12a) IL PORTALE

Adesso avvertiva chiaramente il fiotto d'aria fresca che entrava. Più che fresca, era fredda. Pareva gelida. Forse a causa del sudore, forse per la stanchezza, comunque un brivido di freddo lo convinse a gettarsi la coperta sulle spalle.

Quando si trovò a pochi passi dal portale mise il piede in una piccola chiazza d'acqua.

"Che strano" pensò. Era stata fatta da poco, o almeno così pareva. Abbassandosi per tastarla, vide che ce n'erano altre che proseguivano fino al portale perdendosi all'esterno. Piedi, due, no... quattro. Potevano essere le orme lasciate da lui e da Radice al loro arrivo.

Aveva appena fatto un acquazzone e quando entrarono nel vulcano erano bagnati fradici. Niente di più facile che le scarpe avessero lasciato quelle orme e che la bassa temperatura non le avesse asciugate. Sì, doveva essere andata così.

Eppure, nonostante tutto, il suo istinto gli diceva che qualcosa non andava.

Arrivato sulla soglia sbirciò all'esterno e rimase immobile nell'ombra ad ascoltare.

Da dove si trovava poteva vedere un'ampia sezione della radura, arrivando fino alla barriera scura della foresta che circondava il vulcano. Tutto era calmo e silenzioso. La fredda luce lunare ricopriva ogni cosa con ombre scure laddove le rocce sporgevano o si ritraevano. Il freddo pungente della notte e un leggero prurito ai piedi gli fecero provare un brivido.

Si chiuse meglio la coperta al collo e rimase a guardare ancora un po'. Se già con il sole quella landa pareva desolata e sterile, durante la notte la sensazione era ancora peggiore. Tutto pareva irreale e morto, un luogo scheletrificato al quale fosse stata risucchiata la vita. Un po' l'intimoriva, eppure sentiva il bisogno di fare qualche passo all'esterno.

Qualcosa lo chiamava, lo invitava a uscire nonostante il prurito ai piedi gli dicesse di restare al coperto. Forse era meglio svegliare Radice che non sapeva nulla di quella sua sortita improvvisa.

La prudenza gli avrebbe consigliato di tornare indietro, ma la spinta a uscire era molto forte. Immediatamente si rese conto che non tutti i pensieri che gli confondevano la mente erano suoi. Il suo istinto gli consigliava di tornare indietro, il prurito ai piedi anche, però sapeva che anche altre anime risiedevano nella sua mente. Doveva esserci lo zampino dell' Aldaberon che voleva fermarlo: l'Infame, ecco sì, l'avrebbe chiamato così. Pensò che fosse arrivato il momento di metterlo alla prova. Anche se aveva paura a sfidarlo, doveva farlo se voleva portarlo allo scoperto.

Se voleva riuscire a controllare in qualche modo l'Infame e le sue interferenze, doveva conoscerne meglio il corso dei pensieri, per poi separarli dai suoi e agire in conseguenza. Doveva individuare i segnali che arrivavano dalla sua anima e quali dall'altra, per poter avere autonomia nei momenti di pericolo come quelli.

Ora, era quasi  certo che il prurito ai piedi fosse cosa sua e gli appartenesse.

Sebbene non potesse dire cosa gli desse quella certezza, decise di accettare quel segnale come suo e non del suo antenato.

Quindi  questo significava che il suo istinto era in allerta per qualche pericolo che non vedeva.

Però, come esserne certi? Se fosse un tranello dell'Infame?

Ci pensò un poco poi giunse alla conclusione che no, non poteva essere così. Quando provò l'impulso di andare verso la Guardiana, oppure quando fu attratto dal burrone all'interno del vulcano, non avvertì nessun prurito ai piedi, quindi quel segnale proveniva da lui. Per di più, vista la sua intenzione di distruggerlo, non avrebbe avuto nessun vantaggio ad avvertirlo di un pericolo imminente.

<No, non deve arrivare da lui> pensò.

Restavano soltanto l'Antico e lui.

Per quanto aveva potuto capire, l'Antico aveva bisogno di lui e del suo corpo per poter appagare il suo Rammarico. Se avesse fallito avrebbe atteso chissà quanto prima che il fato gli concedesse un'altra opportunità, quindi non poteva essere lui. Desiderava troppo la pace per la sua anima, per ingannarlo. Se quel segnale proveniva dal suo avo, difficilmente sarebbe stato un tranello, quanto piuttosto un avviso verso qualcosa che lo minacciava fisicamente. Forse un pericolo mortale.

Ma allora, perché inviarglielo prima dell'incontro con la Grande Madre, visto che non c'era pericolo? Lui sapeva cosa voleva la Grande Madre e giudicarlo pericoloso gli pareva eccessivo. Sorrise al piacevole ricordo e arrivò alla conclusione che il prurito doveva essere cosa sua, autonoma, sincera e veritiera. Se così era, là fuori lo attendeva un pericolo che poteva essere mortale.

Tuttavia, ancora una volta, come esserne certi?

Non restava che provare, uscire allo scoperto per quanto potesse anche essere pericoloso.

Solo così avrebbe potuto verificare il corso dei suoi pensieri. Solo così avrebbe potuto avere la certezza di poter sempre contare su di un segnale esclusivamente suo e di nessun altro. Per prudenza rimase ancora nell'ombra alcuni minuti totalmente immobile, poi, vedendo che tutto si manteneva assolutamente calmo e silenzioso, si decise a muovere alcuni timidi passi.

Come un furetto sporge la testa dalla tana e rapidamente controlla da una parte e dall'altra di essa, così dall'ombra del portale sbucò la testa di Wal.

Poco alla volta, accertatosi che nulla lo minacciava, prese coraggio e uscì facendo alcuni passi sul pietrisco. Lo scricchiolio sotto i piedi gli fece venire i brividi. Aveva l'impressione che nel silenzio assoluto della notte, anche un rumore lieve come quello potesse essere avvertito da molto lontano. Si fermò per ascoltare: niente, tutto taceva.

Il prurito ai piedi non lo lasciava, eppure non pareva esserci nulla di strano in tutta la radura. Ora che si trovava all'esterno vedeva chiaramente tutt'attorno fino alla foresta oscura. Non c'era anima viva fin dove scorgeva la sua vista. La luna proprio in fronte a lui proiettava ombre inquietanti sulle rocce, ma nulla si muoveva.

Rassicurato mosse ancora alcuni passi sul pietrisco, arrivando fino a dove terminava e li si fermò. Non aveva voglia di camminare sulle rocce, gli era bastato farlo quel pomeriggio. Inoltre il freddo si faceva pungente. Anche se avevano festeggiato l'arrivo della primavera, la brutta stagione non era ancora totalmente lontana. Un po' tranquillizzatosi, guardò il cielo stellato e respirò a fondo l'aria frizzante della notte: ne sentiva il bisogno dopo aver passato ore in quella stantia e pesante della stanza sotterranea.

Avrebbe ancora potuto nevicare, pensò, guardando certe nuvole allungate che poco alla volta avvolgevano la luna in un alone lattiginoso, riflettendone la luce in vari colori tutt'attorno. Sembravano dita che si allungavano a ghermirla.

"Cand la luna a la 'l reu, o vent o breu" si ritrovò a mormorare tra sé e sé, nella antica lingua Sednor usata da Ranuncolo. Non ricordava dove l'avesse appresa, eppure non si stupì d'averla saputa pronunciare. Se non veniva da lui, sicuramente veniva da uno dei suoi ospiti. A lui faceva piacere pensare che fosse stato l'Antico a fargli recitare quella frase ritmata. In fondo anche quello poteva essere un modo per poter essere in contatto tra di loro, convenne.

Una violenta folata di vento lo convinse che era meglio tornare all'interno.

Aveva fallito; non era successo nulla. Il prurito, la forte spinta a uscire, niente. Era tutto frutto della sua immaginazione. Un poco deluso si voltò per tornare sui suoi passi. Aveva freddo e non aveva più voglia di restare all'aperto. Facendo attenzione a non inciampare non subito notò l'effetto della luce lunare sul portale, ma quando alzò lo sguardo e lo vide, rimase a bocca aperta.

Quelli che nella luce pomeridiana parvero segni nella roccia consumati dal tempo, ora si riempivano della fredda luce lunare, risaltando sul portale come fossero colmi di argenteo liquido scintillante. Splendevano formando sagome precise, ordinate, distribuite sul bordo superiore del portale per tutta la sua ampiezza. Fu incuriosito da quelle forme sconosciute, ma quello che lo riempì di stupore fu il saperli comprendere. Come prima nel sogno aveva saputo scoprire il suo antico nome traducendo le linee infuocate sull'acqua, così ora capiva quelle che vedeva incise sul portale. Radice gli aveva detto che era la lingua degli Padri Antichi e che nessuno del suo popolo era più in grado di decifrarli, eppure lui lo sapeva fare. Sapeva leggerli come avrebbe saputo distinguere una foglia di un albero dall'altro. Percorse da sinistra a destra le lettere scolpite nella roccia, decifrandole una alla volta.

Prima una P, poi una O seguita da una doppia S e poi via via tutte le altre lettere fino al termine della parola e poi di tutta la frase:

"POSSONO PERCHE' CREDONO DI POTERE"


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