25) UN NUOVO INIZIO

La Yaonai lo guardò dolcemente, come una madre il bimbo mai sazio d'ascoltare. Una fugace carezza precedette la prosecuzione del suo racconto.

"Karahì faceva parte dei piani del Fato come tutti" iniziò lei paziente "solo che come tutti non sapeva cosa le riservava il futuro. Se l'avesse intuito, probabilmente non avrebbe fatto quello che le chiedeva il Tempo suo alleato. Nemmeno lei sapeva che Tempo e Fato erano uno. Ma tant'è, nessuno è più saggio di chi già sa e lei ancora non sapeva.

Quando si rese conto che gli altri Signori del Regno e i Soluni avevano preso la strada per il Mondo degli Antichi Padri, lei, che pareva essere la grande sconfitta, rimase l'unica a dominare su tutti.

Anche Soffiace l'abbandonò e si mise a sua volta alla ricerca di una delle porte che conducevano in quel luogo. Non voleva più saperne di un mondo che non la corteggiava e non l'amava più.

Non portò nulla con sé e nemmeno i Giganti che creò vollero andare a cercarla, stanchi di una Regina così mutevole e irresoluta. Se ne andò un mattino al levar del Sole, dopo aver passato tutta la notte ad ammirare la Luna nel suo nuovo cammino attraverso la volta stellata, invidiandole la bellezza e il destino.

Lasciò alle sue spalle tutti i suoi Venti e le Brezze, l'amato Refolo e il detestato Scompiglio, che da quel giorno furono liberi di scorrazzare come pareva loro. Non le interessavano più, ormai. Era delusa, il vecchio Ordine che aveva contribuito a scardinare dalle fondamenta non esisteva più. La sua alleata Karahì l'aveva stancata e la sorella minore, Gioturna, la inquietava. Non le era piaciuto l'inganno portato al Sole, usando la sua immagine a sua insaputa.

L'avevano usata trattandola come una serva qualunque, ma d'altronde non fu l'unica a essere truffata.

Anche Gioturna venne giocata dal Tempo. Avvelenò l'amato non riamata, pungendolo con una spina, un filtro datole dal Fato Nemico. Le fece credere che quel filtro l'avrebbe riportato a lei, invece perse un braccio e rovinò per sempre la salute di colui che l'aveva sempre rispettata. Senza saperlo aveva soggiogato il Sole al volere del Fato, senza nulla in cambio se non il privilegio di essere disprezzata da tutti.

Ma tant'è, a ognuno il suo.

Sola e delusa Soffiace andò alla ricerca di un Ramo d'Oro che le consentisse di passare nel Mondo degli Antichi Padri, tuttavia non ne trovò nessuno. Erano spariti tutti!

Capì di essere persa per sempre. Non aveva un posto dove andare. Nel vecchio Ordine non poteva tornare, in quello nuovo non la volevano. Implorò il Fato Imperscrutabile di perdonarla, ma nessuno le rispose. Il Caso e il Destino, i suoi messaggeri, non si fecero mai vedere da lei.

Alla fine, all'insaputa di tutti, sola e sconfitta si ritirò in fondo al Mare in attesa di potersi vendicare.

Ed è ancora là, delusa e amareggiata, a sfogare la sua rabbia in tempeste che nulla possono per placare il suo animo agitato.

Solo Karahì sembrava salva. Salva e libera di placare la sua ira.

Gli uomini erano rimasti soli, la Signora del Nord poteva riprendersi tutto, se lo voleva. E lei lo voleva. Sopratutto voleva vendicarsi di quei piccoli esseri chiamati Yaonai, che così tanti Ka-ranta avevano saputo distruggere nell'ultima grande battaglia.

Mandò per tutto il Regno i suoi Giganti.

Volle avvisare tutti che stava per tornare da Sovrana e che tutti si preparassero ad accoglierla in modo degno. Per un po' si illuse che le cose fossero semplici, ma quando non vide tornare nessuno dei suoi emissari, capì che gli uomini non l'avrebbero accettata senza combattere

 Alle sue spalle, l'immancabile Gioturna, la cui figura ora era resa ancora più oscura e sinistra per il braccio mancante, bisbigliava parole di guerra. Voleva morte e distruzione, ma Karahì non era sciocca.

Sapeva che se avesse distrutto tutti i suoi sudditi non avrebbe avuto nessuno su cui regnare, così decise di dare ancora una possibilità agli uomini andando di persona da loro, come le aveva consigliato il Tempo.

Partì dall'estremo Nord e si diresse a Sud con tutto il suo esercito di Giganti, ghiacciò la superficie del mare e lo attraversò facendo più rumore di un uragano perché tutti sapessero che stava arrivando.

Quando arrivò ai confini del Regno, li trovò tutti ad attenderla.

Era l'alba di un gelido mattino d'inverno, uno di quelli in cui sembra che il sole non voglia sollevarsi dall'orizzonte. Sulla spiaggia innevata stavano allineati e silenziosi tutti gli uomini e le donne del Regno, separati per tribù e Nazioni, rivestiti di ferro dalla testa ai piedi, ognuno con i propri colori a guidarli. Già si vedevano le scintillanti Bipenni brillare nel sole nascente, così come i lucidi scudi di varie fogge e misure. Erano moltissimi gli uomini.

Tra loro, in schiere vicine le une alle altre, anche i Vareghi e le Yaonai.

Per l'occasione le guerriere si erano rifatte le trecce e trepidavano per usarle. Tra di loro, vi erano le lanciatrici di ghiande e le portatrici di scudi. Per ogni fromboliera, un'altra era pronta a proteggerla. Tutte uguali, tutte agguerrite. Unica eccezione la Grande Madre: lei aveva due Yaonai di scorta, una per lato. Dietro alle Yaonai troneggiavano per statura e dimensione le Schegge. Nulla al mondo le avrebbe separate le une dalle altre e nemmeno in quell'occasione lo furono. Quando dalla spiaggia gli uomini videro arrivare Karahì con il suo esercito, alcuni presero a battere furiosamente le asce sugli scudi di metallo, subito imitati da tutto l'esercito.

Il rumore fu così assordante che incrinò il ghiaccio sul mare nei pressi della spiaggia, tuttavia non per così poco si impressionava la Regina del Nord.

Per nulla intimorita, Karahì chiamò Gioturna e insieme si avviarono verso gli uomini. Avanzavano lente, Karahì solenne come una Regina, Gioturna monca e sbilenca. Erano alte e imponenti nei confronti degli umani, le uniche che avrebbero potuto guardare negli occhi le Schegge.

Quando arrivarono alla distanza giusta per farsi sentire da tutti, il Sole si alzò un poco dal mare dell'Est. Era pallido e freddo, non mancava molto ai Giorni della Merla in cui avrebbe ricevuto l'aiuto degli uomini a riprendersi ancora una volta. Eppure, anche se stanco e malato, volle esserci quel giorno, a ogni costo.

Fu con disprezzo che Karahì lo guardò faticare, certa di averlo domato. Lui e tutti gli altri avrebbero presto smesso di guardarla con distacco.

Non più amore per i Soluni, separati dal cielo, ma solamente per lei, unica Regina su tutti.

Sprezzante, mentre attendeva paziente che gli uomini si stancassero di fare quel baccano inutile, lanciò uno sguardo anche verso un altro angolo di cielo, quello dove la Luna si batteva per poter vedere il suo amato prima di scomparire dietro l'orizzonte.

Come si compiaceva nel saperla sofferente, lei che aveva avuto quello che a Karahì non era mai stato concesso: un amore che le potesse scaldare il cuore. Che sapore dolce aveva la vendetta, sulle sue labbra sottili e gelide, incapaci anche di incresparsi in un sorriso. Il Tempo li aveva sconfitti e lei, sola tra tutti i Signori degli Elementi, rimaneva forte e salda al suo posto. Guardò scivolare la Luna verso il basso fino a che non la vide più e sospirò soddisfatta.

Karahì attese ancora un po' in silenzio, lasciando che gli uomini sfogassero le loro inutili energie sbattendo quelle ridicole asce contro gli insulsi scudi lucenti.

Quando le parve abbastanza, parlò e la sua voce ebbe la violenza di un tuono. Sovrastò ogni altro rumore e ogni rumore smise di sentirsi. Ottenuto così il silenzio, parlò ancora:

"Miseri esseri, come osate sfidarmi in questo modo! Io sono Colei che è da sempre e voi non siete nulla in confronto a me! Vi concedo ancora un'ultima occasione per inginocchiarvi e accettarmi come vostra Regina, altrimenti la mia maledizione cadrà su di voi!"

In risposta gli uomini e le donne la derisero facendola infuriare, umiliandola davanti a tutto il suo esercito.

La sua rabbia fu tale che li volle maledire tutti, dimenticando ogni prudenza. Eppure il Tempo l'aveva messa sull'avviso, ma lei in quel momento, sentendosi derisa e disprezzata, era troppo turbata per ricordarselo.

"Attenta, Karahì, stai molto attenta a quello che chiederai, perché potresti essere esaudita" le disse.

Ma era troppo sconvolta, troppo adirata per ricordarsi quel saggio consiglio. Se non la volevano come Regina, allora l'avrebbero avuta come nemica implacabile.

"Come volete" iniziò, puntando un dito gelido contro tutti loro "Da ora andrete ognuno per la vostra strada e quando vi incontrerete non vi riconoscerete. Le armi che portate le userete tra di voi e non troverete mai più la pace".

A quelle parole pronunciate con gelida soddisfazione i clamori e le risa caddero in un silenzio turbato. Gli uomini e le donne presero a guardarsi con sospetto, clan contro clan, tribù contro tribù, nazione contro nazione, ognuno raccolto sotto il proprio vessillo. La maledizione già faceva effetto.

Soddisfatta, Karahì non seppe accontentarsi. Guardò di sfuggita la sorella al suo fianco, misera creatura deforme, il Sole che ancora faticava a sollevarsi, infine fissò il punto dove aveva visto inabissarsi la Luna oltre l'orizzonte. Ora era su di lei che voleva sfogare la sua ira.

Su di lei e su quelle piccole donne che le erano così devotamente fedeli, le Yaonai.

Spostò lo sguardo su di loro. Ancora non sapeva come pronunciarsi, prese tempo spostandosi verso il loro schieramento. Avvicinandosi alla Grande Madre, si accorse delle Schegge che avevano alle spalle, infime creature ai suoi occhi, al pari di tutti i Giganti. Stupidi esseri senza immaginazione, poco più che semplice materia impastata dal volere dei Signori. Aveva sempre considerato la loro insulsa vita come la peggior punizione per un essere pensante e a quel pensiero un sopracciglio le si sollevò soddisfatto.

Vedendola avvicinarsi alla Grande Madre, le due Yaonai si fecero più vicine, coprendola con gli scudi per quanto possibile. Le superfici di metallo splendevano alla luce del Sole, riflettendo le immagini come specchi. In uno di essi Karahì vide la sua immagine e se ne compiacque; nell'altro riconobbe Gioturna, al suo fianco, che la fissava nell'immagine riflessa. Anche lei pareva compiaciuta. Lei, immortale senza onore, poteva ora assistere alla vittoria di sua sorella Karahì. Quella vittoria sarebbe stata anche la sua vendetta.

Le due sorelle si scambiarono un cenno attraverso le immagini riflesse dagli scudi.

"Ti porgo i miei saluti, Grande Madre delle Yaonai" iniziò Karahì, parlandole quasi con garbo. Sapeva di essere la più forte, nessuno poteva più contrastare il suo volere. Nessun altro era potente come lei su quel mondo, ora poteva tutto, anche essere gentile, se lo voleva. Eppure con questa convinzione crebbe anche la sua presunzione: osò fare quello che nessun Signore degli Elementi ebbe mai osato prima. Mentì.

Con occhi carichi di odio, disse:

"In virtù di un'antica legge dell'Ordine, chi osa toccare un servitore di un Signore viene punito come se avesse toccato il Signore stesso e la pena stabilita è semplice:  trasformare l'aggressore in quello che aveva usato per aggredire. Voi, ... " aggiunse puntando una mano contro la Grande Madre, lasciando trapelare  l'ira che le incrinò la voce "... avete distrutto molti miei servitori con delle ghiande e in ghiande verrete trasformate. Voi e quelle insulse creature alle vostre spalle, guardatemi!

GRANDE MADRE!

CHIUNQUE ABBIA OSATO FERIRE, VENGA PUNITO DIVENENDO CIO' CHE USO' PER COLPIRE.

CHE LE META' VENGANO UNITE, DIVENTINO UNA COSA SOLA ORA E PER SEMPRE.

UNITE, INDISSOLUBILI !

SOLO UN SACRIFICIO GRANDE QUANTO LA META' DEL VOSTRO MONDO POTRÀ SCIOGLIERE QUELLO CHE ORA LEGO A TE PER L'ETERNITÀ.

SOLO ALLORA LE PARTI TORNERANNO A SEPARARSI.

MA ORA... SCIOCCA!"

Urlò tanto forte da far tremare le onde del Mare:

"LA TUA PUNIZIONE SIA VEDERE LE SORELLE DIVENTARE LEGNO!

FA' DI LORO QUELLO CHE VUOI!".






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