8c) È ORA DI ANDARE
Controvoglia Baliji rimase dov'era e vide che il primo passo lo fece Faggiola.
Muovendosi per ultimo dietro alle tre donne che lo precedevano e scorgendole stringersi le une alle altre per darsi coraggio, quella centrale tenendo ben alta l'ampolla luminosa, le altre due a scudi levati a proteggerle i fianchi, non poté che ammirarne la determinazione.
Sapeva quanto fosse difficile per quelle Yaonai trovarsi in quel luogo sotterraneo e considerava ammirevole il coraggio che stavano dimostrando nell'affrontare le loro paure.
Era onorato di trovarsi in compagnia di combattenti di tal fatta, che già più volte avevano dimostrato di possedere una forza morale e una resistenza fisica invidiabile persino da molti guerrieri Vareghi che aveva conosciuto in passato e che, in cambio, chiedevano soltanto rispetto per quello che erano e per quello che erano state.
Si rese conto che delle tre guerriere che lo precedevano nemmeno conosceva il nome, eppure erano lì davanti a lui ed erano determinate a difenderlo a qualunque costo, perfino a perdere la vita se era il caso.
Anche per questo valore così puro e senza secondi fini che quelle donne gli stavano tributando, si sentì in dovere di non cedere a sua volta alla paura che lo tormentava da quando erano partiti alla ricerca di Gioturna e le seguì, restandole vicino per quanto poteva.
Il gruppo avanzò piano, scendendo sottoterra facendo il minor rumore possibile. Arrivarono davanti all'altra camera, quella in cui suo nonno Aldaberon venne ucciso a tradimento dal figlio Flot.
Faggiola fece cenno alla Yaonai che aveva la luce in mano di andare a controllarla: non voleva rischiare di trovarsi Gioturna alle spalle per una distrazione che poteva costare cara a tutti.
Benché livida in volto per l'ordine ricevuto, la donna fece come le era stato chiesto dalla Grande Madre e vi entrò con circospezione, tenendo l'ampolla ben alta sulla testa.
Dopo pochi attimi ne uscì: la stanza era vuota.
Rassicurata, Faggiola diede l'ordine di proseguire.
Più avanti la galleria divenne tortuosa.
Rivangando nel passato, Baliji riconobbe le prime svolte che incontrarono avanzando piano e ricordò il terrore folle che gli provocarono la prima volta che le vide al tenue chiarore pulsante dei muschi luminosi.
Benché la luce di cui ora disponevano lui e i suoi compari fosse molto più luminosa di quella della volta scorsa, la paura che in quella occasione provò a percorrerle in compagnia di Salice che Ride, ritornò esattamente implacabile come allora e le rese indelebili nella memoria.
Le riconobbe tutte, una per una, ben sapendo che ora, dietro a ognuna di esse, Faggiola e Radice avrebbero potuto incontrare per primi Gioturna, ferma, in agguato e pronta ad aggredirli in qualunque momento con i suoi aculei.
Nessuno sapeva come fosse fatta l'Immonda, come nessuno era a conoscenza di quando e come sarebbe avvenuto il contatto, tuttavia, in tutti i suoi compagni, Baliji lesse in volto il timore che il pensiero di venire a contatto con quella bestia del passato, provocava alle loro menti.
Davanti a tutti, il Sednor e la Yaonai si muovevano rapidi, efficienti, controllando ogni cosa minuziosamente, lavoravano bene insieme.
Benché fossero tesi e nervosi, erano affiatati e precisi.
A ogni curva che raggiungevano, cercavano il punto migliore per sbirciare oltre, illuminando per prima cosa il percorso con le ampolle.
Lui sulla destra, lei a sinistra, agivano separatamente evitando di intralciarsi l'un l'altro e solo quando erano certi che la strada fosse libera, facevano cenno agli altri della pattuglia di proseguire nel cammino.
Andarono avanti così, senza indecisioni per un tratto alla volta e per un tempo che a tutti parve lunghissimo, ben sapendo che per ogni passo che si lasciavano alle spalle, era uno in meno prima di trovarsi Gioturna davanti.
Nessuno fiatava, nessuno parlava, comunicavano a gesti, i sensi troppo tesi a cogliere il minimo sussurro nell'aria pesante del vulcano, per potersi distrarre in inutili parole.
Scendevano sempre, costantemente.
Faceva caldo, molto più caldo di quanto Baliji ricordasse.
Il muschio che allora ricordava essere attaccato saldamente alle pareti e al soffitto, penzolava ora rinsecchito e polveroso ovunque guardasse.
Il pavimento ne era ricoperto, quei vegetali così utili e preziosi erano sparsi ovunque, ormai seccati del tutto dal calore della lava.
Ogni qualvolta ne calpestavano qualcuno, quello si sbriciolava immediatamente sotto i piedi, provocando un sommesso scricchiolio che subito diveniva polvere.
Il caldo asfissiante della caldera aveva vinto anche la resistenza di quei coraggiosi vegetali luminosi e li aveva bruciati.
Non c'erano nemmeno più le ragnatele a pendere dal soffitto, il caldo eccessivo aveva seccato anche quelle.
Proseguendo nella discesa arrivarono nel punto in cui Baliji si disfò, lasciandola cadere in terra, di una delle torce che al ritorno dell'altra volta gli permisero di salvarsi: era l'ultima delle quattro, ora ricordava.
Dal bacino di lava ne portò quattro con sé e quella era la quarta.
Rifacendo mentalmente a ritroso tutto il cammino che percorse allora per uscire, avrebbero dovuto trovare altre due torce ancora e sarebbero arrivati alla scritta che suo nonno incise nella roccia.
Ebbe un sussulto nel petto a ricordarlo, ma si obbligò a non pensarci quando vide che Radice si fermò davanti al residuo annerito della torcia e si voltò a guardarlo.
Il Sednor con un movimento lieve del piede scostò quello che restava della fiaccola e quando lui da dietro gli fece cenno di proseguire, si mosse.
Il tempo scorreva lento.
Camminarono fino a dove incontrarono la seconda torcia lasciata in terra da Baliji e di Gioturna ancora nessuna traccia.
Questa volta fu Faggiola che scostò di lato il moncone carbonizzato con il piede e senza nemmeno pensare a fermarsi, andò oltre.
Quando arrivarono alla terza torcia, Baliji riconobbe la roccia che aveva tastato mesi prima e dopo poco arrivarono al graffito di Aldaberon.
Gli altri quasi non vi prestarono attenzione quando vi passarono davanti.
Non conoscevano l'alfabeto Varego e per loro quei graffi verticali non erano che casuali segni incisi nella roccia con un piccone.
Vi passarono accanto indifferenti, ma per il giovane che chiudeva la fila, rivederli fu una grande gioia.
Come potevano sapere quello che avevano significato per lui, quando si trovò solo, perso e spaventato in quel buio eterno ad affrontare la paura di non poterne più sfuggire.
Quando riconobbe il segno di suo nonno scalfito nella pietra, ebbe un moto di gratitudine: vi appoggiò sopra la mano e in quel preciso istante avvertì un formicolio passargli la pelle del corpo, dalla punta dei piedi fino alla nuca.
Era un segnale.
Il cuore prese a battergli veloce e immediatamente si fece attento a quello che poteva spuntare da oltre la svolta che avevano davanti.
Forte, chiaro, poderoso come non mai, quel segnale significava una cosa sola: suo nonno lo avvisava di stare in allerta.
Gioturna era nei pressi!
Avvisò gli altri, ormai non mancava molto al bacino di lava, l'Immonda poteva essere ovunque.
Continuando a scendere con circospezione, superarono ancora alcune svolte senza che vi fosse segno della creatura che cercavano e ogni passo che fecero verso la caldera colma di lava, divenne un supplizio.
Il caldo era ossessionante, al limite della sopportazione.
Quella poca aria che c'era, era pesante e maleodorante, sapeva di marcio e di legno carbonizzato.
Era impregnata di un fetore insopportabile che aumentava sempre più.
Era un odore che Baliji conosceva, l'aveva già annusato altrove anche se faticava a ricordarsi dove.
Poi improvvisamente rivide la scena: una liana di Gioturna che cercava di colpirlo, un colpo deciso con l'ascia per tranciarla, un calcio disgustato per spingerla nella lava e una nuvola di fumo bianco che lo investiva in pieno con i suoi vapori pestilenziali.
Ecco cos'era, era quello, era il suo odore, era Gioturna, Lei era lì!
Ebbe appena tempo di urlare ai due di testa di fare attenzione, che un dardo acuminato saettò nell'aria provenendo da oltre la curva che avevano davanti.
La liana a cui era attaccato si agitò come un serpente colpendo la parete opposta a dove arrivava e rimbalzò indietro.
La lunga spina sulla punta saltellò sulla roccia poi cadde ai piedi di Radice che, vedendola a terra, reagì fulmineo.
La lama dell'ascia scintillò contro la roccia quando la scalfì appena e per poco il Sednor non riuscì a tranciarla, ma prima che potesse colpirla ancora, l'arto flessibile venne ritirato a velocità incredibile.
Come una frusta, la liana scioccò in alto prima di scomparire oltre la roccia.
I sei s'immobilizzarono, tenendo ben alte le ampolle a illuminare la zona.
Radice, Faggiola, le tre Yaonai, rimasero tesi e concentrati su ciò che avevano visto e che avrebbe nuovamente potuto spuntare da un momento all'altro dalla galleria oltre la curva.
Baliji stesso rimase immobile, con la spada alzata e pronto a reagire.
Oramai erano arrivati, era giunta l'ora che attendeva da una vita intera, il suo destino aveva incrociato la sua strada.
Passarono alcuni minuti estenuanti nella loro lentezza, senza che nulla succedesse.
Il caldo era ossessivo, faceva battere le tempie e colare il sudore sugli occhi.
Le labbra, riarse dalla sete e dalla paura, erano dure come la pietra.
Il cuore pompava sangue e linfa all'impazzata. Eppure resistettero.
Nessuno si mosse, appena fiatavano dalla paura, ma attesero, immobili, attenti.
Nonostante fossero terrorizzate, le tre Yaonai davanti a Baliji non cedettero di un solo passo.
A un certo punto Radice si voltò furtivo a guardarlo. Aveva uno sguardo interrogativo.
Cosa dovevano fare? gli chiedevano i suoi occhi.
Faggiola, senza voltarsi: "Mio signore... l'alba..." disse piano.
Attendevano le sue decisioni.
Baliji si domandò cosa fosse meglio fare.
Lo stomaco gli si attorcigliò dallo sgomento. Non sapeva che decisione prendere.
Era incerto e insicuro su tutto.
In gioco vi era la vita di tutti loro, non soltanto la sua. Una sola mossa falsa e sarebbe stata la fine di tutta la pattuglia.
Poi si ricordò delle parole che gli disse Salice che Ride:
"... con l'inganno, con l'inganno... ".
L'anello gli penzolava dal polso e scintillò alla luce delle bottigliette.
Inganno, inganno... quelle parole gli rimbombavano incessantemente nelle tempie, tuttavia senza dargli ancora quelle risposte che cercava.
Aspettò un consiglio da parte di suo nonno che non arrivò, però si ricordò delle parole che aveva lasciate incise nella roccia:
"Passa di qua la via del ritorno".
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