17a) SUPERSTITI

Quando serrò tra le braccia il tronco nodoso del Signore del Legno, la Luna si fermò inorridita. Sulle prime non aveva notato le tremende cicatrici sul suo fianco, ma quando il suo amico mugolò di un sordo dolore alla calorosa stretta, arretrò incredula.

Come poteva Querculo reggersi in piedi con quelle profonde ferite che arrivavano al midollo più interno, ancora luccicanti di linfa fresca? Quale forza ancora lo sosteneva?

Eppure nei suoi occhi rugosi lesse la serenità che sempre l'aveva distinto dagli altri Signori,  la fiducia, che sempre le sapeva trasmettere al primo sguardo. Fu lui a rassicurarla, passandole un braccio attorno alle spalle per portarla da Tartara, anche se la Luna si accorse subito di quanto grande fosse il peso da sorreggere.

Il suo affetto era sincero, di questo non dubitava. Però altrettanto reale era il bisogno del suo antico amico di appoggiarsi a lei per non crollare davanti alle sue giovani guardie del corpo.

Aveva voluto venire di persona a riceverla per dimostrare ai suoi che era ancora il loro Signore e poteva difenderli in caso di attacco, ma la realtà era che Alito, il più debole dei Giganti di Soffiace, avrebbe potuto abbatterlo con un solo colpo. Il suo posto avrebbe dovuto essere in un letto, invece che un campo militare pronto alla guerra.

Eppure la Luna si trattenne dal fare commenti, almeno fino a quando non si fossero trovati ricongiunti alla sua amica, soli, allontanati con un solo gesto gli ubbidienti armigeri. Trangugiò l'amara verità e sorrise a tutti.

Allora,  solo quando fu certo di non essere visto da alcuno dei suoi, Querculo si lasciò pesantemente andare a sedere in terra, gemendo di dolore. Assistette inerme all'incontro delle due vecchie amiche senza sapere cosa dire. Respirava a fatica e gemeva nel muoversi, eppure le lasciò fare.

L'affetto che Tartara dimostrò alla Luna la commosse profondamente. Si abbracciarono a lungo e unirono le lacrime le une alle altre, prima di trovare la voglia di parlare, sotto lo sguardo affaticato del Signore del Legno.
Poi, staccandosi, tenendosi per mano, andarono a sedersi accanto a lui, per non destare sospetti sulle sue reali condizioni.

Parlarono, parlarono e parlarono ancora, narrandosi l'accaduto da quando si erano viste l'ultima volta.
Il fiato non sembrava bastare per dire tutto.
Le parole scorrevano fluenti e gioiose anche se così poco lo era il contenuto, che per lunghi momenti parve loro che nulla fosse cambiato, eppure, poco alla volta, la gravità della situazione venne a galla.

Tartara non le diede nemmeno il tempo di raccontare come era andato il suo viaggio, che subito la mise al corrente delle cose successe dal momento della sua partenza.

Venne così a sapere che appena saputa della sua sparizione, Karahì e Soffiace alleatasi con il Tempo, per loro scelta ruppero il giuramento tra i Sei Regni.

Per primi invasero i Regni del Fuoco e del Ferro che, impreparati e divisi come erano, nulla poterono per fermarle.
Lottarono valorosamente, ma vennero sopraffatti uno alla volta, scomparendo sotto i colpi dei Ka-ranta e dei Venti.

Di quei valorosi, i pochi sopravvissuti si ritirarono combattendo fino alle Terre del Sud, trattenendo l'avanzata delle due Regine quanto bastò perché Querculo e Tartara spostassero la loro gente il più lontano possibile dalla furia del Nord.
La loro resistenza fu tenace, disperata,  ma nulla poté per fermarle.

Ci fu una immane battaglia in cui gli eserciti uniti del Regno del Legno, della Terra e ciò che restava dei Regni del Fuoco e del Ferro si scontrarono contro le orde del Regno del Ghiaccio e del Vento.

Durò tre mesi interi.

Furono giorni tremendi, i caduti furono innumerevoli da ambo le parti e la sorte della battaglia più volte incerta, ma alla fine il freddo ebbe la meglio.

Le migliori Schegge caddero.

Con l'avanzare del gelo le foglie raggrinzirono e ingiallirono, uno alla volta caddero i più grandi e potenti tra di loro.
La linfa gelò sotto la dura scorza, crepandola; i rami indeboliti si spezzarono, trascinando altri meno saldi nella loro caduta.

Non andò meglio nemmeno ai Giganti della Terra.

Una alla volta le Zolle migliori si indurirono fino a diventare rigido ghiaccio, finendo per sparire sotto uno spesso strato di neve e desolazione.

Niente pareva in grado di fermare l'avanzata delle Regine del Freddo.

Il Tempo, loro alleato, ne fu lieto. Odiava i Soluni con tutte le sue forze. Aveva patito la prigionia per un'Era intera nel nome dell' Ordine e ora finalmente poteva vendicarsi. Voleva distruggere ogni cosa che portasse il loro nome, voleva scardinare così profondamente l'Ordine che non sarebbe stato possibile rimetterlo insieme.
Così dettò nuove regole. Divise quello che non era mai stato diviso e stabilì che le parti si chiamassero Ieri, Oggi e Domani.
Poi ancora Giorni, Settimane, Mesi e Anni.
Ogni cosa ebbe un nome, ogni cosa fu scandita dalla Fretta e dalla Incertezza, per essere in suo potere.
Aveva pensato a tutto, aveva già stabilito tuttoAveva avuto un'era intera per prepararsi a quel momento e finalmente era giunto.
Niente poteva arrestarlo, ormai.
Nemmeno il Fato, Supremo Giudice.

Tuttavia c'era una cosa che ancora scappava dal suo controllo ed erano i Soluni stessi.
Aveva stabilito che i giorni fossero giorno e notte, ma per poter ottenere l'effetto desiderato doveva avere i Soluni in suo potere: li voleva umiliare, renderli schiavi, prigionieri come lo era stato lui per tanto tempo. Per poter fuggire aveva dovuto attendere che fossero deboli e separati.
Ora, invece, desiderava ardentemente schiacciarli entrambi sotto il suo potere, per sempre.
Da quando fuggì, quello fu il suo unico obiettivo. La vendetta divenne il suo faro.

Quando la Battaglia dei Sei Regni venne vinta dai suoi eserciti, decise di darle un nome.
Inverno, era il suo nome.

Il tempo dei Soluni era finito, ora iniziava il suo.

Mentre il Tempo tramava la sua vendetta, altre forze agivano contro di lui e lottavano con la convinzione della disperazione.

Ciò che rimaneva dei Regni in rotta, si ritirava combattendo. Passo dopo passo cedevano terreno, arretravano lenti, ma il tempo passato a contrastare le due regine non fu vano. Mentre i migliori morivano in loro difesa, i giovani poterono allontanarsi a Sud, sempre più a Sud, giungendo fino a terre sconosciute da tutti, oltre i confini dei Sei Regni.
Non fu facile abbandonare le loro terre, ma girarsi indietro non avrebbe avuto senso.

Tutto ciò che restava alle loro spalle era gelo e desolazione, il Regno di Karahì.
Esploratori vennero inviati più a Sud ancora.
I più arditi di loro andarono oltre alle terre sconosciute, giungendo fino al limite estremo del Vuoto Eterno oltre il quale non poterono andare.
Tornarono spaventati e lo dissero ai superstiti.
Tutti gli abitanti dei Sei Regni avevano sentito parlare del Vuoto Eterno, tutti sapevano della sua esistenza anche se nessuno prima d'allora l'aveva mai raggiunto.
Eppure tutti sapevano cosa significava: se indietro non potevano tornare, nemmeno oltre a esso potevano proseguire.

Sgomenti, i superstiti dei Quattro Regni debellati dovettero fermarsi.
Non c'era altro posto ove andare.
Potevano solamente attendere l'arrivo delle Regine del Nord o gettarsi oltre il bordo del mondo cadendo nel Vuoto Eterno.

Tartara, Querculo, Bipenne e Ardente si riunirono in consiglio e decisero che avrebbero lottato fino alla fine.
Uniti tutti insieme, anche se le loro forze erano ben misere.
Non si fecero illusioni, gli eserciti erano demoralizzati, i più forti erano morti o, come Querculo, feriti in modo così grave da non poter opporre nessuna resistenza, però vollero ugualmente provarci.

Mandarono esploratori, sistemarono le truppe nel modo migliore che poterono e si prepararono ad affrontare la fine.

Sapevano che Karahì e Soffiace non si sarebbero fermate.
Avrebbero continuato a inseguirli fino a raggiungerli per distruggerli tutti.
Non rimaneva che attendere il loro arrivo e finire da eroi, in piedi, combattendo.
Ma le cose andarono diversamente, le Regine del Nord non arrivarono.

Inaspettatamente, un giorno, gli esploratori tornarono al campo urlando che i loro eserciti si erano fermati, non proseguivano oltre, restando dove la Luna li aveva visti alla fine della sua fuga.

Sulle prime nell'accampamento dei disperati ci fu sorpresa e gioia per lo scampato pericolo. I superstiti ricominciarono a sperare di poter ancora trovare un posto per loro, lontano dalle due regine del Nord e dal malefico Tempo, ma la gioia durò poco.
Poco a poco compresero la dura verità e la gioia divenne rassegnazione.
Perché se era vero che il pericolo non si avvicinava oltre, loro non avrebbero potuto allontanarsi da dove si trovavano.
Erano chiusi in una stretta striscia di terra con al Nord un oceano di morte, desolazione e ghiaccio, mentre al Sud il baratro del Vuoto Perenne.

Per il momento erano al sicuro, però dovevano trovare il modo per uscire da quella trappola.

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