21) GLI UOMINI
Nell'accampamento la vita riprese il corso normale e gli uomini parvero essere scomparsi.
Nessuno li vide il giorno dopo e nemmeno quello dopo ancora. La Luna ne fu stupita, ma il più colpito dalla loro sparizione parve essere il Sole, al quale il sorriso sparì.
Passarono giorni e settimane, un mese o più passò, nell'accampamento fervevano importanti preparativi. La salute del Sole andava peggiorando di giorno in giorno e nessuno sapeva cosa fare. Ormai passava più tempo nel giaciglio che alzato, le forze gli mancavano, le giornate erano brevi e le notti lunghe. Anche il suo calore scemava con lui, il freddo via via più pungente. I Signori erano all'erta: si aspettavano una ripresa delle ostilità da un giorno all'altro.
Da quando gli avamposti avevano segnalato che sulle cime delle montagne più alte erano stati avvistati degli esploratori Ka-ranta, tutti si attendevano il peggio. I ghiacciai riprendevano a muoversi verso valle e questo voleva dire una cosa sola: Guerra!
I confini del Regno vennero rinforzati e nuove difese vennero erette contro i Venti del Nord, ma sopratutto si provò a rincuorare il Sole con una festa in suo onore. I Signori e la Luna le vollero dare un nome e la chiamarono la Festa della Speranza. Autunno era il suo nome, nell'antica lingua.
Fu una grande festa, con gioia e allegria, ma anche con un gran peso sul cuore di tutti. Ormai era chiaro che le cose non andavano bene e la felicità dell'Estate si allontanava con l'aumentare del freddo. Nonostante la gratitudine che il Sole mostrò a tutti quanti, il suo calore diminuì ancora.
Passò altro tempo ancora, giorni e settimane. Il freddo aumentò ancora.
Le foglie delle Schegge ingiallirono e caddero poco alla volta. I giganti del Legno si intorpidirono mentre le Zolle si indurirono, faticando ogni giorno di più a riprendersi. Ardente e Bipenne, non sapevano come fare per dare una mano, se non a difendere le terre da poco riconquistate. I loro giganti non erano toccati dal freddo, ma erano troppo pochi per sostenere un assalto. Ormai era solo più questione del quando sarebbe successo.
Poi, quello che ormai tutti davano per certo e attendevano con timore, accadde un giorno, all'improvviso.
Karahì e Soffiace inviarono contro il Regno un'arma nuova, sconosciuta, mai usata prima. Sospinte dai venti, nel cielo comparvero delle nuvole spesse e minacciose che coprirono tutti i territori e da esse, lenti e inesorabili, presero a scendere dei piccoli fiocchi ideati dalla malvagia Gioturna. Poco alla volta ricoprirono tutto di un sottile strato di bianco gelido. Valosche era il loro nome, Neve l' esercito che ricoprì il terreno e ogni cosa su cui si posavano. Quando lo strato di Neve fu abbastanza spesso, i Ka-ranta del Nord vennero inviati contro il Regno. Le difese ai confini non ressero e l'Inverno di Karahì dilagò ancora, trasformando tutto in ghiaccio e gelo. La gente del Regno era disperata. Resistette finché poté, ma quando temette che fosse giunto il momento di tornare verso Sud prima di morire congelati, successe qualcosa che li salvò tutti quanti.
Il Sole era troppo debole per alzarsi in volo, inutilmente la Luna e gli altri provavano a rincuorarlo. Pareva aver perso la voglia di vivere. Niente sembrava scuoterlo dal torpore in cui era caduto. Tutti sapevano che senza di lui non restava che andarsene.
Un mattino, però, mentre i Signori decidevano cosa fare, dall'accampamento videro ricomparire gli uomini. Arrivarono lenti, silenziosi, camminando miseramente nella neve. Erano pochi, magri, infreddoliti, parevano sul punto di crollare da un momento all'altro, tanto erano miserabili le loro condizioni. Era ancora quasi buio nonostante fosse giorno fatto. Il Sole quel mattino non se l'era sentita di scendere dal letto per compiere, anche se breve, il suo giro quotidiano. Dalle spesse nuvole scendevano continuamente Valosche che andavano ad aggiungersi a quelle già ammassate su qualunque cosa toccassero; da un momento all'altro l'accampamento si attendeva l'attacco dei Ka-ranta. Nei giorni precedenti si erano fatti via via più minacciosi, sicuri di non trovare che scarsa resistenza. La situazione precipitava e presto si sarebbe trasformata in un disastro. Nulla pareva poter aiutare gli assediati. Eppure, la vista di quegli esserini più disperati di loro, rincuorò i Signori. Persino i truci Ardente e Bipenne furono lieti di rivederli. Tutti e cinque andarono incontro a quella massa cenciosa, sollevando alti sbuffi di neve a ogni passo. Quando furono nei pressi degli uomini e delle donne, i cuori gli si strinsero per la pietà. Visti da vicino erano ancora più deboli e miserabili di quello che pareva da lontano. I vestiti di foglie erano laceri e troppo leggeri per proteggerli dal gelo e le scorte di cibo erano terminate da tempo, ormai. Con sollievo la Luna vide che tra loro c'era anche la donna con la quale aveva parlato e alcune sue compagne erano con lei. Al pari degli altri erano in condizioni disperate, con la neve che bloccava le gambe fino alla vita. Battevano i denti stringendosi nelle braccia nel disperato tentativo di ricuperare un minimo di calore. I Signori chiamarono i Giganti che venissero a prenderli e li portassero all'accampamento, lontani dal freddo e dal gelo.
Una volta lì giunti, tutti cercarono di fare quello che era in loro potere per aiutare quegli esserini.
Tartara chiese alle Zolle ancora attive di ammucchiare sassi, rocce e terra per costruire dei ripari asciutti dove ricoverarli. Querculo mandò le poche Schegge intorpidite che ancora erano in piedi alla ricerca di qualcosa per sfamarli e si raccomandò, nello sconcerto generale, di raccogliere più rami secchi che potevano dai loro compagni caduti nelle foreste. Nessuno comprese le sue intenzioni, però le cose da fare erano tante e il Tempo a disposizione poco.
La Luna li rincuorò con parole di speranza e, aiutata da Tartara, risanò come sapeva le ferite. Querculo spazzò come poté la neve.
Insomma, nell'accampamento tutti erano così indaffarati a prendersi cura degli uomini, che non pensarono più ai loro affanni.
Anche Ardente e Bipenne volevano rendersi utili, solo che non sapevano come utilizzare gli elementi che dominavano. Il Fuoco, troppo caldo, li avrebbe bruciati e il Ferro, troppo aspro, li avrebbe feriti.
Quando le Schegge arrivarono con il cibo e con la legna, Querculo si avvicinò ad Ardente e confabularono insieme, a lungo, al riparo da orecchie indiscrete. Quando parve che avessero trovato un accordo soddisfacente per entrambi, fecero cenno agli altri di seguirli. Si diressero verso i ripari che le Zolle avevano terminato: dentro uomini e donne, nonostante fossero infreddoliti e tremanti, si inchinarono. Querculo fece cenno ai suoi di posare la legna raccolta, ne raccolse alcuni rami e poi, insieme ad Ardente, andò verso i ripari. Vi pose dentro pochi pezzi di legna spezzati, lasciando che al resto pensasse Ardente. Tutti videro il Signore del Fuoco avvicinarsi e con un dito toccare appena i ciocchi nel focolare. Al solo contatto questi si animarono, iniziando a bruciare lenti e spandendo attorno un piacevole calore. Tutti ne rimasero meravigliati, perché la luce che si levava da quei fuochi assomigliava a quella del Sole e tutti la giudicarono una cosa buona. Anche Bipenne approvò, sebbene, unico tra tutti, non sapeva ancora cosa donare agli uomini.
Gli uomini e le donne parvero gradire molto il calore e la luce dei focolari.
Nel frattempo il Sole si trascinò fuori del suo riparo. Era stanco e debolissimo, eppure, appena comparve, una piacevole luce ricoprì il Regno intero. L'aria divenne meno pungente e tutti seppero che si era svegliato. Anche gli uomini lo videro, lo paragonarono ai loro fuochi e si inginocchiarono davanti a lui e al suo potere. Riconoscendo i piccoli esseri che già una volta gli avevano portato gioia, sorrise. Chiamò la Luna e le disse di preparare il carro.
Sarebbero usciti in volo, disse.
Fu un viaggio breve, rapido, al ritorno il Sole era stravolto dalla sofferenza, stanchissimo, però al passaggio dei Soluni le Nuvole si aprirono e le Valosche smisero di cadere.
Il Sole si ritirò presto quel giorno e il campo ripiombò nel buio. A malapena si scorgevano i falò che ardevano dentro i ripari degli uomini. Piccoli punti luminosi ai margini del campo.
Ai Giganti rimasti di guardia piaceva guardarli, perchè gli ricordava la luce del Sole.
Eppure insieme alla gioia, quelle scintille nella notte portavano anche tristezza, perché erano i loro caduti che ardevano in quei focolari.
Ormai poco importava se i Guardiani tristi fossero Schegge, Zolle o Giganti degli altri Regni, perché ormai appartenevano tutti a un unico Regno e si rispettavano a vicenda, ognuno nella propria diversità. Un morto pesava su tutti, indistintamente.
Un altro giorno era passato e nessuno aveva più parlato di andarsene.
Il mattino dopo, di buonora, i Signori e la Luna si alzarono e andarono a vedere gli uomini. Pensavano di trovarli ancora nei loro ripari, al caldo, invece videro che si erano raccolti all'esterno e avevano accatastato in un unico enorme mucchio la legna raccolta il giorno prima dai Giganti di Querculo. Appena videro i Signori, andarono verso il Signore del Legno. Uno di loro si avvicinò più degli altri e gli disse che volevano aiutare il Sole per quello che doveva fare.
"È malato, poverino" disse quell'essere che faceva pena a vedersi, tremante e debole com'era, "ha bisogno del nostro aiuto, altrimenti non guarirà".
Profondamente toccato da quelle parole, Querculo gli domandò come avrebbero pensato di aiutare il più grande degli Immortali, se loro stessi non erano riusciti a farlo nonostante i poteri di cui disponevano.
Ma per nulla intimorito l'uomo gli rispose:
"Non temere, possiamo perché crediamo di potere. Dacci solo il permesso di usare i tuoi morti".
Querculo capì subito che l'uomo alludeva ai cadaveri delle sue Schegge sparse un po' ovunque nella foresta e benché tormentato nell'animo da quella richiesta, diede loro il permesso di usarli come preferivano. Saperli nuovamente utili a qualcuno, per quanto gli costasse dolore ammetterlo, per lui era preferibile piuttosto che saperli vittime del Tempo e del degrado. Pose un'unica condizione: che li onorassero come eroi prima di farlo. Poi gli diede la benedizione e nel suo cuore fu grato a quei piccoli esseri per averglielo chiesto.
In fondo, vedere i suoi più fidati Giganti stesi a terra a decomporsi lentamente, lasciati marcire nel fango, corrosi dal Tempo e dai vermi come erba qualunque, lo feriva profondamente ogni volta che li scorgeva e sopratutto gli faceva sentire in modo tangibile l'inutilità di tutti gli sforzi che avevano compiuto .
Ringraziandolo l'uomo si allontanò, ritornando verso i suoi. Dai ripari vennero delle donne con tizzoni accesi e si riunirono agli altri. Si raccolsero tutti attorno alla catasta tenendosi per mano. Quando furono pronti si inginocchiarono nella neve, poi le donne andarono con i tizzoni verso il mucchio di legna e vi appiccarono il fuoco.
Le fiamme divennero presto alte e si videro da tutto il campo. La luce, il calore che emanarono, attraversarono tutto l'accampamento, raggiunsero la tenda del Sole e ne colpirono la curiosità. Lui che donava luce al giorno, vedeva luce nella notte quando lui era steso, così come ne percepiva il calore, nonostante non fosse lui a donarlo come sempre aveva fatto.
Domandandosi chi potesse avere un potere tanto simile al suo, andò a vedere e quando lo vide si mise a ridere di cuore.
Scorgere i più piccoli e bisognosi esseri che avesse mai visto gareggiare in grandezza con lui, gli fece risvegliare l'amor proprio. Chiamò la Luna, le disse di preparare il carro, anche oggi si sarebbe alzato in volo. Prima di partire, però, volle andare verso la luce del grande falò. La vista di quei piccoli occhi adoranti, gli fece meglio di tutte le parole e le cure degli altri Signori. Le forze tornarono poco alla volta. L' affetto di quegli uomini aveva sanato la sua ferita. Allora disse in modo che tutti udissero:
"Grazie, piccoli esseri. Mi avete aiutato nel giorno in cui ero più debole, così io stringo un patto con voi. Che tutti siano testimoni che da oggi e negli anni che verranno infiniti, tra voi e me ci sarà onore e rispetto, nel momento in cui ne avremo più bisogno".
Detto questo salì sul carro e volò via. Da quel mattino si levò ogni giorno un po' prima dal letto e un po' più forte del giorno precedente. La sua luce si fece luminosa e calda. La speranza ritornò e le nuvole cariche di Valosche tornarono sconfitte al Nord. Le Zolle presero ad ammorbidirsi e sulle Schegge intorpidite ricomparvero le prime gemme.
Più tardi si venne a sapere che gli uomini avevano udito il canto di un uccello provenire da sopra di uno dei Giganti di guardia. Era una giovane merla, nera come la notte gelida, con il becco giallo come il sole. Era un canto triste, melanconico come il freddo, ma quando la udirono gli uomini rimasero a lungo ad ascoltare il suo canto di speranza. Gli ultimi tre giorni furono i più tremendi di tutto l'inverno. Il freddo fu così intenso che gli uomini temettero di morire congelati. Solo il fuoco li salvò e con loro, salvò il Sole. Decisero che quei giorni sarebbero stati dedicati a quell'uccello che aveva saputo riportare la speranza nel campo.
Li chiamarono i Giorni della Merla, in suo onore.
Da allora molto tempo è passato, molte cose sono cambiate nel frattempo.
Presto gli uomini impararono quanto era facile dimenticare le promesse. Con il passare delle generazioni, in molti dimenticarono il patto che il Sole e i loro avi strinsero e si persero nel nulla, dimenticati dal tempo e da tutti. Con il tempo le genti smemorate si estinsero e divennero polvere, senza lasciare traccia del loro passaggio.
Chi lo fece sparì, ma chi ricordò, chi tenne fede al patto nonostante il passar del tempo, rimase, divenne forte e le sue genti prosperarono.
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