1) IL GRANDE GIORNO
Il primo ad arrivare di corsa fu Radice.
Il sole era appena sorto quando Wal venne svegliato da un trambusto proveniente da fuori. Passi impazienti rimbombavano leggeri e veloci sul legno.
Erano giorni che si sentiva meglio. Ormai passava molto tempo fuori del letto e la pazienza faticava a trattenerlo oltre dall'uscire.
Smaniava per lasciare finalmente quella camera. La sentiva ogni giorno più stretta e come un animale in gabbia la percorreva in circolo smaniando l'esterno. Sentiva la primavera nell'aria e il desiderio di uscire diventava sempre più opprimente man mano che le sue condizioni miglioravano . Solo l'affetto che provava nei confronti dei suoi amici lo tratteneva da seguire il suo desiderio.
Quando il suo giovane amico entrò, fu come se fosse arrivato il vento del sud, fresco e carico di promesse dopo il lungo inverno. Subito dopo arrivò anche Flot, anche lui sorridente e ansioso, ansimante per una lunga corsa.
Entrambi si gettarono sul suo letto facendogli mancare per un momento il fiato quando lo seppellirono con i loro corpi; un raggio di sole gli colpì gli occhi:
"È oggi?" domandò solo ai due amici, perché nei loro volti già lesse la risposta. Non aspettava che quello.
A fatica si liberò del loro peso. Sbuffava e soffocava, ma era felice. Iniziarono a gioire insieme per un lungo momento, poi Flot, facendosi serio lo prese per le spalle e gli disse :
"Andiamo Wal, da troppo tempo sei rinchiuso qua dentro. È ora di uscire".
Un brivido gli percorse la schiena e anche Radice divenne serio. Scostando le coperte si mise in piedi e fece per avvicinarsi alla porta, ma i suoi amici non si mossero.
"Allora?" disse "Che aspettate? Andiamo!". Li incitò, eppure non si mossero.
Era allibito, non capiva. Solo poco prima sembravano avere così fretta, invece ora...
Flot e Radice lo fissavano senza dire nulla, attoniti quanto lui. Poi si guardò e si diede dello stupido. Era nudo, con appena uno straccio avvolto attorno ai fianchi.
Solo allora notò che Flot aveva in mano degli abiti puliti. Erano come i loro: un paio di pantaloni attillati di pelle e una corta tunica di tessuto bianco con le maniche lunghe e ampie a coprire le braccia. Li prese al volo quando gliele gettò.
"Non vorrai presentarti alla Grande Madre in questo stato, vero?" gli disse Flot.
Senza perdere tempo si lavò e si vestì. Un rapido colpo per tirarsi indietro i capelli e via, si precipitarono tutti e tre attraverso la porta della stanza e sul ballatoio che la precedeva.
Era agitato e ansioso assieme. Non sapeva che cosa aspettarsi, eppure era pronto a tutto, qualunque cosa pur di riprendere in mano la sua vita.
Di quella precedente non rimaneva molto, eppure per il momento non importava.
<Ogni cosa ha il suo tempo> si disse, ma la speranza crebbe quando uscì e scorse per la prima volta la sua nuova vita.
La luce del giorno era forte, per un momento dovette coprirsi gli occhi per lasciare che si abituassero, poi spostò le mani e vide un mondo tutto verde. Alberi immensi svettavano maestosi a poca distanza. Erano ovunque tutto attorno, una foresta intera, lussureggiante e sgargiante nei suoi colori.
Erano sopra di uno di essi, sospesi ad almeno una decina di metri da terra a guardare in basso. Solo allora si rese conto che la camera in cui aveva passato gli ultimi mesi era scavata all'interno dell'albero, eppure , nonostante fosse ampia e spaziosa, nemmeno si notava tanto era gigantesco.
Di sotto vi erano delle persone, tutte con lunghe chiome gialle arrotolate attorno alla vita: ragazzi e ragazze dai tratti fini e delicati si aggiravano pacati e nessuno sembrava badare a loro. Appoggiandosi alla balaustra si accorse che quello che gli era parso un largo balcone era un camminamento a spirale che scendendo proseguiva fino a terra e salendo si perdeva nelle frasche in alto. A sostenerlo sospeso a mezz'aria ci pensavano i rami dell'albero, che oltre alla sua ospitava altre stanze. Da dove si trovava ne contava altre cinque, ma tutto era in armonia, non c'erano segni, ferite o tagli nelle spesse cortecce. Pareva quasi che fossero gli alberi stessi a crescere in quel modo, piuttosto che essere lavorati da mano umana.
Di sotto, una bassa vegetazione si stendeva tra gli alberi, attraversata da sentieri che si intrecciavano gli uni con gli altri portando in tutte le direzioni. Il sole filtrava attraverso le alte fronde, il vento le faceva stormire e nell'aria si respirava pace e tranquillità. Nessuna di quelle persone andava di fretta: andavano e venivano a passo lento e tranquillo, tutte indossando vestiti simili, sia ragazzi che ragazze, tutte fermandosi a parlare anche per un breve saluto nell'incontrarsi.
Wal era estasiato e affascinato dalla pace che emanava da quel luogo. Non immaginava potesse esistere tanta bellezza in un unico posto, eppure in un remoto angolo del suo cervello avvertì un disagio. Era inesplicabile, inconciliabile con l'armonia e la freschezza di quello che vedeva. Provava quella sottile sensazione pruriginosa che si ha quando si vede qualcosa e si ha l'impressione di averla già vista in precedenza. Non volle dargli retta e con una scrollata di spalle l' accantonò.
"È qui che vivete?" disse ai suoi due amici "È bellissimo !".
Non mentiva.
Era strano però, perché sapeva che tutto ciò che vedeva non gli era del tutto sconosciuto. Percepiva, più che sapere, che quello che stava vedendo smuoveva in lui ricordi nascosti, anche se al momento era troppo felice per volerci pensare:
"È bellissimo... Flot, Radice...". Voleva dire qualcosa che sentiva scoppiargli dentro tanto era felice, ma la voce gli mancò. Restò a bocca aperta, guardandoli entrambi con gratitudine.
"Sono lieto che ti piaccia" gli rispose Flot, con una smorfia " Però andiamo, devi presentarti alla Grande Madre".
Con un cenno accettò e subito i due ragazzi lo precedettero lungo il ballatoio. Girarono più volte attorno all'albero e una volta giunti a terra Flot, seguito da Radice, imboccò uno dei tanti sentieri che si perdevano nella foresta. Incrociarono alberi che si lasciarono alle spalle, salutando tutti coloro che incontravano. Erano cordiali nei modi e nei gesti. Gentili nel muoversi e nel salutare.
Anche lui lo faceva perché ebbe la netta sensazione di non essere un estraneo per quella gente. Forse lui non riconosceva loro, ma loro conoscevano lui.
Ne era certo. Lo vedeva nei gesti, negli sguardi pieni di riguardo, nel voltarsi quando si avvicinava accompagnato da Flot e Radice. Vi leggeva stima, alle volte rispetto o timore, ma mai la gentile indifferenza per uno sconosciuto.
Si inebriò talmente di quella armoniosa bellezza che a un certo momento la testa prese a girargli. Sbandò, temendo di cadere si fermò.
Un leggero turbamento gli invase la mente e lo portò lontano: vide una stanza grande e luminosa. Era in un albero. Era vuota, solo un grande letto stava al centro di essa. Quattro colonne circondavano il letto, una per ogni angolo, tanto grandi che due uomini non sarebbero riusciti ad abbracciarle. Erano curvate, spuntavano eleganti dal pavimento per poi riunirsi in alto, prima del soffitto al quale si raccordavano aprendosi morbide in un bocciolo di fiore in attesa di aprirsi. Attaccato a una delle quattro colonne, sporgendo da essa come un intruso, vi era un piccolo ramo che splendeva come se fosse d'oro. Piccole e trasparenti bacche, colpite dalla luce del sole scintillavano come fossero piene d'oro liquido. Un ramo di vischio. Nel letto vide una donna anziana, pareva ferita e soffrire. La riconobbe subito.
"La Grande Madre!" Esclamò.
Ma era quel piccolo ramo dalle bacche luminose ad attrarlo. Scintillavano animate da volontà propria soltanto per lui.
Rimase a fissarlo fino a che non divenne troppo luminoso, infine tutto divenne nebbia.
Quando l'immagine svanì, si riebbe e riaprì gli occhi. Si ritrovò sul sentiero con i suoi due amici. L'avevano distanziato di pochi passi e non sembravano aver notato nulla.
<Forse ho sognato> pensò.
La malattia che l'aveva bloccato in un letto per lunghi mesi non poteva essere svanita del tutto. Per quanto ora si sentisse meglio, nel fisico ancora portava evidenti segni della debolezza che ne era la conseguenza. Era debole, nient'altro che debole.
<Non è niente> si disse e in pochi salti li raggiunse.
Camminarono ancora a lungo, attraversando quel villaggio che pareva non cambiare mai. Ogni volta che superavano un albero, subito ve ne erano altri. Non faceva caldo, non tirava vento, in quello che vedeva vi era una piacevole sensazione di tranquillità, dove nulla era sbagliato o fuori luogo. Una pace tranquillizzante si impossessò di lui.
Tutto sembrava esattamente al suo posto e anche lui si sentiva così, tranquillo, sereno e a casa, finalmente al suo posto.
Si stupì di averlo pensato, ma vide Flot dirigersi verso un albero mastodontico. Era il più grande tra tutti quelli che aveva visto fino a quel momento. Ai suoi piedi c'erano molte persone. Sembravano attendere proprio il loro arrivo.
Tanti ragazzi e ragazze dalle chiome bionde quando li videro arrivare si separarono lasciandoli passare, salutandoli con gesti e sorrisi.
Nessuno li seguì quando iniziarono la risalita. Rimasero fermi e seguirono con lo sguardo i tre ragazzi fino a quando scomparvero dalla vista. Wal e i suoi amici passarono davanti a stanze vuote, tutte uguali tra loro, fino a che Flot e Radice non si fermarono davanti a una di esse e attesero il suo arrivo.
Flot era serio, non sorrideva come al solito. Non era da lui abbassare così spesso lo sguardo e faticava a guardarlo negli occhi. Quando gli fu accanto gli fece cenno di entrare. Wal avrebbe voluto fargli domande, ma l'altro si rifiutò allontanandosi subito dopo di corsa. Radice, dopo un rapido saluto, lo seguì.
Per un poco udì i loro passi rimbombare sul legno, poi più nulla, solo il leggero stormire delle foglie attorno a lui. Non era abituato a restare solo e un brivido gli corse lungo la schiena. Si rese conto di essere impreparato. Una parte di lui urlava di andarsene, mentre un'altra lo spingeva ad avanzare. Doveva entrare a incontrare la Grande Madre, eppure qualcosa dentro di lui lo spingeva a tornare indietro, gli diceva che era ancora in tempo per salvarsi.
"In tempo per cosa?" si domandò.
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