9d) IL SILENZIO DELL'ANIMA
In quella i due Vareghi udirono un gran trambusto arrivare da dietro al costone di roccia che portava al ponte: era Mirta, arrivava di corsa, lo chiamava a gran voce e sollevava neve a ogni passo che faceva.
Quando la giovane donna arrivò nei pressi della grotta lo cercò ansiosa, poi, quando lo vide, lo raggiunse.
Dietro di lei giunsero di corsa anche Neko e Ranuncolo e si fermarono soltanto quando lo videro steso sotto il riparo di frasche, appoggiato alla roccia.
Entrambi sospirarono di sollievo.
Era vivo, ma solo ora che lo vedevano, credevano che fosse vero.
La ragazza, quando gli fu accanto, volle abbracciarlo, ma appena vide le condizioni delle mani, spaventata si trattenne.
Benché avesse spalancato gli occhi dall'orrore, non disse nulla, si ritrasse un poco, tolse delicatamente gli stracci che le avvolgevano, poi chiamò il padre e il Grande Vecchio perché la raggiungessero.
Appena giunto al suo fianco, il Setmin vide subito che Baliji era grave: il ragazzo rischiava di perdere l'uso di entrambe le mani se non faceva subito qualcosa.
Tirò fuori dalla sua sacca quello che poteva servirgli e, aiutato dalla figlia, si mise immediatamente all'opera.
Il Grande Vecchio li lasciò fare, rimase ritto alle spalle di padre e figlia che si prodigavano per il giovane uomo, eppure nei suoi occhi vi era un riflesso umido in cui si poteva scorgere tutto l'affetto, la preoccupazione e l'orgoglio per quello che il suo pupillo era riuscito a fare.
Baliji lo vide e gli sorrise.
Non disse una parola, nemmeno si mosse, ma un solo sguardo fu sufficiente ai due Vareghi per comprendersi.
Insieme erano giunti fino a lì partendo da un luogo lontano, affrontando difficoltà inenarrabili.
Il comune luogo di origine si trovava così lontano, che nemmeno ne ricordavano con certezza confini e profili, quantunque fosse, mai come in quel momento, quei remoti luoghi posti ai confini del mondo, erano così indelebili nella loro memoria da essere limpidi come ghiaccio al mattino.
Quando il Setmin tagliò la pelle bruciata della mano destra con un bisturi, il dolore che Baliji provò fu talmente forte che svenne.
In un momento tutto gli divenne scuro e il mondo attorno a lui sparì.
Non seppe dire per quanto tempo rimase svenuto, ma al risveglio si trovò disteso accanto al fuoco, sotto calde coperte Tumbà con Mirta e Ranuncolo che non lo perdevano di vista un solo momento.
Dietro a loro c'erano tutti i suoi amici: Neko con il bastone da viaggio, la sacca e il pastrano addosso; Faggiola, con tunica e pettorale nuovi e brillanti; Thorball vestito da guerra, con in spalla il sacco delle ossa di suo nonno Aldaberon, infine Radice, con l'ascia sacra dei suoi avi stretta in mano e il mantello Tumbà legato al collo.
Tutti quanti attendevano pazientemente che si risvegliasse.
Baliji si guardò attorno: era all'asciutto, non gli nevicava sopra e dove si trovava non tirava vento.
Gli ci volle un po' a capire dove fosse.
Le mani erano avvolte in bende pulite e non facevano più male come prima che svenisse.
Le sentiva appena, erano anestetizzate e le bende che le avvolgevano, emanavano forti odori di unguenti curativi.
Nell'aria ristagnava odore di fumo, di erbe aromatiche, di balsami e unguenti.
Vide piccoli contenitori accanto al suo giaciglio.
Li riconobbe, erano quelli che usava Ranuncolo. Era da quelli che evaporavano gli aromi che respirava.
Fuori dalla grotta sentiva il trambusto di un'attività frenetica, per quanto i suoni che gli giungessero all'interno della grotta fossero sordi, attutiti, come assorbiti da uno spesso strato di neve farinosa.
La luce del sole filtrava dalle tende. Era giorno. Da uno spiraglio lasciato aperto contro la roccia, vide che la neve aveva smesso di cadere.
Quando lo vide riprendersi, Ranuncolo sospirò e abbassò la testa: Baliji ebbe l'impressione che stesse pregando.
Imitandolo, Radice salmodiò qualche parola in risposta alle parole del Setmin.
Mirta vedendolo risvegliarsi trattenne a malapena lacrime che non volevano saperne di restare nascoste e lui le sorrise.
Non si ricordava di quanto fosse bella, eppure erano soltanto pochi giorni che non la vedeva.
Fece per darle una carezza, ma appena sollevò la mano per avvicinarla al viso dalla ragazza, provò una fitta dolorosa.
Ranuncolo lo trattenne con ferma delicatezza.
"No, mio Signore. Per quanto ti è possibile, non muoverle" gli disse con la convinzione di chi sapeva quello che diceva.
A malincuore Baliji accennò di aver capito.
Si guardò attorno: oltre a loro, nella grotta non c'era nessun altro.
"Dove... da quanto tempo mi trovo qui?" domandò a Neko.
Il Varego sospirò come se solo allora avesse ripreso a respirare:
"La notte è passata e non sapevamo se saresti ritornato indietro" gli disse, facendogli capire che aveva temuto di non rivederlo ancora sveglio.
Dalla sua preoccupazione Baliji capì che aveva rischiato di morire.
"Sono così gravi?" fece a Ranuncolo, sollevando appena le mani bendate.
"La sinistra spero di salvarla, mio Signore, ma la destra... ".
Il Setmin scosse la testa.
Dalla sacca che aveva accanto a sé tirò fuori una scheggia di metallo affilata e lucente e glielo pose sul petto:
"È un pezzo d'acciaio della tua spada. Si è conficcato nel polso e ha lesionato i tendini... un giorno con quella mano forse potrai raccogliere ciocchi di legna per il fuoco, ma nulla di più di questo, mi dispiace. Ho pensato che la volessi conservare".
Baliji guardò il pezzo di metallo, meravigliato e sorpreso al tempo stesso di quanto fosse lucente e pulito.
Un pezzo grande quanto un pollice era tutto quello che restava della splendida arma che Alfons aveva forgiato apposta per lui, ma sopra a esso ancora si vedevano pochi simboli Yaonai che suo padre vi incise sopra: il suo nome.
Sorrise nel vederli.
Quella spada l'aveva usata due sole volte in vita sua.
Aveva ucciso in entrambe le occasioni e ora che era scomparsa per sempre, l'aveva privato dell'uso di una mano.
Un caro prezzo, si disse rimirando la scheggia, per un'arma meravigliosa come quella.
Annuì. In qualche modo se l'aspettava.
Quella era la mano che aveva promesso al cielo in cambio della salvezza di Fredrik, ma ancora una volta il Fato l'aveva beffato e aveva deciso altrimenti.
"E... gli altri, dove sono andati tutti... quanti?" domandò a Faggiola.
La Grande Madre fece un passo avanti.
"Su al ponte, mio signore" gli rispose la Yaonai "È dall'alba che le nostre Schegge stanno tenendo aperto il sentiero per il passo. Hanno perso le tracce dei fuggiaschi di Karahì e alcune di loro sono tornate indietro per aiutarci. Le mie guerriere e i tuoi Tumbà stanno già attraversando dall'altra parte; altri, gli ultimi, salgono ora per il ponte".
A quella notizia Baliji si rilassò.
Adesso si spiegava il trambusto all'esterno e la grotta rimasta vuota.
La gente, la sua gente, stava oltrepassando il fiume per andare verso la salvezza.
Ce l'avevano fatta, li avevano portati in salvo.
Chiuse gli occhi e cercò di non pensare a nulla.
Subito sentì il vuoto nella mente.
Il silenzio dell'anima, quel mistero che ancora non conosceva e che lo sorprendeva non appena si distraeva un momento, era di nuovo lì.
Che strano, doveva ancora abituarsi a quella sensazione così nuova e inattesa: non portare altre esistenze dentro di sé era difficile quanto abituarsi ad averle. Sorrise.
Si domandò se mai ci avrebbe fatto veramente l'abitudine.
"Tu riposati" gli disse Mirta "Noi passeremo per ultimi, così avrai più tempo per riprenderti".
All'idea si ribellò, provò ad alzarsi facendo cadere in terra la scheggia di metallo che dal petto tintinnò rimbalzando sulla roccia:
"No, tu vai, vai adesso, Thorball, portala dall'altra parte, io poi vi raggiungo!" esclamò, ma la mano di lei lo spinse indietro.
Ferma e delicata, la ragazza non ammise repliche.
Anche Thorball non si mosse, scosse appena la testa per dirsi contrario alla sua idea.
Mirta raccolse il pezzo di metallo e glielo mise nella mano sinistra, infilata nelle bende in modo che non potesse scivolare via:
"No, non ti lascio più andare da solo. Guarda come sei tornato, l'ultima volta che sei andato".
Lui la guardò sbalordito e non seppe cosa risponderle.
Anche Neko le venne in aiuto.
"Ha ragione. Riposati" gli disse "Abbiamo ancora tempo e tu sei molto debole. Quando sarà il momento verremo a chiamarti. Ma ora perdonami, Radice e io andremo al ponte per vedere che tutto vada per il meglio. Non sono tranquillo, sapendo che ci sono quei mostri liberi per i monti".
Dopo un rapido cenno di saluto, i due uscirono in fretta e quando sollevarono la tenda, Baliji vide uomini e Yaonai che si caricavano sulla schiena bagagli per partire.
La neve gli arrivava alle ginocchia e gli bastò un'occhiata per comprendere che era asciutta e farinosa.
"Hai visto, anche Neko è d'accordo" gli disse Mirta.
Avrebbe voluto ribattere, ma la tenda all'ingresso della grotta si sollevò ancora. Entrarono due Yaonai.
Una di loro teneva in mano un sacco piuttosto voluminoso e, dopo aver salutato i presenti, andò direttamente verso Faggiola.
L'altra, più restia a farsi vedere dagli uomini, si tenne accanto all'ingresso, più lontana possibile dal fuoco, però scambiò un cenno di saluto con il ferito.
Entrambe portavano lo scudo tondo sulla schiena.
Questa volta Baliji le riconobbe, erano le guerriere entrate nel vulcano assieme a lui, Faggiola e Radice e rispose volentieri al loro saluto.
Era lieto di vedere che si fossero entrambe salvate e che fossero in buona salute.
Dopo aver parlato alla Grande Madre e ottenutone il permesso per allontanarsi, la Yaonai posò in terra il sacco che teneva in mano e se ne andò con la compagna.
Faggiola lo raccolse e lo diede a Thorball.
"Questo è un dono da parte di Ramo Slanciato e di Pioppella" fece a Baliji, indicando le due Yaonai appena uscite "Volevano ringraziarti per l'ampolla luminosa che gli donasti al vulcano. La mia gente non dimentica i favori ricevuti e credo ti farà piacere ricevere quello che ti offrono. Spero apprezzerai le loro intenzioni, ma ora, se mi perdoni, devo andare via. Al pari del Grande Vecchio, nemmeno io sono tranquilla a restare lontana dal ponte. Le mie figlie potrebbero avere bisogno di me. Sono lieta di vedere che sei ritornato a noi, mio Signore. Con permesso".
Anche Faggiola se ne andò, lasciando i due Vareghi a guardarsi perplessi. Thorball aprì il sacco e dentro vi era una testa. Afferrandola per i capelli, la sollevò appena perché anche il ferito potesse riconoscerla.
"Fredrik!" esclamò Baliji quando la vide.
Era la testa del loro amico, in parte ancora circondata dal ghiaccio in cui era stata compattata.
Thorball la tirò fuori del tutto dal sacco e la poggiò in terra.
Alla vista del loro Compagno di Disgelo i due compari rimasero a fissarlo meravigliati e assorti, quasi si fosse trattato di un miracolo.
Mirta e Ranuncolo, invece, si ritrassero disgustati.
Non si aspettavano una sorpresa simile e davanti a quella testa mozzata non riuscirono a rimanere impassibili come i due Vareghi.
Passato il primo momento di stupore, però, Mirta si fece vicino al suo uomo e gli si accoccolò accanto.
Lei e suo padre avevano saputo da Thorball della sorte di Fredrik e la Sednor aveva ben presente quale legame univa quei tre ragazzi.
Per quanto provasse ripugnanza per quella testa mozzata dai lineamenti distorti della morte, in silenzio volle condividere quel momento con lui.
Quindi, insieme, i tre giovani contemplarono il dono che le due Yaonai avevano voluto fare al Padre di Tutti.
Il ghiaccio scintillava alla luce del fuoco, mentre piano piano fondeva bagnando la roccia.
I lineamenti del giovane giustiziato non erano più contratti e bloccati dalla paura, erano distesi e sereni, pareva dormire.
Il freddo e il gelo avevano perfettamente conservato i tessuti molli e la pelle pareva quasi ringiovanita.
"È quasi più bello da morto che da vivo" celiò Thorball e Baliji annuì.
Era senza parole.
Questa era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di ricevere in dono, eppure, ora che l'aveva avuta, non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
Fredrik, il suo amico Fredrik, era tornato a casa.
Non c'era regalo più bello e desiderato di questo.
Faticava ancora a crederci, eppure era lì, davanti a lui.
"Ma come..?" seppe solo dire, tuttavia Thorball fece un cenno negativo con la testa. Nemmeno lui sapeva come poteva essere possibile che le due Yaonai avessero con sé la testa mozzata del loro amico.
Come Thorball, anche lui avrebbe solamente potuto supporre quello che realmente accadde laggiù nella radura, eppure volle credere che le cose si fossero svolte in questo modo.
Nei concitati momenti che seguirono la morte di Gioturna, tutto divenne veloce e confuso e nessuno comprese più nulla.
Tutto quello che Baliji ricordava era il dolore alle mani e alla testa.
Il resto, tutto il resto, si perdeva in una nebbia di dolore e di rabbia che l'aveva lasciato completamente spossato.
Vagamente aveva nella mente un'immagine delle due Yaonai con gli scudi alzati e poi il nulla, il mondo che gli cadeva addosso rotolandogli sopra come se volesse seppellirlo per sempre e il dolore.
Dopo aver quasi inciampato sulla testa di Fredrik, la rabbia che si impossessò di lui fu così totale da fargli dimenticare ogni altra cosa.
La perse di vista, esattamente come tutto il resto.
Però evidentemente altri la videro. Ramo Slanciato e Pioppella erano accanto a lui, la videro, mentre infliggeva il colpo mortale a Gioturna la raccolsero dal fango e quando si allontanarono per fuggire, la misero nella sacca e la portarono tutto il giorno senza dire nulla a nessuno.
Sentendosi in obbligo per l'ampolla luminosa ricevuta in dono, vollero pagare in quel modo il debito che avevano contratto con un uomo e inconsapevolmente divennero complici del Fato perché portassero quella testa fino a lui.
Baliji si guardò la mano destra e capì che l'Imponderabile questa volta non l'aveva beffato.
Lui stesso gli aveva offerto un patto, la mano destra era sua se glielo ridava, ora aveva ottenuto quello che aveva chiesto e ne aveva pagato il giusto prezzo: quello che lui stesso aveva pattuito gli era stato preso.
Ora non poteva che rallegrarsi dello scambio equo, come usavano fare i mercanti Vareghi da tempi immemorabili e considerò meno grave la perdita dell'uso della mano.
Aveva chiesto e ottenuto, ma come diceva un detto Varego:
Agli Dei e al Fato fai attenzione a domandare, perché potrebbero esaudirti.
Sorrise. Finalmente si sentì appagato.
Anche il bruciore alla mano assunse un sapore meno amaro, adesso che aveva saputo trovare un senso a quello che gli era accaduto.
Il Rammarico, suo nonno, il nome, la mano, Fredrik, ora tutti i debiti erano stati saldati e i conti con il passato tornavano tutti quanti.
I due ragazzi del Nord si scambiarono uno sguardo malinconico e si sorrisero.
Anche Fredrik era tornato a casa, in un modo o nell'altro erano ancora tutti e tre insieme.
Thorball prese la testa e la rimise nella borsa, poi si poggiò la sacca sulla spalla con noncuranza, quasi contenesse vestiti o cibo di poco conto.
Tornò al suo posto e restò immobile ad attendere che il tempo passasse come se nulla fosse successo, con le mani incrociate sul davanti e lo sguardo fisso sul fuoco. Baliji comprese e lo lasciò fare.
Anche lui non aveva voglia di parlare. In fondo non c'erano parole da dire. Tutto era assolutamente chiaro.
Se il riserbo Varego non permetteva a Thorball di esternare i suoi sentimenti, Baliji sapeva che a modo suo anche il suo piccolo amico era addolorato tanto quanto fosse contento.
Molto contento, esattamente come lui.
Fredrik era ancora tra loro e avrebbero potuto dargli una pira funebre degna di un guerriero Varego.
Finalmente ora Thorball avrebbe potuto tornare a testa alta dai suoi figli e dai figli dell'amico e narrargli le gesta del padre.
Gli avrebbe raccontato della pira che costruì con le proprie mani e di come le fiamme salirono al cielo.
Sarebbero stati fieri di lui e del suo valore, da vivo e da morto.
Era caduto da guerriero, da eroe, e lui avrebbe potuto raccontare alla sua gente come bruciò quello che restava del suo Compagno di Disgelo nel falò funebre.
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