PROLOGO
Benvenuti.
Se siete arrivati fino a questo punto, avrete seguito le avventure di Aldaberon fin da quando, bambino spensierato, perse tutto per una maledizione che segnò il suo destino già molto tempo prima che nascesse. Ma se per caso aveste perso la prima parte del libro, questo è un breve e succinto riepilogo di quello che successe.
Varego di adozione, figlio di un Matrimonio della Foresta, Aldaberon nacque da Lilith, una donna della Foresta, e da Alfons delle Farfalle, fabbro e guerriero fiero delle sue origini.
Crebbe fino all'età di quattordici anni con la famiglia del padre, nella convinzione di essere come tutti gli altri abitanti del Villaggio dell'Arcobaleno.
Sia lui che la madre, per quanto estranei e diversi nel fisico dagli altri Vareghi, vissero onorati, rispettati e accettati, accettando a loro volta di buon grado le ferree regole della gente del Nord.
Con Fredrik e Thorball, suoi Compagni di Disgelo e amici inseparabili fin dalla nascita, divenne parte della comunità dei Vareghi affrontando come tutti i lunghi inverni di quelle terre e le durissime condizioni di vita di quella gente. Divenne grande nella consapevolezza che il popolo presso cui viveva fosse forte e temuto e lui ne facesse parte a tutti gli effetti.
Nel continente di Venturia non c'era uomo o mercante che non temesse la loro abilità come guerrieri e mercanti. Fin dove il nome del Popolo dei Vareghi era conosciuto, non vi era uomo o donna che non avesse un sorriso amaro al loro riguardo. Fin dove giungeva la fama delle loro prodezze, non vi era uomo d'armi che sentendoli nominare non affilasse le lame o madre che non temesse per l'onore delle figlie.
Fabbri eccellenti e marinai provetti, ovunque arrivassero le loro lunghe, eleganti navi, portavano le armi e i manufatti che creavano d'inverno nelle fucine dei loro villaggi.
D'estate i Vareghi viaggiavano ovunque, commerciavano comprando e vendendo qualunque cosa fosse necessario per la loro gente.
Amanti esperti, amavano la vita e la rispettavano ovunque arrivassero come mercanti, perché conoscevano fin troppo bene la morte. Cibo, vino, donne, nulla era mai troppo quando potevano goderne.
Ovunque arrivassero con le loro navi gonfie e panciute, con il sorriso sulle labbra facevano affari con chiunque, facendosi rispettare con la forza delle armi e con l'onore di una stretta di mano.
Ma quando all'orizzonte comparivano silenziosi e torvi; dove infine giungevano le loro navi lunghe e affilate come lame, come fantasmi sorti dai peggiori incubi aggredivano, uccidevano e depredavano villaggi interi soltanto per temprare i loro giovani e farli diventare adulti e guerrieri.
Durante uno di questi viaggi, Aldaberon e i suoi amici ebbero il battesimo del sangue. Suo padre Alfons ne era al comando.
Parteciparono all'assalto spietato e crudele di un villaggio inerme, distruggendolo completamente e ammazzandone gli abitanti con una ferocia tale che segnerà per sempre gli animi dei nuovi guerrieri.
Qui Aldaberon uccise per la prima volta. Le armi che Alfons donò al figlio prima di partire dal Villaggio dell'Arcobaleno ebbero la loro vittima: una giovane donna inerme che sovente tormenterà i sogni di Aldaberon, ricordandogli il suo errore.
Erano Gente Strana, i Vareghi, violenti e duri come le terre in cui abitavano.
Imprevedibili e pericolosi, andavano orgogliosi di questa loro stranezza.
Forti e violenti in guerra quanto abili e accorti nel commercio, erano amati e odiati da tutti.
Padroni del loro destino viaggiavano per mare potenti e fieri, preceduti dalla paura che suscitava il loro nome.
Nessuna destinazione era troppo lontana da essere raggiunta: se vi arrivava il mare e vi era una spiaggia, là prima o poi sarebbe giunta una nave Varega.
Dove vi era una costa, vi era un villaggio. E dove vi era un villaggio, vi era gente da uccidere oppure con cui fare affari.
Per un Varego non avrebbe fatto molta differenza.
Questa era la loro regola: vendere, comprare, fare affari con le armi o uccidere con esse.
Non importava con chi, non importava per cosa, non importava perché, quello che importava era riportare in patria denaro e onore.
Conoscevano la scrittura e sapevano far di conto.
Da millenni questo era il segreto del loro potere e l'alone di mistero che li circondava.
Ormai tutti li conoscevano; ovunque gli abitanti delle coste temevano la primavera che con il disgelo portava anche il fiato dei Vareghi lungo i fiordi del Nord.
E contrastarli sarebbe stato inutile. Avrebbero spadroneggiato in lungo e in largo per i pochi mesi delle tiepidi estati del continente di Venturia. Per pochi mesi sarebbero stati padroni assoluti ovunque arrivassero.
Ma poi, giunto l'autunno, come falene affannate nel buio alla vista della luce della fiamma, sarebbero tornati irresistibilmente tutti quanti indietro prima che iniziasse l'inverno.
Ognuno rispondendo a un richiamo misterioso, ovunque fossero riprendevano la via del ritorno. Prima che scendesse la neve e i ghiacci bloccassero i profondi fiordi dove si nascondevano i loro villaggi, per la lunga stagione invernale ogni Varego faceva ritorno alla propria Casa e alla propria famiglia.
Lassù, al Nord, nella stretta striscia di terra chiusa fra il mare e la foresta dove da millenni erano i signori incontrastati, affrontavano tutti quanti assieme con coraggio e determinazione una prova durissima, al limite della sopportazione umana.
Per la maggior parte dell'anno lottavano contro i rigori di inverni lunghi e spietati, fieri delle tradizioni e della memoria degli antenati che li avevano preceduti. Nel rispetto del Nome della Famiglia e di tradizioni che si perdevano nella notte dei tempi, amavano quello che facevano nella consapevolezza che questo li rendeva unici tra tutti gli altri uomini.
Uomini e donne Vareghe, uniti come un unico corpo, diventavano solidi come roccia davanti al ghiaccio e al bianco dell'inverno. Nascosti all'interno delle loro Case, forti del Nome che esse portavano a ognuno di loro, serravano le imposte contro le intemperie che giungevano da oltre il Mare e attendevano il ritorno della primavera.
Nel Nome della Famiglia e per il Nome di ognuno, lottavano per il bene comune.
Il Nome era tutto, era la cosa più sacra, da difendere a ogni costo.
Ma dal Nord giungevano anche storie misteriose e leggende di antiche maledizioni.
Superstiziosi come tutte le genti di mare, i Vareghi rispettavano gli Avi, riverendoli come fossero ancora vivi in mezzo a loro.
La vita e la morte per i Vareghi erano soltanto differenti facce di una medesima moneta.
Essere spietati faceva parte della loro natura e non c'era differenza se si rivolgeva contro alcuni di essi, dentro o fuori la loro società.
Le regole dovevano essere rispettate da chiunque, per il bene di tutti.
Il bene comune era sempre più forte di un soggetto singolo, chiunque esso fosse.
Per il bene comune si doveva vivere seguendo regole rispettate da millenni, ma sopratutto si doveva imparare a morire. Una vita non sarebbe terminata bene, senza una buona morte. E una morte non buona alle volte lasciava in sospeso conti che qualcuno prima o poi avrebbe dovuto saldare.
Antichi torti portati ad avi morti da tempo e ormai dimenticati, aleggiavano come fantasmi spietati tra i vivi. Come ombre crudeli, alla ricerca di una pace non ancora conquistata, le anime degli avi ritornavano quando il Fato stabiliva che era giunto il tempo. Rapaci ghermivano vite a caso tra i discendenti della propria Casa e il Prescelto doveva ripercorrere strade già calpestate dagli Avi e risolvere quello che era stato lasciato in sospeso dalla loro morte improvvisa.
Presso i Vareghi questo era conosciuto come RAMMARICO.
Senza saperlo, ancora prima di essere nato un bambino prescelto si preparava a diventare un Sanzara, un Senza Nome, senza patria e famiglia. Con le sue sole forze avrebbe dovuto risolvere un torto vecchio di secoli, senza sapere dove, come e quando farlo.
Inquiete e spaventose, le anime degli Avi aleggiavano come ombre sopra tutti i villaggi Vareghi e all'improvviso colpivano. Si insediavano nel corpo e nella mente dell'ignara vittima e vi restavano silenti fino a quando non fosse giunto alla pubertà.
Tutta la comunità dei Vareghi sarebbe stata al corrente di chi fosse il predestinato. Niente capitava senza che fosse risaputo da tutti, ma fino al momento giusto nessun Varego avrebbe detto o fatto nulla.
All'insaputa della vittima predestinata, un popolo intero si preparava a voltargli le spalle appena fosse giunto il momento. Allora come un sol uomo l'avrebbero abbandonato, separato, preparato a un cammino che l'avrebbe portato per sempre lontano dalla sua gente.
E questo fu il destino di Aldaberon. Quarto a portare questo nome in otto generazioni di Vareghi appartenenti alla Casa delle Farfalle, fu il generato da un Matrimonio della Foresta e scelto dal Fato.
Vittima prescelta, venne sacrificato per il bene comune di tutti i Vareghi senza saperne il perché.
A quattordici anni venne abbandonato da tutti, rinchiuso nella Capanna del Sanzara del Villaggio dell'Arcobaleno e affidato alle cure di un anziano guerriero chiamato Neko.
Per lunghi anni vissero in solitudine, separati da tutti.
Aldaberon apprese come sopravvivere una volta diventato un Sanzara. Imparò a convivere con le anime degli altri Aldaberon vissuti prima di lui e a temerli come i peggiori nemici per la sua esistenza.
Senza che potesse fare nulla per scegliere quello che poteva essere meglio per sé, all'inizio dovette accettare la scomparsa della madre, poi venne separato dai suoi amici d'infanzia, da Vandea, la donna con la quale desiderava costruirsi una vita e dal padre, Alfons delle Farfalle.
Quando, dopo anni di sofferenza, questi morì incapace di affrontare ancora una vita di dolore, Aldaberon capì che era giunto il momento di diventare un Sanzara.
Ormai cresciuto, perduto tutto quello che un tempo fu la sua vita, all'età di ventuno anni partì dal suo villaggio andando verso un destino che da trecento anni attendeva una soluzione che solamente lui poteva trovare.
Partì un mattino in compagnia di Neko e nessuno nel Villaggio dell'Arcobaleno venne a salutarlo.
Per una settimana intera viaggiarono fianco a fianco, poi si separarono: Neko del Pino era giunto a casa, mentre Aldaberon il Sanzara aveva appena iniziato il suo viaggio verso l'ignoto.
Percorse strade sconosciute dirigendosi a Sud, attraversando una sconfinata foresta che lo condusse fino a un fiume e a una misteriosa popolazione di donne che lo accolse quando tentò di ribellarsi al suo destino.
Aggredito dai fantasmi che popolavano la sua mente, rischiò la morte quando arrivò oltre a dove alcuni suoi avi arrivarono. Uno alla volta li eliminò tutti, rimanendo faccia a faccia con l'unico, vero antenato da cui prese il Nome e il Rammarico. Ma il prezzo di tale ribellione fu un'amnesia totale. Tutto quello che fece parte del suo passato scomparve, avvolto in una nebbia che solo di quando in quando si squarciava per pochi istanti.
Perse la memoria e senza saperlo strinse un'alleanza con l'antenato che viveva dentro di lui.
Lungo la riva di un fiume venne salvato da due ragazzi, Flot di Yasoda e Radice. Uno era un Ratnor e l'altro un Sednor. Insieme lo curarono, lo nutrirono, passarono un inverno intero in sua compagnia dentro una camera scavata dentro un albero. Divennero amici inseparabili, poi Aldaberon incontrò una misteriosa donna, la Grande Madre delle Yaonai.
Anziana e nobile, la Grande Madre gli diede un nuovo nome e un nuovo destino. Gli diede un appuntamento e una promessa a incontrarsi ancora quando fosse giunto il momento giusto.
In questo modo Aldaberon il Varego divenne Walpurgis dei Mandi e con questo nuovo nome si preparò ad affrontare la sua nuova vita assieme ai suoi nuovi amici.
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