10a) RITORNO

Non sapeva cosa significasse, ma certo era rivolta a quegli esseri che passavano veloci.

Subito si rese conto che quella idea arrivava dal suo passato più lontano e dimenticato.

Era poco, ma come era ritornata questa, anche altro poteva riemergere poco alla volta.

Era confortante pensare di avere una speranza.

Guardando attentamente a Nord, parandosi gli occhi vide che alcune figure si sollevavano in alto prima di esplodere in accecanti bagliori, ma altre proseguivano per allontanarsi dirigendosi a Sud, velocissime, lasciando dietro di sé bianche scie che restavano sospese in aria dopo il loro passaggio. Si avvicinavano rapidamente ad Aldaberon e ai Sanzara partiti da Sud. Tanti erano questi, quante erano quelle e in breve si sarebbero scontrati.

A un tocco più deciso dei due guardiani, Wal si riebbe e decise ad allontanarsi.

Dapprima lento, quasi dispiaciuto di non poter vedere altro, poi via via più veloce, memore delle parole dell'Antico che gli raccomandava di non voltarsi mai indietro. Planò veloce come mai prima. Sotto e attorno a sé avvertì le forze rassicuranti dei due guardiani che lo accompagnavano attraverso coltri di nubi scure che non ricordava di avere incontrato all'andata. Erano dense e turbolente.

Attraversandole provò un freddo intenso da togliere il respiro. L'aria pareva essere diventata dura, tagliente come il ghiaccio; in breve sentì volto, collo, mani e corpo ricoprirsi di ghiaccio e con esso percepì il suo essere irrigidirsi in quel gelo. Tremava in ogni fibra della sua anima. Se non fosse stato guidato si sarebbe certamente perso e non avrebbe saputo dove dirigersi. Sapeva soltanto che stava scendendo rapido come un falco in picchiata, ma quelle nubi non finivano mai, si stringevano attorno a lui sempre più compatte e minacciose, tanto da coprire e oscurare il sole che pareva scomparso per sempre.

Quando iniziò a disperare di poterne venire fuori, tra le coltri fumose intravide il verde della foresta e in mezzo a essa un punticino che cresceva rapidamente. Finalmente fuori dalla spessa coltre di nuvole, il ghiaccio si spezzò con scricchiolii sinistri. Cadendo un pezzo alla volta dal suo corpo, lo lasciò libero di muoversi. I gelidi legacci che l'avevano imprigionato si ruppero uno ad uno, lasciando che il sole scaldasse la sua anima, riportandola alla vita. Nella caduta rovinosa dei primi momenti, vide sotto di sé il punto che aveva individuato in mezzo alla foresta avvicinarsi rapidamente.

Temette di schiantarsi, ma capì che era proprio verso quel punto che i due guardiani lo stavano conducendo. Il medesimo punto da cui era partito. Il Vulcano. Le voci di tre uomini.

Il canto dei suoi compagni non l'aveva mai abbandonato del tutto, l'aveva accompagnato e confortato per tutto quel viaggio anche se a un certo punto era diventato ovattato, lontano, un debole mormorio al più. Ora invece lo risentiva forte e chiaro; lo portava sicuro verso un confine invisibile tra quei mondi così vicini eppure così diversi. Ecco!

 Ora distingueva chiaramente la voce chiara e penetrante di Radice. Le altre due poco alla volta erano divenute deboli fino a spegnersi del tutto. Seguendo quella voce come una farfalla una fiamma nella notte, Wal si diresse sicuro al punto in cui i due mondi erano più vicini tra loro. Quando vi arrivò ebbe l'impressione di attraversare uno strato di densa melassa che, tesa sempre più, si assottigliò resistendogli, appiattendosi al suo corpo.

Alla fine cedette, lacerandosi per lasciarlo passare. Nel momento in cui fu dall'altra parte non percepì più la presenza dei due guardiani ed ebbe paura. Si parò a fluttuare a mezz'aria. La sua anima, la parte più vera del suo essere, per la prima volta conobbe la solitudine più totale, quella che nasceva dal non sentirsi nessuno se non sé stesso. Volteggiò leggero come un uccello, senza altre anime a condividerne lo stesso spazio.

Dopo il primo momento di smarrimento provò l'ebbrezza della libertà più totale. Se ne inebriò, respirò a fondo quella totale disponibilità della sua anima, conscio che in quel momento non aveva legami se non con la parte più unica e vera del suo essere. Finalmente, per qualche momento almeno, poteva specchiarsi nel suo volto per quello che effettivamente era: lui, unico e irripetibile, libero di scegliere cosa farne del suo destino, di restare oppure andare via. Quella sensazione di pieno possesso della sua vita gli piacque, lo fece sentire bene a tal punto che avrebbe potuto librarsi per sempre, senza più pensare a nulla che non fosse il piacere assoluto che provò in quegli istanti.

Ma c'era quella voce che lo chiamava, lo attirava a sé. Quel canto sommesso pronunciato con fede assoluta perché lui non perdesse la strada del ritorno chiedeva che la sua anima e il suo corpo potessero ancora divenire una cosa sola. Quel sentimento sincero lo commosse e lo riportò alla realtà con una chiarezza mai provata prima: per quanto liberi, i legami esistono e ci serrano a sé.

Con un sospiro riprese a scendere. Sapeva che facendolo avrebbe perso forse per sempre quelle sensazioni uniche, ma ora, librandosi sicuro, sapeva anche quello che voleva per sé e per coloro che confidavano in lui. Aveva dei doveri da assolvere, delle responsabilità che non voleva che altri dovessero accollarsi al posto suo. Il suo posto era là, accanto ai suoi amici che l'aspettavano, nonostante tutti i pericoli che li circondavano. Doveva avvisarli di cosa cresceva sotto ai loro piedi; doveva tentare di salvarli, ora che aveva visto cosa li minacciava. Poi non solo il loro mondo era in pericolo.

C'era anche il Rammarico di Aldaberon che gli gravava sulle spalle e la memoria perduta, che ora come mai voleva ricuperare per sapere quello che aveva perduto della sua vita precedente. Sentiva che recuperare quella parte della sua vita poteva risolvere quello che ora sembrava senza uscita; solo così poteva aiutare chi aveva bisogno di lui. Con questa nuova, completa consapevolezza si gettò a capofitto verso il vulcano, serrando le braccia al corpo per acquistare velocità, fendendo l'aria che gli faceva largo lasciandolo passare, seguendo quella voce oramai vicina.

All'ultimo momento allargò le braccia, oppose resistenza all'aria e rallentò per quanto poté, ma la velocità che aveva acquisito era troppa. Quando la sua anima rientrò nel corpo inerte, lo fece con una violenza tale da scaraventarlo a terra.

Rotolò più volte su se stesso, avvicinandosi pericolosamente al bordo interno del vulcano.

Se Radice non fosse stato pronto a pararsi davanti a lui, ci sarebbe sicuramente caduto dentro, sfracellandosi sulle rocce. Nell'impatto trascinò a terra anche il ragazzo. Stesi accanto uno all'altro, entrambi faticarono a respirare. Il corpo adesso gli sembrava estraneo, pesante e lento a rispondere ai suoi desideri; più un impaccio che altro dopo aver provato la leggerezza della sola anima. I colori, gli odori, i rumori che percepiva erano fiochi e rozzi simulacri di ciò che aveva visto, annusato e udito dall'altra parte. Le sue dita, la percezione che aveva delle cose che toccava, era grezza, volgare.

Al confronto l'anima era un fine cesello, il corpo una rude ascia che spezzava duro legno. L'aria che entrava nei polmoni costava fatica, era densa, puzzava. Gli ci volle un po' prima di abituarsi ancora a quel odore, come a fatica si abituò all'odore che emanava dal suo corpo e dai vestiti che indossava. Tutto quello che vedeva era limitato e spoglio, a eccezione del dolore che provava in ogni muscolo, in ogni giuntura, ovunque, dalla testa ai piedi. Quando provò a mettersi a sedere, ogni snodo dello scheletro schioccò sinistro, ogni fibra parve dura e assente.

Quando si voltò a guardare Radice si accorse che era ancora in terra, steso al suo fianco. L'impatto l'aveva lasciato senza fiato. Pareva esausto, ansimava. A stento voltava il volto verso di lui e gli sorrideva, ma aveva il fiato grosso e le labbra gonfie dalla sete, screpolate in più punti e sanguinanti. Rosse stille di sangue gli colavano sul mento, formando sottili rivoli che macchiavano collo e vestiti sul petto.

"Ben tornato" gli disse a fatica.


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