11a) LA GROTTA

Ormai Wal era abituato alla sua ritrosia ai lunghi discorsi, quindi lo seguì in silenzio anche se avrebbe avuto molte cose da domandargli. Discesero il vulcano seguendo il sentiero che si svolgeva attorno alle sue pendici mantenendo un passo tranquillo. Poco alla volta il suo corpo perse rigidità e i muscoli si sciolsero, però si sentì debole. Le gambe faticavano a sorreggerlo e aveva fame, molta fame. Sentiva dei fastidiosissimi crampi allo stomaco e avrebbe mangiato qualunque cosa per placarli. Dalla mattina non ingeriva nulla se non quell'intruglio che gli aveva dato Radice. Era poco, certo, eppure non si spiegava come potesse avere così tanta fame. Quando giunsero al piano si aspettò di vedere Radice prendere la medesima direzione dell'andata, invece gli fece cenno di seguirlo, girando attorno alla base del vulcano. Non fecero un lungo tragitto. Dopo non molto arrivarono nei pressi di una grotta che si inoltrava all'interno del vulcano stesso. L'ingresso era piuttosto ampio, rivolto a Est e ci si poteva entrare camminando in due. Guardando verso la cima del vulcano Wal riconobbe il muro a secco che sosteneva la Lastra del Sole, proprio sopra di loro. Man mano che si avvicinarono all'antro, passarono dal fondo roccioso a uno livellato con fine pietrisco della zona. Le rocce che formavano l'ingresso erano policrome come il paesaggio, però erano state lavorate e lisciate fino a darle una forma simmetrica simile a un portale ad arco. Sul bordo superiore del portale, alcune incisioni si vedevano impresse nonostante fossero molto abrase dal tempo. Erano segni, linee, curve e punti, messi in un ordine che Wal non capì, anche se gli ricordavano qualcosa. Quando chiese a Radice cosa fossero quelle incisioni, questi non seppe rispondere.                 Scosse la testa.

"È la lingua degli Antichi Padri. Nessuno del mio popolo la sa leggere" gli disse senza fermarsi.

Prima di entrare nella grotta, Radice si guardò attorno per vedere che non ci fosse nessuno. Era guardingo e sospettoso. Quando l'ebbe fatto avanzarono verso l'interno. Passando sotto il portale, Wal percepì subito una corrente d'aria che dall'esterno scivolava verso l'interno e vide che il pavimento era piano e liscio, al contrario delle pareti che avevano l'aspetto originario. Ancora si vedevano i segni lasciati dagli arnesi di metallo sulla pietra; era un lavoro antico, fatto da mani che avevano spianato un colpo alla volta le asperità della roccia. Il sole che tramontava sull'altro versante del vulcano dava poca luce fioca e a malapena rischiarava la galleria per pochi passi dopo l'ingresso. Il cunicolo doveva essere profondo. Si inoltrava nell'oscurità, era caldo e l'odore che lo saturava era sgradevole, sapeva di zolfo e uova marce. Preferì non farci caso e godersi il gradevole calore che li circondò una volta entrati. I vestiti erano fradici di pioggia, i capelli rimanevano attaccati alla pelle e lui si sentiva sempre più debole. Scendendo lungo il vulcano più volte aveva avvertito dei brividi di freddo e la cosa lo preoccupava. La lunga malattia e la sbronza del giorno prima avevano minato il suo fisico in profondità e ora si sentiva senza forze. Il ritorno al villaggio sarebbe stato lungo e faticoso. Non se la sarebbe sentita di camminare per ore intere in quelle condizioni. Forse sarebbe stato meglio fermarsi lì per la notte. Man mano che si inoltrarono in profondità all'interno del vulcano la luce dell'esterno diminuì, lasciandoli prima nella penombra e poi in un buio sempre più fitto, eppure Radice non parve preoccuparsene. Avanzava spedito come se niente fosse, invitandolo a non restare indietro quando lo vedeva rallentare. Chiaramente non era la prima volta che percorreva quel cammino e Wal decise di fidarsi di lui. Quando ormai fu pronto a restare nella oscurità totale, dovette ricredersi. Con sua estrema sorpresa, vide che dalle pareti usciva una debole luce pulsante, un chiarore diffuso che si spandeva dalle rocce illuminando l'ambiente. I suoi occhi ci misero un po' ad abituarsi, però, quando si furono adattati, vide che alle pareti e sul soffitto della galleria vi erano attaccati dei vegetali simili al muschio che aveva raccolto quella mattina nel bosco e, come quelli, avevano dei ramettini con in cima dei piccoli globuli azzurri trasparenti. Era da quelli che arrivava la luce. Pulsavano lentamente, emettendo il chiarore prima di spegnersi, per poi iniziare ancora, circondando ogni cosa di un bel colore azzurro. Indovinando il suo stupore, Radice si voltò e disse:

"Belli, vero? Sono anche buoni da mangiare, all'occorrenza".

Quando sentì pronunciare la parola mangiare, si ricordò della fame che gli faceva brontolare lo stomaco e lo svuotava di energie. La stanchezza e la sorpresa di trovarsi all'interno del vulcano l'avevano allontanata per un poco, ma ora ritornava prepotente. Erano entrati non più di una cinquantina di passi all'interno del cono vulcanico e dietro di sé vedeva ancora il foro luminoso del portale contro la luce calante del sole. Avevano proceduto in linea retta, pensò. Comunque la cosa non gli parve importante come il trovare rapidamente del cibo. Il freddo che gli era entrato nelle ossa stava passando e il pensiero del cibo lo opprimeva a tal punto da rischiare d'essere insolente. Stava per dirlo a Radice, quando lo vide svoltare a destra, scomparendo dalla sua vista. Un passaggio parzialmente nascosto da una roccia prominente conduceva in un locale scavato nella roccia. Nel momento che svoltò a sua volta, entrò in un ramo laterale della galleria che era stato trasformato in una stanza accogliente. Anch'esso era illuminato dalla luce pulsante dei muschi. Non vedeva altre uscite che quella da cui era entrato, a eccezione di un foro nel soffitto per la circolazione dell'aria. Anche questo locale era stato scavato a mano. Di forma rotondeggiante, assomigliava in tutto e per tutto a una camera degli alberi casa, sia come dimensioni che come arredamento. Da una parte vi erano tre letti con delle coperte pulite sopra, vestiti e scarpe Ratnor puliti e asciutti appoggiati su due di essi. Dall'altra un tavolo in legno piazzato davanti ad alcune rientranze della pietra scalpellinate in modo tale da essere confortevoli. Oltre a questo si vedevano poche altre cose, sopratutto un piccolo baule sistemato in una nicchia scavata nella parete accanto alla porta d'ingresso. Ma cosa che riempì di gioia i suoi occhi e il suo stomaco, sul tavolo c'era del cibo cotto che li attendeva. In una corteccia vassoio c'era della carne arrostita già tagliata in grossi pezzi che spandeva attorno un profumo invitante. In un altro c'erano fumanti verdure cotte e in un terzo un composto giallastro che non pareva così appetitoso come il resto, ma che di certo Wal si riprometteva di assaggiare. Per ultimare il tutto, da una parte erano sistemati due grossi boccali di birra colmi di schiuma. Era troppo perché il suo stomaco non reclamasse immediatamente di essere soddisfatto.

"Togliamoci di dosso questi vestiti bagnati, poi mangeremo" gli disse un sorridente Radice che doveva avergli letto nel pensiero. Vista la rapidità con cui si spogliò, anche lui doveva essere affamato e subito Wal lo imitò. Si tolse a fatica la tunica appiccicata alla pelle, gettandola in terra come i pantaloni. A fare ordine avrebbero pensato poi. Si rivestirono veloci e nell'infilarsi la tunica asciutta, Wal si passò la mano sul volto: si stupì di quanto fosse cresciuta la barba in così poche ore. Dopo si avvicinarono al tavolo, iniziando a prendere un grosso pezzo di carne prima ancora di essere seduti. Mangiarono e bevvero in silenzio fino ad essere sazi. Wal, come si era riproposto, assaggiò anche il pasticcio di cereali trovandolo gradevole, benché di sapore troppo delicato per i suoi gusti. La birra nei boccali era quasi ghiacciata e berla fu un piacere per il palato. Leggermente amarognola, accompagnava alla perfezione il sapore unto della carne e rendeva saporite le verdure. Quando sentì di avere soddisfatto abbastanza lo stomaco, si appoggiò alla parete di roccia che fungeva da schienale e la trovò confortevole. Un piccolo rutto concluse alla perfezione un pasto che non si aspettava di trovare già pronto. Solo pochi minuti prima era disposto a mangiare anche i muschi della volta,  ora invece, eccolo lì, sazio a stirarsi le membra ancora un poco dure e indolenzite.

Senza pensarci troppo disse: "Non capisco come sia possibile che il mio corpo sia diventato così rigido. In fondo sono rimasto via solo poche ore".

Radice, che non aveva ancora ultimato il suo pasto, senza nemmeno alzare gli occhi dal grosso pezzo di carne che stava spolpando, disse:

"Tre giorni", poi riprese tranquillamente a masticare, lasciandolo ammutolito.

Wal sapeva che il ragazzo non parlava volentieri mentre mangiava, anzi, per la verità non pareva esserci un momento particolare in cui amasse farlo, perciò attese pazientemente che terminasse. La curiosità, però poco alla volta prese il sopravvento. Senza che se ne rendesse conto i suoi pensieri scivolarono su quello che era successo nelle ore precedenti. Ancora non si capacitava di come fosse passato tanto tempo mentre lui era dall'altra parte, però se Radice non mentiva si spiegava la rigidità del corpo, la barba lunga, la sete e la fame. A mente fredda ritornava a quello che aveva visto e sentito e si convinceva sempre di più che non era possibile, che doveva aver sognato. Senz'altro era caduto in uno stato d'incoscienza o forse una ricaduta della lunga malattia che lo aveva tenuto a letto, comunque fosse, sia l'una che l'altra ipotesi gli parevano più sensate. Non riusciva ad accettare l'idea di aver veramente viaggiato da un mondo a un altro abitato da anime di antenati che dicevano di occupare il suo corpo. Tutto gli pareva così assurdo. Non era possibile. Più ci pensava e più lo trovava poco credibile, eppure c'erano le cose che l'Antico gli aveva detto e gli aveva fatto vedere. Cose che lui sapeva di avere vissuto nei mesi e nei giorni precedenti. Cose reali, anche se solo sogni fatti nella degenza. Poi c'era la sua vita precedente, quella di cui ogni tanto uno sprazzo faceva capolino quando meno se lo aspettava. Troppe cose si stavano ammassando attorno alla sua persona. Troppe cose e troppo in fretta. Non potevano veramente aspettarsi che facesse quello che gli avevano chiesto, anche se, in fondo, che cosa gli avevano chiesto? Qualunque cosa fosse, era certamente troppo per le sue forze. Il tepore della camera, il cibo che lo aveva saziato, la stanchezza che prendeva ogni arto, lo portarono a chiudere gli occhi. Lentamente appoggiò la testa alla parete e una piacevole sensazione di vuoto gli riempì la mente. In lontananza gli parve di sentire la voce ovattata di Radice che gli parlava. Gli stava dicendo qualcosa come:

"È tutto vero, Wal. Per questa notte dormiremo qui. Domani torneremo al villaggio. Che l'Altissimo ti accompagni nei tuoi sogni, amico mio. Buona notte".

Biascicando a fior di labbra alcune parole in risposta ricambiò i saluti, poi scivolò in un sonno profondo.


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