23a) LA BATTAGLIA DELLA PRIMAVERA
Quando le Schegge furono abbastanza vicine alle colline, le Yaonai scesero veloci dai loro amici e presero a inerpicarsi lungo i facili pendii ricoperti d'erba. La bassa linea di colline le vide allinearsi per un lungo tratto, compatte, con le trecce sciolte già pronte a roteare.
Le Schegge e le Zolle si posizionarono ai piedi delle alture, rimanendo tra le Yaonai e le linee Ka-ranta per proteggerle da quella parte.
Lì il terreno era pesante e fradicio. Non potendo scorrere liberamente, le acque di fusione si raccoglievano in pantani che rendevano difficile attraversare quella zona, ma la cosa non preoccupava i Giganti.
Anzi, era con vero piacere che sbattevano i piedi in quell'acqua melmosa, sapendo di fare arrabbiare moltissimo i Ka-ranta. Erano consapevoli che dalle linee nemiche li stavano guardando, la loro era una sfida aperta e voluta.
Attendevano con ansia il momento di poterla regolare, lì, ora e definitivamente.
Quando il carro del Soluni attraversò il cielo come convenuto, la battaglia e il massacro ebbero inizio.
Le linee dei Ka-ranta, rese fradice dal Sole, cedettero quasi subito spezzandosi in tanti tronconi isolati gli uni dagli altri. La battaglia ben presto si trasformò in una serie di scontri individuali scomposti e disordinati.
Ovunque non vi fu più ordine o metodo, soltanto violenza brutale.
Le asce Bipenni dei Giganti del Regno si rivelarono spietate ed efficienti contro i corpi molli dei Giganti di Ghiaccio che ancora non le conoscevano. Ovunque entrassero in funzione mutilarono, ovunque volarono in aria pezzi di ghiaccio.
Membra e corpi in fusione si sparpagliarono sul campo, riducendolo in fango e poltiglia che veniva spruzzata a ogni passo. Il candore delle nevi divenne presto scuro di fango e sangue. Alcuni Ka-ranta, vedendoli nella piana, si gettarono contro i quadrati degli uomini, convinti che fossero bersagli più facili da abbattere. Ormai sapevano di essere perduti, dal Nord erano stati abbandonati e la loro sorte era segnata da tempo. Ma la frustrazione e la lunga attesa li aveva esasperati a tal punto che dovevano sfogarla su qualcuno. Inoltre gli uomini erano lì, fermi, immobili ad aspettarli. Piccoli, deboli e fragili com'erano, una facile preda, pensarono.
Gli si lanciarono contro urlando tutta la rabbia che avevano in corpo. Si avventarono contro gli scudi con tutta la frustrazione che avevano accumulato sul campo di battaglia convinti di ottenere una facile vittoria, ma quando si accorsero dello sbaglio commesso fu troppo tardi per molti di loro.
Arrivarono come delle furie, usando il peso dei loro corpi come arieti, ma quando rimbalzarono indietro sorpresi, senza riuscire a sfondare il muro compatto di scudi, riprovarono ancora con maggiore foga. Ogni sforzo che compivano si rivelava inutile, perché la prima linea ondeggiava, fletteva pericolosamente indietro, però teneva e alla fine di ogni assalto ritornava a posto. Ogni volta era ancora lì, pronta ad affrontarli ancora. Alcuni Giganti provarono a lanciare contro agli scudi dei blocchi di ghiaccio, convinti di vederli volare in aria come fuscelli. Invece, poco prima dell'impatto, a un segnale convenuto la prima fila del quadrato piantò saldamente il bordo inferiore affilato degli scudi nel terreno molle, inclinandoli indietro. Tutti furono pronti a reggere il tremendo urto, senza cedere nemmeno questa volta. Si udirono urla e bestemmie, ma il fronte resse. I pesanti blocchi di ghiaccio rotolarono sugli scudi e rimbalzarono lontani senza provocare danni. Esasperati, prendendo la rincorsa i Ka-ranta scavalcarono le linee degli uomini d'un balzo, saltando nel centro vuoto pensando di poter facilmente colpire dalle spalle le loro difese, invece si vennero a trovare circondati dalle donne che come lupe affamate gli si gettarono addosso con le asce, accecandoli con i riflessi del sole sugli scudi di metallo e colpendoli senza pietà alle gambe. Furono in molti e ripetere quello sbaglio, prima di rendersi conto che non potevano avere la meglio su quei piccoli esseri.
Nel frattempo, dalle alture le Yaonai lanciavano incessantemente le ghiande di piombo. Prendevano di mira le teste dei Ka-ranta e raramente fallivano il bersaglio. I solchi incisi nel metallo facevano ruotare vorticosamente i proiettili in volo. Sibilavano sinistramente prima di far esplodere in mille pezzi i bersagli che ricadevano lenti a terra. Le Schegge restavano attente e compatte davanti alle loro protette, ma a un certo punto nel loro schieramento si venne ad aprire uno spiraglio. Uno spazio esiguo e angusto, uno sfilacciamento nella compattezza, ma nella foga della lotta senza rendersene conto alcuni si allontanarono troppo dagli altri e questo non sfuggì ai Giganti di Ghiaccio. Esasperati dalla resistenza degli uomini e dai continui lanci dalle colline, un grosso gruppo di Ka-ranta a furia di spallate si gettò nel corridoio lasciato libero e prese a scalare le collinette presidiate dalle Yaonai. Volevano distruggere quelle maledette api che li pungevano così micidiali da lontano. Volevano schiacciarle come insetti e lo fecero con tutta la violenza di cui erano capaci.
Presero a lanciare palle di ghiaccio contro le fromboliere che li sovrastavano, colpendone molte, mutilando, ferendo, smembrando corpi, nonostante le compagne con gli scudi si prodigassero a difenderle come potevano. Ogni blocco pesava quanto una di loro e toccando terra esplodeva in centinaia di pezzi più piccoli. Taglienti e micidiali come rasoi, fendevano, sventravano corpi, gambe e braccia. Le Yaonai si difendevano come potevano gettando incessantemente le ghiande contro i Giganti che si avvicinavano veloci. Molti erano quelli che cadevano, ma per uno che veniva fermato, altri due si avvicinavano correndo alle alture. Pareva avessero compreso che finalmente c'era un punto debole nell'attacco del Regno e vi si gettavano contro a corpo molle.
Anche le Schegge se ne accorsero, reagirono come poterono, ma erano impegnati nel corpo a corpo. Quei pochi che riuscirono a liberarsi si diressero di corsa verso i Ka-ranta che continuavano ad arrivare. In qualche modo, menando tremendi fendenti di taglio e di rovescio con le asce tenute a due mani, riuscirono a tagliare la loro corsa, rallentandoli. Però erano pochi, troppo pochi per fermarli tutti. Altri si aggiunsero man mano che poterono liberarsi degli avversari, dimenticando tutto fuorché le loro adorate Yaonai in pericolo mortale.
Quei pochi fecero tutto quello che poterono. Molti caddero per non rialzarsi più, mentre dall'alto delle colline le donne seguitavano a gettare ghiande contro gli aggressori, ma anche molte di loro caddero. Larghi vuoti si vennero a formare nelle loro fila e rivoli di sangue vermiglio scesero lungo il pendio, mischiandosi al ghiaccio delle membra non ancora fuse sparpagliate qua e là.
A un certo punto anche le Yaonai a protezione gettarono gli inutili scudi e si misero a far roteare le trecce micidiali. Molti erano i Giganti fermati sulla china, molti ancora erano in corsa verso di loro. Era la prima volta che le donne vedevano così da vicino le fauci e gli occhi piccoli e tondi dei Ka-ranta. Era la prima volta che ne sentivano così da presso le urla tremende e furono prese dal panico.
Alcune già voltavano le spalle per scappare lontano, scendendo dall'altro lato delle colline per tentare di trovare rifugio verso il fiume, quando una di loro vide le Schegge tagliare la strada agli aggressori. Era la Grande Madre, si agitava, urlava, le spronava a fermarsi, le chiamava a raccolta, perché ora erano i loro amici alberi che dovevano essere aiutati. Le donne si fermarono: nonostante il terrore si resero conto che le Schegge erano troppo poche, presto sarebbero state sopraffatte nonostante il valore. Se fuggivano le loro amate Schegge sarebbero state distrutte e questo diede agli animi terrorizzati di quelle donne nuovo vigore e coraggio.
Con la forza della disperazione, nonostante lo sgomento che provavano di fronte a quegli esseri immensi e tremendi, restarono al loro posto e continuarono a lanciare proiettili. Con mani tremanti e zuppe del sangue delle compagne cadute, lanciarono e lanciarono ancora. Nemmeno prendevano più la mira, lanciavano e basta.
I Ka-ranta erano ormai convinti di averle messe in fuga e rimasero sconcertati quando si trovarono sotto un nutrito getto di ghiande che non si aspettavano più. Questo li bloccò un poco nella salita e fu la loro rovina. Vedendo le Yaonai in pericolo e le Schegge che rischiavano da un momento all'altro di venire sopraffatte dai Ka-ranta, gli uomini non più attaccati sciolsero i quadrati e si lanciarono alle spalle dei Giganti di Ghiaccio.
Sfoderarono le asce e presero ad attaccarli alle gambe in tre, quattro assieme, spezzandogliele con colpi furiosi e facendoli crollare a terra di schianto. Le asce scintillavano sinistre prima di abbattersi sulle parti più deboli e vulnerabili, con tenacia e furore ne abbatterono a decine prima che i Ka-ranta si rendessero conto di essere stati attaccati alle spalle. Per quelli che crollavano non c'era scampo possibile, per quelli che si accorgevano della trappola in cui si erano messi, nemmeno.
Attaccati da tre parti contemporaneamente si difendevano come potevano, lanciandosi con furore cieco verso i primi nemici che incontravano, ma ormai era tardi. Chiusi alle spalle dagli uomini e davanti dalla tenace difesa delle poche Schegge sopraggiunte; martellati dall'alto dalle Yaonai e vinti dal terrore, iniziarono a correre confusi, alla ricerca di una via di scampo che non esisteva, intralciandosi uno con l'altro aumentando ancora di più la confusione e il panico che si era impossessato di loro.
Vedendo che oltre la linea delle Yaonai la strada era libera, quelli a mezza costa si lanciarono in una corsa disperata per raggiungere il fiume e divennero così un facile bersaglio per le donne che li sovrastavano. Le trecce vorticavano, sibilando i proiettili volavano alla ricerca del bersaglio e lo raggiungevano con sicurezza micidiale.
In pochi minuti tutto ebbe termine, su quel tratto del campo di battaglia non rimase che il silenzio dei vincitori, troppo esausti anche per gioire.
Al termine del giorno, al di là del fiume non vi fu angolo che non fosse zuppo di sangue e lamenti.
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