8) IL CANTO


I tre rimasero a guardare il ragazzo imboccare il sentiero che l'avrebbe portato in cima al vulcano. A lunghi passi corse fino a scomparire dietro la china, ma ben presto ricomparve al piano superiore della lenta spirale che avvolgeva il monte. Fermandosi proprio sotto a loro, li salutò con un gesto della mano.

Wal pensava che l'avesse fatto per riprendere fiato, invece si sbagliava. Radice era stufo di girare in tondo in quel modo. Vide Ranuncolo fargli dei gesti e lui reagì seguendo le indicazioni dell'altro. Avanzò di pochi passi ancora lungo il sentiero, poi trovato quello che andava cercando, ripartì veloce saltando da una roccia all' altra e tagliando su per la scarpata come aveva già fatto il Sednor prima di lui. Si fermò a metà della salita per salutarli ancora e la seconda metà la percorse così velocemente che Wal non poté che guardare stupito l'agilità che possedeva quel ragazzo dall'apparenza così pacata e mite. Si stava ancora domandando come avesse potuto restare chiuso in una camera per assisterlo durante la malattia, quando con un ultimo agile balzo superò il bordo della cima proprio di fronte a loro.

Nemmeno alitava per la fatica. Era fresco come una rosa e non una goccia di sudore gli imperlava la fronte. I lunghi capelli erano rimasti arrotolati al loro posto e le gote non avevano un minimo di rossore per lo sforzo sostenuto. Eppure lui non pareva rendersi conto di quello che aveva appena fatto. Sembrava così normale, così assolutamente semplice da non meritarsi alcun elogio o complimento. Era felice d'averlo fatto, niente di più.

Giunto davanti agli altri li salutò con un cenno della mano, si lisciò una piega della tunica e guardò quella di Wal, stracciata nelle maniche e stazzonata.

"Che cosa ti è successo, Wal?" domandò all'amico.

Ma fu Flot a rispondere per lui, in fretta, quasi avesse paura che il Varego potesse tradirlo con una parola sbagliata.

"Aveva caldo" disse solamente. All'alzarsi stupito di un sopracciglio di Radice, Wal intuì che non doveva sembrargli molto credibile, però annuì, non disse nulla e lasciò cadere il discorso. Nessuno dei tre parve intenzionato a dire altro sull'argomento, però in breve cadde in mezzo ai tre amici un silenzio imbarazzato che nessuno seppe più come interrompere. Si guardarono l'un l'altro senza sapere cosa fare, quando Radice prese prima una mano a Flot poi una a Wal, formando così un circolo e dicendo semplicemente :

"Che la benedizione di nostro Padre e di nostra Madre siano con voi e con tutto il nostro popolo".

Recitò quella semplice preghiera con tanta devozione e serenità che in un istante l'imbarazzo si sciolse come neve al sole e i tre si scoprirono a sorridersi l'un l'altro. Quel contatto fisico riscaldò il cuore di Wal che non si sentì solo, anche se di quel popolo sapeva ancora molto poco. Sapere di avere due persone su cui fare affidamento, era per lui, in quel momento di sbigottimento tra una vita di cui non ricordava quasi nulla e un'altra che presentava così tante insidie, un enorme sollievo. L'apprendere di essere diventato il rappresentante in terra del Dio di quel popolo, lo riempiva di paure e agitazioni. Eppure quel semplice gesto lo ricondusse a una maggiore calma, a guardare con più ottimismo al suo futuro. Qualunque cosa fosse successa nei prossimi mesi non l'avrebbe affrontata in solitudine.

Ora comprendeva la reazione della ragazza che cercò di sfiorare per scherzo. Per lei e per la sua gente quella era una cosa su cui non scherzare. Sorrise.

Sapeva che non poteva bruciarla con il semplice contatto, però guardò la sua mano stretta a quella di Radice, cercando poi in fretta lo sguardo di Flot che subito lo rassicurò.

"Non temere, Wal" gli disse il Ratnor "Anche lui sa che non gli puoi fare nulla. Alla Festa di Sitati diventerà un Ratnor come me e per il prossimo giorno di Koikai prenderà il mio posto come Maestro del Sole. Lo sto istruendo sui suoi compiti, preparandolo a diventare il mio successore".

Il semplice, umile sorriso che Radice gli fece a conferma di quello che aveva appena udito, gli rafforzò ancora di più la considerazione e l'affetto che lo legava al ragazzo. Sapere di essere in procinto di diventare una persona importante tra la sua gente e non lasciarlo trapelare in nessun modo, non era da tutti, pensò tra sé Wal.

Sciolsero lentamente le mani, anche se a lui dispiacque farlo. Gli sarebbe piaciuto prolungare all'infinito quella sensazione di comunione con gli altri due, ma il corso delle cose doveva nuovamente riprendere il suo cammino. Il sole cominciava a declinare a Ovest e il tempo scorreva rapido. Ritornando il sommo sacerdote della sua gente, Flot voltò le spalle agli altri due e sollevò le braccia al cielo. Nel farlo ebbe un'incertezza nel alzare quello destro. Wal lo vide. Il dolore della ferita doveva farlo soffrire molto, ma nemmeno in questa occasione si lasciò scappare un solo lamento.

<Chissà se non lo dirà nemmeno a lui > pensò gettando un'occhiata rapida a Radice che pareva non essersi accorto di niente. L'affetto che i due dimostravano a vicenda era evidente. Flot gli aveva rivelato che erano fratelli e la somiglianza straordinaria dei loro lineamenti era impressionante, ma il Figlio del Sole sembrava voler nascondere anche a lui l' incidente che gli era successo. Wal non ne capiva il motivo, però decise di non farne parola. In fondo doveva qualcosa a Flot: l'aveva già ferito profondamente e non voleva farlo ancora. Pur inconsapevolmente si era sposato con sua moglie e venirlo a sapere l'aveva lasciato sbigottito. Se la cosa fosse successa a lui non avrebbe saputo come avrebbe reagito, ma certamente avrebbe faticato a comportarsi con la compostezza del suo amico.

<Che razza di gente è, dove sono capitato >si domandò mentre guardava Flot che intonava una lenta canzone di cui non capiva le parole. Con le mani alzate stava pregando il suo Dio e anche se poco prima gli aveva espresso i suoi tormenti, non dubitava che fosse sincero in quello che faceva. Anche Radice, al suo fianco, ripeté sommessamente le parole della canzone. Anche lui esprimeva un profondo sentimento nelle parole che pronunciava. La voce più calda e bassa di Flot si fondeva con quella più acuta e fresca di Radice, alle quali dopo non molto si aggiunse anche quella rauca di Ranuncolo che, pur tenendosi a distanza, partecipava con altrettanto trasporto al rito. Ogni tanto Wal percepiva che le sue parole erano leggermente diverse da quelle degli altri due, ma la fede e il sentimento che esprimevano erano identici. Quella gente credeva veramente in quello che stava facendo. Provavano una medesima devozione verso qualcosa che lui non comprendeva ancora e lo facevano in modo totale, ognuno per i propri motivi. Dall'alto del vulcano le voci dei tre uomini si sparsero tutt'attorno e Wal ne venne sopraffatto. Un solo semplice canto riuscì a trasportarlo lontano e lo fece sentire leggero. La testa e il corpo presero a intorpidirsi e la sua mente, finalmente libera, volò in alto, si librò sopra al suo corpo, lentamente si allontanò: vide se stesso sorretto dai suoi due amici e il vulcano che poco alla volta prese forma, si allontanò e rimpicciolì, perdendosi poi come minuscolo puntino in mezzo all'immensità della foresta che lo circondava. Ogni cosa parve più vera vista da lassù. Sopratutto diversa.

I colori, i rumori e gli odori erano diversi, più intensi e cangianti. Poteva riconoscere le cose benché ora gli apparissero diverse, non fatte di materia, ma di luce. Ci fu un momento in cui si distrasse e il suo corpo si sbilanciò di lato. Un improvviso panico si impossessò di lui. Temette di precipitare, annaspò disperatamente verso le nuvole a lui accanto nel tentativo di fermarsi, di riprendere il controllo e non salire oltre, ma fu tutto inutile. Le nuvole si ritrassero dalle sue dita e il suo sgomento aumentò. Si sentì perso: la paura l'avrebbe vinto e lui sarebbe morto schiantandosi al suolo. Ma proprio nel momento in cui sentì il suo essere precipitare, nella testa udì risuonare il canto dei tre uomini ormai così lontani da essere solo piccoli puntini indistinti. La calma ritornò, il suo corpo si stabilizzò, planò leggero come le nuvole che poco prima lo rifiutarono.

Ora le poteva toccare, sfiorare con le mani sensibili come mai prima d'allora, tanto che ne poté avvertire la soffice consistenza tra le dita. Accarezzandole delicatamente le sue estremità divennero a loro volta della stessa sostanza delle nuvole, fondendosi con esse, senza più saper dire dove terminassero quelle e iniziassero queste. A un tratto capì. Era entrato in una dimensione che ancora non conosceva; il suo spirito si librava libero nell'aria e dall'aria era accarezzato delicatamente con dita invisibili e fresche. Poco alla volta una calma profonda si impossessò di tutto il suo essere. I suoi sensi divennero prodigiosi. Con occhi acuti come l'aquila poté scorgere ogni particolare per quanto lontano fosse.

Riuscì a vedere il villaggio da cui partirono alla mattina lui e Ranuncolo; riconobbe la radura dove si tenne la festa il giorno prima, vide anche il palo ritto in centro a essa. Ruotando lentamente su se stesso vide anche altri villaggi, nove ne contò, tutti alla medesima distanza dal vulcano, anche se più piccoli di quello centrale. A Nord, lontanissimo, c'era il mare, una distesa blu che lo riempiva di nostalgia e sgomento. Ancora oltre, ancora più lontana anche per la sua vista straordinaria, vi era una striscia bianca che riempiva l'intero orizzonte per quanto allontanasse lo sguardo. Scintillava sotto i raggi del sole, riflettendoli in ogni dove. Era bellissima da guardare, ci si poteva perdere a osservarla a lungo. Ne provò paura, eppure non poté staccare lo sguardo da quella marea di scintillii.

Ne era attratto, l'attirava a sé. Come una farfalla verso il falò, provò un forte desiderio di planare velocissimo verso di quella striscia cangiante, raggiungerla e toccarla, eppure sentì che non era solo bella. Era anche letale. Questa consapevolezza gli crebbe dentro come un'improvvisa ondata di quel mare che vedeva così calmo e che in qualche maniera sentiva suo.

<Chi sono io? > Si ritrovò a chiedersi e lentamente si voltò, planando a guardare altrove, verso Sud. Laggiù vide ancora foresta, ma in mezzo a essa, non molto distante dagli ultimi villaggi del popolo che l'aveva ospitato, una striscia color sangue la interrompeva, larga, lenta e sinuosa. Con la sua calma placida tagliava la distesa di verde, da est dirigendosi a ovest, piegandosi a un certo punto verso Nord, man mano che si avvicinava a lontanissime catene montuose che cadevano a picco sulla foresta. Verso Est, oltre la foresta, una Steppa sconfinata, a Ovest la massa d'acqua si perdeva in mezzo al verde prima di scomparire in basso, gettandosi in una cascata dalla quale si sollevavano immense nuvole di vapore trasparente. Anche a quella enorme distanza Wal poté percepire il rombo possente dell'acqua che, schiantandosi a valle, evaporava prima di riprendere placida la sua corsa tra gli alberi. Lontanissima a Ovest, molto oltre la cascata, la foresta si interrompeva davanti a un mare di sabbia che si perdeva a vista d'occhio. Un deserto immenso nel quale non esisteva altro che il lento fiume calmo che l'attraversava. Poi per ultimo guardò in basso. Sotto di sé, sbigottito e spaventato, vide il pericolo maggiore. Al di sotto dei villaggi Ratnor e oltre ancora, molto oltre, quasi a cingere come un invisibile cordone infuocato la foresta, un mare di fuoco. Non si vedeva, non si immaginava, ma profondo e nascosto sotto la terra, c'era il fuoco. Silenzioso e potente cresceva a dismisura sotto quel popolo ignaro del pericolo che correva. Arrivava direttamente dalle viscere della terra. Saliva e scorreva lento tra le rocce accumulandosi in lava incandescente, riempiendo poco alla volta immense cavità sotterranee. Si accumulava in attesa di rigurgitare la sua rabbia distruttrice, vomitandole da bocche così potenti da far sembrare il vulcano una pustola insignificante. Rabbrividì al pensiero di quello che sarebbe successo nel momento in cui le forze della natura avessero deciso di cambiare il volto di tutta quella regione e nessuno, nemmeno il Dio di quel popolo, avrebbe potuto fare nulla per salvarli. Le Yaonai, i Sednor, i Ratnor stessi sarebbero stati spazzati via come foglie al vento. Doveva fare qualcosa per quella gente che l'aveva aiutato, anche se non sapeva come. Il canto dei tre uomini continuava sommesso nella sua mente, lo rassicurava nonostante la grande distanza che li separava. Non capiva le loro parole, ma sapeva che il loro canto era diretto al loro Dio, indifferente a quello che poteva accadere da un momento all'altro a quel popolo che lo adorava. Era troppo lontano, troppo distante per poter fare qualunque cosa. E se non poteva lui, come avrebbe potuto salvarli un uomo, così piccolo e impotente davanti a quella mostruosità della natura? Lo sconforto si impossessò di lui, certo dell'inutilità dei suoi sforzi. Rimase a fissare quell'alone rossastro che giganteggiava sotto la foresta, quando udì una voce.

Non avrebbe saputo dire se fossero parole reali o pensieri impalpabili, non avrebbe potuto dire da quale direzione arrivassero, eppure udì chiaramente queste parole:

"Non temere, non sei solo".



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