30)METAMORFOSI
Quando Wal scese lentamente la spirale di legno, ancora non credeva alle parole che aveva sentito. Aveva appena lasciato Flot.
Avevano passato buona parte della giornata insieme, lui e il suo amico.
Arrivò alla mattina, quando il sole non era ancora alto e ora che la discendeva era nel pomeriggio inoltrato. Per tutto quel tempo avevano parlato e molte erano state le sorprese per entrambi.
<E che sorprese> pensò.
Riandò alla mattina.
Appena entrati nella stanza Wal chiese all'amico come andasse la ferita al braccio e, come aveva sospettato, ancora doleva. Quando Flot si tolse la tunica ed ebbe modo di vedergli la fasciatura, capì subito che era ancora quella che aveva fatto lui quasi una settimana prima nella foresta. In tutto quel tempo nessuno l'aveva ancora rimossa.
Flot aveva taciuto, non aveva fatto parola con nessuno su quello che gli era successo nella foresta.
Nel vedere i risultati di quella negligenza, fece fatica a trattenere una smorfia di disgusto. Un leggero odore di putrefazione avvolgeva il braccio destro dell'amico. Era gonfio, di colore violaceo e caldo.
Andò a prendere una brocca con dell'acqua e si accovacciò a terra. Invitò Flot a sedersi accanto a sé e vide che al braccio sinistro portava ancora il suo anello. Non l'aveva notato prima e gli fece piacere. Gli sembrò che fosse passata un'eternità da quando si erano scambiati quei doni e invece... Sospirò e tornò a concentrarsi sulla fasciatura.
Pazientemente Wal iniziò a bagnare il tessuto avvolto attorno al braccio, perché il sangue verdastro, già denso e colloso, si era incrostato, raggrumandosi e diventando duro come il legno.
Faceva più piano che gli era possibile, immaginando il dolore che poteva avere Flot in quel momento. Provava repulsione per la gelatina verde e molliccia che toglieva man mano che l'acqua la scioglieva, eppure non voleva desistere. Bagnava e bagnava ancora, sfilando un pezzo alla volta di quella incrostazione dura e tenace che rimaneva incastrata sotto le unghie. Se la vedeva appiccicata alle mani e più volte dovette pulirsele per poter continuare nella sua opera di rimozione. Era disgustosa, bagnata sapeva di legno in putrefazione. Si stupiva di rimanere calmo davanti a una cosa del genere.
Spira dopo spira riuscì a togliere tutta la fasciatura e più volte, mentre lo faceva, vide il volto di Flot contrarsi dal dolore quando dovette fare forza per staccare pezzi particolarmente tenaci e resistenti. Gli ci volle quasi un'ora per togliere tutto. Non parlarono quasi in quel lungo lasso di tempo e fu grato all'amico che gli diede il tempo di lavorare con tranquillità. Rimase teso e all'erta per tutto il tempo, perché sapeva che era Aldaberon l'Antico a guidare le sue mani nel lavoro che stava svolgendo. Sapeva di essere guidato dal suo antenato, ma al tempo stesso temeva l'altro Aldaberon, l'Infame, temeva che potesse interferire e non voleva permetterglielo in nessun modo. Doveva rimanere vigile e non distrarsi per nessun motivo.
Mentre lavorava faceva ben attenzione ai cambiamenti di umore, ai formicolii ai piedi o alla nuca, però tutto andò per il meglio. Riuscì a mantenersi calmo e controllato e scoprì che gli piaceva quello che stava facendo. Il sapere di poter aiutare Flot gli dava una serenità che non ricordava di aver ancora provato. Quando poi, finalmente, tutta la fascia gli rimase in mano e poté gettarla in un contenitore, tirò un sospiro di sollievo e con lui anche l'amico, stanco di quella lenta tortura.
Quando anche l'ultimo pezzo di benda venne tolto, Flot si lasciò andare a un timido sorriso di ringraziamento. Aveva osservato l'operato dell'amico in silenzio e in apprensione. Di quando in quando, durante il lavoro, esaminava anche lui il braccio al di sotto della fasciatura e lo vedeva gonfio e arrossato. La pelle era livida. La ferita infiammata e calda. Aveva paura e provava vergogna nel mostrarsi così debole davanti a un altro. Per la prima volta in trecento anni di esistenza aveva bisogno dell'aiuto di qualcuno e il dolore che la cosa gli procurava, sconfinava nel terrore.
Aveva sbagliato tutto e stava iniziando a capirlo, anche se si rendeva conto che ormai era tardi. Sapeva che l'amico voleva delle risposte alle quali non avrebbe saputo quali parole dare, perché tradurre in parole un dolore come quello che aveva provocato lui, sarebbe stato difficile quanto accettarlo.
Perché quello che Flot sentiva era un dolore che difficilmente avrebbe potuto essere spiegato. Non era solamente un dolore fisico, ma sopratutto morale.
Come Maestro del sole Flot non avrebbe mai creduto di arrivare tanto in basso nella sua lunga vita. Aveva vissuto gli ultimi trecento anni pensando di essere perfetto e che nulla potesse succedergli se avesse seguito alla lettera gli insegnamenti del suo credo. Aveva sempre rispettato le leggi del suo popolo perché le aveva create, credeva in esse e non aveva dubbi sulla loro fondatezza. Nel nome di quelle leggi aveva anche ucciso chi minacciava di infrangerle e mai se ne pentì. Aveva anche fatto in modo che nessuno fosse più in grado di leggerle quelle leggi, perché nessuno fosse tentato di cambiarle.
Eppure tutto questo finì quando il suo stesso popolo, quel popolo che lui credette di aver servito al meglio per secoli interi, gli voltò le spalle.
Non lo volevano più, aveva fatto il suo tempo. Era vecchio.
Era quello che lo faceva soffrire tremendamente, molto più di una semplice ferita nelle carni. Gli avevano portato via tutto quello che riteneva suo di diritto e per questo non riusciva a trovare pace.
Mentre osservava Wal che con passione e dedizione si prodigava per curarlo, si vergognò di quello che aveva difeso strenuamente e di quello che il suo popolo aveva fatto in tutto quel tempo alle Yaonai, alla foresta e a quelli che non erano ritenuti degni di diventare come loro.
<Eppure> si disse <ci fu un tempo in cui le cose non erano così!>
Con la memoria ritornò indietro nel tempo, a quando era un bambino di pochi anni e camminava per mano del padre nella foresta. Quella stessa foresta che ora dominava con la forza e la ferocia, un tempo era un luogo felice e lui se lo ricordava bene.
Quanto era grande quella mano in confronto alla sua. Quanto adorava suo padre, l'uomo arrivato dal Nord per unirsi con una Yaonai e mai più ritornato alla sua gente riuscendo dove moltissimi prima di lui avevano fallito.
Sì, perché suo padre era riuscito a farsi accettare da quelle donne così strane, mezze umane e mezze piante, aveva ottenuto il permesso di vivere in mezzo a loro con lui, il figlio maschio avuto dalla Yaonai che l'aveva scelto come sposo e che delle Yaonai ne era il capo. Sua madre, se la ricordava ancora, come era bella.
Il vero nome di sua madre era Salice Splendente anche se per le abitanti della foresta era la Grande Madre. Fu lei, con la sua influenza e l'autorità che le conferivano i suoi titoli, a far sì che il popolo delle Yaonai accettasse l'uomo del popolo dei Vareghi che aveva scelto come il Padre di Tutti, il maschio per la riproduzione.
Non era stato semplice ottenerlo, come gli spiegò molte volte il padre. Se alla fine la posizione della Grande Madre prevalse sulle resistenze delle figlie, fu soltanto per l'astuzia che ebbe lei nel manovrare la situazione, affidandosi all'esistenza fugace del suo uomo.
In fondo è soltanto un uomo, presto morirà e tornerà nel Grande gioco della Vita, disse sua madre alle Yaonai irritate, noi possiamo vivere anche mille anni senza invecchiare mentre lui non avrà che un pugno di anni davanti a sé, poi svanirà nel nulla e nessuno saprà mai che sarà vissuto. Che cosa volete che possa farci, un così evanescente essere?
Questo disse alle più riottose e quelle, per rispetto e per timore, poco alla volta accettarono la mortale condizione di suo padre. Sua madre, era astuta sua madre.
Salice Splendente sapeva di giocare una partita difficile. Però sapeva anche che la sopravvivenza della sua gente doveva passare attraverso un radicale cambiamento delle cose, altrimenti si sarebbero estinte senza lasciare traccia della loro esistenza. A quell'epoca solamente lei sapeva dell'esistenza di un immenso bacino di lava che si stava riempiendo sotto la foresta e che prima o poi sarebbe esploso portando alla rovina tutte loro.
Non sapeva se un anno o mille sarebbero ancora passati prima della catastrofe, però alla fine era certa che la distruzione sarebbe giunta. Doveva fare qualcosa. Voleva trovare una possibilità di salvezza per se stessa e per la sua gente, anche se non sapeva cosa fare. Non ne aveva fatto parola con nessuna delle sue figlie per non diffondere il panico, ma se non avesse fatto qualche cosa, lei sarebbe stata l'ultima Grande Madre delle Yaonai e non voleva che questo succedesse.
Doveva trovare una soluzione e quando arrivò quel giovane desideroso di gloria, credette di averla trovata. Lei aveva bisogno di un alleato fedele per portare lontano le sue figlie e lui voleva essere scelto da una Yaonai, così Salice Splendente gli si mostrò. L' avrebbe preso come sposo, se avesse scelto di stare dalla sua parte. Non fu facile fargli accettare di non essere più un Varego, popolo a cui sentiva di essere profondamente legato.
Ella gli offrì un futuro insieme a lei fatto di onori e potere, in cambio gli chiese di restare per sempre.
Lui era giovane, forte e ambizioso, partì dal villaggio in cerca di gloria e davanti a una così allettante proposta, accettò di dimenticare le sue terre. In breve, unirono i desideri di entrambi in un matrimonio di interesse che soddisfaceva ambedue.
Ma il lavoro da fare era tanto e il tempo a disposizione poco. Lui era soltanto un uomo, poteva durare solo una manciata di anni e poi svanire nel nulla. Salice Splendente non doveva perdere tempo, se voleva ottenere quello che le interessava.
Sapeva essere convincente, sua madre. Quando voleva qualcosa, otteneva sempre quello che voleva.
Era bellissima sua madre, se la ricordava ancora bene nonostante la sua memoria non fosse più come una volta e la mente iniziasse a rendere fosche le cose successe negli ultimi anni. Pensandoci, Flot ebbe un fremito di terrore. Alle volte si svegliava al mattino e non sapeva chi fosse e dove si trovasse. Restava immobile nel letto fino a quando non trovava la forza di rimettere in movimento quel sangue così spesso nelle sue vene, che ogni primavera diveniva sempre più simile alla linfa delle piante.
Poi ogni volta riprendeva le forze e ritornava al suo posto nel villaggio dei Mandi perché la sua gente fosse ancora potente e felice. Tutto spariva, tutto era dimenticato, la paura, il terrore della mutazione, tutto, era vivo, forte, padrone della foresta e del tempo.
Che importava se per poterlo ottenere doveva trovare nuove vittime da sacrificare al suo Dio, il Sole, il suo Padre Celeste. Che importava se il risultato era l'immortalità per se e per la sua gente. L'aveva sempre fatto e l'avrebbe fatto ancora se non glielo avessero impedito. L'avrebbe ancora fatto, maledizione!
Per la rabbia scattò indietro all'improvviso e fece trasalire Wal che si fermò e lo guardò preoccupato. Temeva di avergli fatto male, non voleva, allora Flot si obbligò a calmarsi per permettergli di proseguire. Si scambiarono un sorriso complice e ringraziò il suo Dio che Wal non avesse voglia di parlare in quel momento.
Non se la sarebbe sentita, tanta era l'angoscia che sentiva attagliargli l'animo. Si limitò a guardarlo mentre lavorava così attento a quello che faceva e gli fece tenerezza.
Lui, lo spietato Maestro del Sole dei Perfetti, si commosse.
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