35) INCONTRI

Guardò il fascio di foglie che aveva in mano. Aldaberon, il suo avo, l'aveva consigliato su cosa chiedere a Flot. L' aveva guidato, l'aveva aiutato a capire per il bene di entrambi. Lui sapeva cosa poteva essere meglio per loro due. In fondo desiderava soltanto un poco di pace e non aveva motivo di ingannarlo. Se a lui fosse successo qualcosa sarebbe stata la fine di questa vita, per il suo avo invece la continuazione del tormento in cui viveva. No, non l'avrebbe ingannato, lo sentiva.

Decise di non opporsi ai suoi consigli, ora che gli potevano arrivare chiari e netti, senza più l'intromissione dell'Infame. Sorrise stanco al pensiero di quel lontano parente che ora aveva allontanato per sempre da lui. E involontariamente scoprì di rimpiangerlo. Era strano, ma quell'anima inquieta e maligna gli mancava ora che era scomparsa dalla sua vita. Aveva lasciato un vuoto, una sensazione a cui non era abituato.

Stava bene, anche se si sentiva strano. Vivere sotto un'oppressione e a un tratto liberarsene, poteva lasciare sgomenti all'inizio. Molte erano le cose che avrebbero dovuto trovare una nuova collocazione nella sua vita. A partire dalle più semplici.

S'incamminò piano lungo la spirale che conduceva in basso e pensò che aveva fame e sete. Dalla mattina non aveva fatto altro che medicare e ascoltare. Aveva vissuto quelle ore sospeso da tutto, ma ora che era di nuovo a contatto con la realtà, con essa ritornavano anche i bisogni più semplici. Di quelli aveva bisogno, ora. Poche, vere cose. Anche semplici, come quelle. Aveva bisogno di concretezza, sentire che i piedi ancora poggiavano sul terreno e l'aria entrava nei polmoni senza bisogno di pensare.

Si accorse che doveva orinare, anche quello era dalla mattina che non lo faceva.

 Sopratutto voleva radersi e pettinarsi i capelli. Sì, ecco, era quello che voleva fare. Ritrovare la strada per tornare al suo albero casa, bere, mangiare, radersi e pettinarsi. Poi avrebbe ricominciato a pensare, prima no.

Aveva bisogno di silenzio e di solitudine per qualche ora. Tanto per rimettere ordine nei suoi pensieri. Era profondamente dispiaciuto per quello che era successo al suo antenato, il primo unico, vero Aldaberon. Ora che aveva capito le sue misteriose parole su colui che l'aveva ucciso, provava pena per ambedue. La vittima e l'assassino, entrambi. E un poco anche per sé. Erano tante le cose che doveva accettare e voleva farlo in solitudine. Ne sentiva il bisogno impellente, come lo svuotare la vescica.

Arrivato alla base dell'albero casa del Maestro del Sole, si guardò attorno per vedere se c'era qualcuno in vista. Accertatosi di essere solo girò attorno all'albero e si liberò contro la corteccia e sulle radici. Pensò che a Flot non sarebbe dispiaciuto se lo avesse visto, in fondo non poteva farsela addosso. Non sarebbe stato decoroso per il Padre di Tutti andare in giro con i pantaloni bagnati.

Quando ebbe finito tornò sui suoi passi e si guardò attorno per trovare la via del ritorno. Ebbe un tuffo al cuore quando vide che c'era una donna a guardarlo, una Sednor, a pochi passi da dove lui era sceso dall'albero.

<Avrà visto tutto?> si domandò sentendosi arrossire, poi ebbe un altro momento di sgomento quando riconobbe la Sednor.

Sapeva chi era, era difficile sbagliarsi. Era la donna boscaiolo, quella con le tette grosse che tanto l'avevano colpito il giorno del suo matrimonio. Con un brivido di piacere si ricordò anche il momento in cui quella ragazza gliele compresse sulla schiena nel portargli il mangiare. Sarà stato un caso? E quel suo profumo, così acre e sensuale assieme. Di sudore fresco e fiori amari. Come era il suo nome? Non se lo ricordava, dovette improvvisare.

"Salute a te, boscaiola" le fece e lei al principio parve sorpresa del saluto che le aveva portato, ma poi rammentò e sorrise senza nessun imbarazzo.

"Salute anche a te, Gopanda- Leta " gli rispose accennando un inchino che non le riuscì molto aggraziato. Wal pensò che si trovasse più a suo agio con un'ascia in mano che con quelle forme di cortesia. Comunque apprezzò e lo ricambiò. In cuor suo, sperò che non fosse venuta a cercarlo come Marsal la sera prima. Non era in vena di essere gentile con una donna. Sapeva di averne chiesto il nome a Flot e si ricordava che Radice glielo avesse sussurrato nell'orecchio, ma non desiderava compagnia femminile quella sera. Era troppo scosso per averne voglia.

"Sono onorata che tu ti ricordi di me" aggiunse lei e nel dirlo si fissò il seno prosperoso. Era evidente che ne andava fiera e in effetti era la sola che Wal avesse visto con quelle misure generose. Comunque, superato il primo momento di smarrimento, Wal si scoprì contento di averla incontrata. Non sapeva spiegarsene il motivo, ma gli piaceva quella ragazza un poco sfrontata e dall'aria sicura di sé.

Inoltre, rammentando come si strusciò sulla sua schiena, evidentemente non era tra quelle che credeva di restare bruciate. Ne fu soddisfatto. Nella luce del sole pomeridiano, gli occhi nocciola della ragazza brillavano come se fossero stati d'oro. Erano fermi su di lui, penetranti, quasi sfacciati. Era più bella di come se la ricordava. Un filo di trucco le sottolineava gli occhi e non aveva il volto stanco dal lavoro d'ascia.

Certamente non avrebbe mai potuto competere in bellezza con la Grande Madre o con Marsal, però era tutt'altro che brutta. Istintivamente Wal annusò l'aria per sentirne l'odore, però restò deluso. Il vento tirava nel senso opposto. Le si avvicinò un poco, cercando di annusarla. Lei non arretrò.

"Sto cercando mio padre, Padre di Tutti" fece lei, guardandosi attorno "Ma non lo vedo da nessuna parte. Mi hanno detto di averlo visto qui, nei pressi dell'albero casa del Maestro del Sole".

"Come ben saprai, non conosco ancora molti di voi" gli rispose cortese lui "Però se posso aiutarti, domanda pure, se ti è consentito dire il suo nome".

"Lo conosci di sicuro, mio signore" disse lei sorridendogli. Gli piacque quel sorriso. Non era servile come quello dei Ratnor, era schietto, fiero e non dimostrava nessun timore di lui. "Il suo nome è Ranuncolo ed è il tuo servitore".

Wal rimase di stucco. Chissà perché, ma si era fatto l'idea che Ranuncolo non potesse avere dei figli. Evidentemente conosceva ancora così poco di quella gente, che forse avrebbe fatto bene a non lasciarsi più guidare soltanto dalle impressioni.

"È di sopra, con Radice e Flot di Yasoda " le rispose, facendole un gesto per indicarle da dove era sceso "Ma credo che per il momento sarà impegnato con lui". Le si avvicinò ancora di un passo. Il vento finalmente girò e gli portò l' odore della ragazza.

Era meno acre di come lo ricordava, ma sapeva ancora di fiori amari. Non gli dispiacque per niente. Era sensuale e gli riempiva piacevolmente le narici.

Lei ebbe un gesto di stizza. Le grosse tette le sobbalzarono un poco quando sospirò sonoramente. Wal ne fu affascinato. Lei se ne accorse e sorrise. Le era già tornato il buon umore.

"Era qualcosa di importante?" gli fece lui, ma lei si schernì.

"No, cose da poco conto. Soltanto cose da Sednor" fece, ma nella sua voce Wal colse qualcosa di più che sola indifferenza. Un fastidio velato, pareva. "E tu, mio signore? Dove stavi andando?".

"Stavo cercando la strada per il mio albero casa, ma credo di essermi perso" disse lui, mentendole. Sapeva benissimo da quale direzione fossero arrivati lui e Ranuncolo alla mattina, però gli avrebbe fatto piacere passare un po' di tempo con lei. Quella ragazza lo incuriosiva e inoltre forse avrebbe potuto capire che cosa nascondeva, sotto quella indifferenza scanzonata. Anche lei parve contenta di cogliere al volo la possibilità di stare un poco insieme. Senza pensarci troppo lei disse :

"Se ti fa piacere ti ci conduco io". Lui accettò subito.

Si incamminarono fianco a fianco. Lui aspettò che fosse lei a muoversi per prima, per non farsi scoprire nel suo piccolo inganno. Quando furono vicini si accorse che erano alti uguali. Le spalle quasi si toccavano e non c'era differenza tra loro.

Ora sentiva bene il profumo della sua pelle. Lo respirò a pieni polmoni cercando di non farsene accorgere. <Chissà se anche lei sente il mio?> Si trovò a domandarsi, anche se si guardò bene dal dirglielo.

Camminarono per qualche minuto nella foresta. Il sole faceva capolino da sotto le fronde degli alberi e allungava le sue ombre sul terreno. Tra non molto sarebbe stato il tramonto e la Guardiana avrebbe chiuso i varchi per la notte. Non era tardi, eppure in giro non c'era già quasi nessuno. Soltanto pochi Sednor si avviavano veloci da un sentiero all'altro, indaffarati come sempre, ma dei Ratnor non c'era traccia. Parevano scomparsi. La foresta era stranamente silenziosa. La sera prima era giunto tardi e gli era parso normale che tutti si fossero già ritirati nelle loro case, ma ora era diverso.

Era ancora presto, il buio era ancora lontano almeno di due ore. Non gli sembrava di essere in un villaggio. Era troppo silenzioso, troppo cupo. Nello sprazzo di ricordi di poco prima, in mezzo al dolore sapeva che attorno a lui e a suo padre c'erano tutti gli uomini del loro villaggio. Non ricordava ancora tutto, ma per qualche secondo aveva sentito suoni famigliari che l'avevano condotto indietro, a quel tempo che ancora gli restava in parte celato. In quel breve lasso di tempo aveva percepito chiaramente che quel passato era rumoroso, pieno di vita anche nei momenti più tristi. Era diverso, qui. Troppo, troppo silenzioso.

"Dove sono finiti tutti?" domandò alla Sednor e lei si voltò a guardarlo perplessa. Le ci volle un momento per mettere a fuoco che lui non poteva conoscere tutte le loro abitudini.

"I nostri padroni dormono. Si riposano prima di cena" gli rispose.

Lo vide stupirsi e si accorse di non conoscerlo affatto.

Eppure faceva fatica a sentirlo un estraneo. Doveva dirselo tutte le volte che lo vedeva. Anche quel giorno, là in mezzo alla radura per la festa di Primavera, quando lo sorprese a fissarle il petto nudo mentre spaccava la legna, fece fatica a capire che non era dei loro. Era spaesato, emaciato e pallido, però vestiva come loro e portava i capelli come gli uomini della sua tribù. Le era piaciuto subito quello sguardo beato, puntato verso i suoi capezzoli.

Quando lo vide in compagnia del Maestro del Sole e le dissero che era il Gopanda-Leta di quell'anno, le ci volle un momento per accettare di non averlo mai conosciuto prima. Era una sensazione strana, che la rapiva e la turbava insieme. Era certa che quel ragazzo rimasto a guardarle le tette non fosse la prima volta che lo faceva. E se lei si era impettita nel vederlo, era perché sapeva che a lui piaceva quando lo faceva. Non era una sua abitudine farlo, anzi il più delle volte la infastidiva. Ma se l'aveva fatto, l'aveva fatto per lui, solo per lui. Ne era certa. Accettare un'altra verità avrebbe voluto dire che lei si era sbagliata e questo era difficile da ammettere.

Quando poi Radice la venne cercare e le disse che il futuro Padre di Tutti voleva conoscere il suo nome, ecco, quello fu un momento delicato e ne rimase un poco delusa. Voleva proprio dire che non la conosceva ancora e che lei si era sbagliata. Tutto la portava verso la medesima conclusione, sapeva che rifiutare questo come logica conseguenza sarebbe stato difficile, eppure...



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