sempre io quella che accende la televisione e vuole guardare del telegiornale. Se fosse per te, mangeremmo McDonald's e guarderemmo i Simpson tutti i giorni."
Ha gli occhi lucidi. Sono stata troppo diretta? Faccio per avvicinarmi ma lui sembra allontanarsi.
"Mark, non fare così. Ti ho solo riportato dei dati reali. Affrontiamo la cosa con un atteggiamento più maturo, per favore" Ho di nuovo le braccia conserte, non voglio che lui sia in una posizione in cui potrebbe rigirare la frittata e incolpare me di errori non miei.
"Non è per quello che hai detto che reagisco così, Sylvie... è per come lo hai detto" sussurra, qualche lacrima gli riga il viso. "Sei sempre così turbolenta, e dura, e rigida. A volte non mi capacito di come tu non riesca ad avere un briciolo di compassione e a relazionarti in maniera più umana alle persone. Pensi solo al lavoro. Su questo, Sylvie... sei più americana di me" La sua lingua diventa affilata, stavolta mi ha ferita nell'orgoglio.
"Come ti permetti... io, americana?" Sono senza parole. Mai prima d'ora mi è stato recriminata la mia dedizione al lavoro e la totale abnegazione per ciò che faccio.
"Sì, quando Felipe ti ha chiesto di essere invitato alla sfilata, tu gli hai subito negato l'invito. Solo perché non avrebbe fatto comodo al tuo tornaconto economico."
"Non è stata questa la motivazione, e mi sciocca sapere che il mio fidanzato abbia una così bassa considerazione di me. Felipe non è stato invitato per la semplice motivazione che non ha un contratto regolare" mi limito a dire, sto trattenendo in me tutta la rabbia repressa nei suoi confronti.
"La campagna pubblicitaria è stata fatta da entrambi... allora perché non invitare anche lui?" mi chiede, come se si aspettasse la risposta più ovvia.
"Volevo che fosse un team di sole donne a rappresentare Maison Garnier alla sfilata di Miu Miu, non sono stupita del fatto che tu non lo abbia capito" Il mio tono è gelido.
"In questo caso, non avresti dovuto proprio produrre un profumo per uomo, non credi?" chiede, il modo in cui imposta la voce denota un certo senso di ovvietà da parte sua.
"Ho voluto, per la prima volta, mettermi in gioco e creare qualcosa che non fosse per me, ma fosse per la persona che amo. Tu non sei riuscito a comprenderlo, a comprendere me, Mark Smith."
Alza lo sguardo verso di me, ha gli occhi rossi dalle lacrime ma non riesco a decifrare l'espressione sul suo volto. Si lascia scappare un sorriso. Non è un sorriso di quelli felici, è ambiguo... a tratti macabro.
"Perdonami, Sylvie Brown."
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