8) RIMORSI


Nel silenzio del vulcano e nel caldo che ne risaliva lentamente le viscere, Baliji, nell'attesa che arrivasse il segnale inviato dalla Grande Madre, vinto dalla stanchezza della giornata e dalla tensione accumulata, si era addormentato all'interno della camera scavata secoli prima dai suoi nonni.

Quando un violento scossone del vulcano lo risvegliò di soprassalto, non seppe dire quanto tempo fosse passato dal loro arrivo al nascondiglio di Gioturna, perciò dovette pensare un attimo e fare mente locale per ricordarsi dove si trovava.

Si guardò attorno.

Teneva la maschera abbassata sul volto e stringeva al petto la sacca di iuta che aveva raccolta da terra.

Accanto a lui Radice russava piano e Faggiola restava di guardia sulla porta.

La Yaonai lo guardava e lo chiamava.

Gli urlava:"Mio Signore, il terremoto!", era terrorizzata.

Senza quasi pensare, lui le rispose:"Non temere, tra poco passa".

Solo poco prima che questo accadesse, Faggiola, ritta accanto allo stipite, guardò entrambi i cugini e li invidiò, così diversi nei caratteri, eppure così uguali nel sonno e nei benefici che questo portava alle loro menti assieme al riposo.

Il popolo delle Yaonai dormiva poco e difficilmente al risveglio le donne della foresta si sentivano meglio di quando si erano assopite.

Al contrario degli umani che spesso durante le ore del sonno parevano trovare soluzioni altrimenti ignote nella veglia, le Yaonai temevano il torpore in cui raramente cadevano, perché in quei pochi momenti di riposo, ricomparivano le proprie paure, si elaboravano, si mischiavano le une alle altre, ingigantendosi a vicenda a dismisura.

Per questo Faggiola si era offerta di vegliare sul Padre di Tutti e sul futuro Maestro del Sole, invece di dormire a sua volta. Non era tranquilla.

Temeva, una volta assopita, di vedersi travolgere dalla paura del sapersi seppellita sottoterra e inoltre, nonostante tenesse in mano l'ampolla luminosa di Salice che Ride e la luce che sprigionava da essa fosse più che sufficiente per illuminare il corridoio, dal timore del buio totale.

La bottiglietta che Baliji aveva consegnato a Radice era dentro la camera, posata in terra accanto all'ascia del giovane e l'illuminava quasi a giorno.

Sia nella stanza alle sue spalle che nella galleria che controllava con tanta attenzione non vi erano ombre dove Gioturna potesse nascondersi per coglierla di sorpresa, eppure, nonostante questo, non riusciva a tranquillizzarsi e guardava freneticamente verso l'uscita o verso il fondo della galleria.

Avrebbe preferito essere altrove, piuttosto che in quel luogo chiuso e puzzolente.

Da distante riusciva a vedere l'alone di luce della bottiglietta che il Padre di Tutti aveva donato alle sorelle rimaste all'ingresso.

Aveva apprezzato quel gesto, era stato generoso da parte sua, nonostante non avesse nessun obbligo a farlo.

Anche le tre Yaonai l'avevano apprezzato e senza saperlo Baliji le aveva legate a un debito molto alto che, pur di estinguerlo, avrebbero pagato con la vita.

Il tempo passava lento, ogni minuto era snervante e non avrebbe saputo dire quanto mancasse ancora per arrivare all'alba.

Di quando in quando una delle tre donne di guardia si avventurava lungo la galleria di qualche passo, si faceva intravedere da lontano e si salutavano, segno che tutto andava per il meglio.

Faggiola attendeva che le facessero il segnale che avevano convenuto per mettersi in marcia verso Gioturna e nel frattempo pensava al destino della sua gente e a Baliji. Era un brav'uomo quel Varego, migliore di molti altri che aveva visto in passato.

Questo era uno dei motivi per cui si sforzava di non fuggire via nonostante provasse un terrore folle a trovarsi sottoterra, però questo non toglieva che non temesse anche quello che c'era in fondo a quella galleria.

Da poco Salice che Ride le aveva detto quello che una Grande Madre doveva sapere per svolgere al meglio il suo compito e ancora faceva fatica ad accettare che Gioturna esistesse per davvero.

Avrebbe preferito restare nell'ingenua certezza che fosse solo una leggenda quasi dimenticata da tutti, eppure Salice che Ride non era una sciocca, se glielo aveva detto era perché aveva ritenuto necessario farlo.

Come Grande Madre, sapeva che la sua esistenza terrena era giunta quasi al termine.

Nonostante le meticolose cure di Ranuncolo, le ferite lasciate sul suo corpo dalle fiamme erano troppo profonde per guarire.

Forse se la sua forza vitale fosse stata ancora integra, se fosse stata giovane piuttosto che quasi del tutto corrosa dalla voracità dei Ratnor, forse si sarebbe salvata.

Ma oltre a questo, come per tantissime altre Sorelle della foresta a Sud del vulcano, per Salice che Ride giunse anche la perdita della sua amata Scheggia a ferirla forse più profondamente ancora delle fiamme.

Come la capiva!

Quello era un tormento senza fine che sul momento dovette essere accantonato soltanto per il bene altrui, ma che toccava la Grande Madre così a fondo da non lasciarle più nessuna voglia di vivere.

Era già un miracolo che avesse resistito tanto a lungo senza cedere prima al dolore che le tormentava l'animo.

Salice che Ride era una grande Yaonai e Faggiola provava una profonda ammirazione per l'abnegazione che aveva dimostrato al suo ruolo.

Era una vera Grande Madre, come quelle dei tempi antichi, forse l'ultima che il suo popolo avrebbe conosciuto.

Un modello, un esempio per tutte, che avrebbe speso fino all'ultimo respiro le poche forze che le restavano per fermare l'Immonda.

Era stata determinata al riguardo.

Determinata e irremovibile, nonostante le reticenze di Faggiola quando le comunicò che voleva scegliersi per tempo una Reverenda Madre, una sostituta pronta a prenderne il posto quando le forze l'avessero abbandonata.

Ovviamente era onorata da tanta fiducia, eppure erano molti i momenti in cui non si sentiva all'altezza del compito che avrebbe dovuto affrontare dopo la morte della Sorella.

E quello, Faggiola se ne rese conto appena entrò nel vulcano assieme a Baliji, era uno di quei momenti.

Aveva promesso al Gopanda che l'avrebbe seguito fino a dove il suo coraggio avesse potuto reggere, ma la paura, il buio, la puzza e il caldo, mettevano a dura prova la sua determinazione.

Già una volta in passato aveva dovuto scegliere tra quello che voleva per sé e quello che doveva fare e aveva sperato di non doverlo rifare mai più.

Avrebbe preferito affrontare cento mostri di ghiaccio piuttosto che trovarsi lì in quel momento, invece il senso del dovere Yaonai la teneva inchiodata al suo posto. Invidiava la capacità che avevano gli uomini di abbandonarsi al sonno sulle loro disgrazie: nonostante fossero deboli e fragili nel corpo, in questo modo riuscivano a dimenticare per qualche ora i tormenti e le ansie che li agitavano e si ricaricavano di nuove forze.

Una gran fortuna, potersi allontanare per qualche attimo dal dolore.

Questa era una forza enorme che invece era impedita alle Yaonai.

Sebbene gli uomini fossero instabili nel pensiero e irrequieti nell'agire, questo ristorarsi nel sonno li rendeva forti, flessibili e ostinati, comunque determinati e reattivi anche quando parevano sconfitti.

Ammirava profondamente questa loro dote e al tempo stesso la temeva, perché era stata quella che aveva permesso a Flot di prendere così facilmente il sopravvento sulle tradizioni millenarie delle Yaonai.

Era bastata la caparbietà, l'intelligenza e la flessibilità di un solo uomo ambizioso, per renderle tutte quante prigioniere delle loro stesse tradizioni.

Molte erano scioccamente cadute nell'inganno di quel Varego per quelle tradizioni e a lei, ora, era toccato un arduo compito: proseguire per una strada dove tante altre Sorelle prima di lei avevano fallito.

Doveva salvare il popolo delle Yaonai.

Riprendere in mano il destino del popolo della foresta e condurlo in salvo quando la foresta era stata per metà distrutta, non sarebbe stato semplice.

Molte sorelle del Sud erano morte nell'incendio e le poche sopravvissute al disastro avevano perso tutto.

Al Nord le fiamme non erano giunte, eppure anche in quelle zone il fuoco aveva provocato disastri immani e profondi cambiamenti.

Gioturna, Karahì, la Maledizione spezzata, le Schegge nuovamente libere, tutto era mutato in pochi giorni.

La vita stessa delle Yaonai era stata sconvolta irrimediabilmente.

Negli ultimi tre secoli, tutto era cambiato per la sua gente.

Prima dell'arrivo di Aldaberon il Varego tutto era stato semplice, lineare, stabilito, poi giunsero le novità, il Popolo del Sole, Flot e infine l'incendio, in poco tempo nulla era rimasto quello che era stato prima di tutto questo.

Lei era ancora un tenero virgulto quando le cose iniziarono a cambiare e ora, sulla soglia della maturità e quasi Grande Madre, Faggiola non aveva più le certezze che le avevano insegnato da bambina.

Di tutto quello che un tempo costituiva il superbo retaggio della sua gente, solo una cosa restava: l'orgoglio per quello che erano state un tempo.

Solo questo aveva ricevuto in eredità nel momento in cui era stata scelta come Reverenda Madre da Salice che Ride.

Era poco, lo sapeva, ma nelle condizioni in cui si trovavano, valeva tanto.

Per risollevare il destino della sua gente poteva contare soltanto sull'orgoglio di essere una Yaonai, ma questo le sarebbe bastato per ottenere quello che desiderava per le sue Sorelle?

Per quanto tempo ancora, l'orgoglio avrebbe potuta sorreggerla?

Ben sapeva che ormai appartenere al suo popolo era un onore vuoto, privo di ogni significato e che doveva nuovamente essere riempito perché potesse sorreggersi ancora.

Onore, tradizione, superbia e appartenenza, tutto era finito.

Le Yaonai erano finite, l'era delle donne pianta volgeva al termine.

Erano diventate come quei giovani Vareghi che aveva visto arrivare nelle loro terre di anno in anno, i Sanzara, lupi solitari, raminghi, senza gente e senza patria.

Un tempo li aveva disprezzati, derisi, commiserati per la condizione di vuoto in cui si trovavano ad attraversare in solitudine una vita intera e ora che si sentiva allo stesso modo di quei giovani, se ne pentiva.

Ci fu un tempo in cui pensava, credeva, di essere superiore a quei senza terra, di appartenere a qualcosa di immutato e immutabile, ma ancora non sapeva quanto sbagliava la sua arroganza a essere così sicura di appartenere a qualcosa di infinito.

Il suo mondo era morto, quello che ne restava avrebbe potuto saltare in aria da un momento all'altro e lei aveva la responsabilità di salvare il salvabile portando via quelle che avessero scelto di seguirla.

Si vergognava di se stessa, della sciocca presunzione che aveva avuto in passato il suo popolo, convinto di vivere in un presente immutabile, piuttosto che pensare al futuro.

Come avevano potuto non vedere quello che era sotto gli occhi di tutte loro.

La Grande Madre Celeste non le aveva forse dotate dell'intelletto?

Solamente una agì per il bene di tutte, Salice Splendente, la nonna di Baliji, la Grande Madre più potente di ogni tempo, colei che tentando di salvare il suo popolo, sposò Aldaberon il Varego e ne decise in questo modo il declino inesorabile.

Come l'aveva giudicata aspramente, Faggiola.

Salice Splendente fu l'unica a cercare di convincere le Yaonai a non attendere oltre per fare qualcosa.

Eppure avevano atteso, ottusamente avevano atteso troppo a lungo prima di agire e dove non era arrivata l'intelligenza che credevano di dominare, aveva provveduto il Fato.

Quando poi arrivò, la realtà le aveva colte impreparate, tutte, lei compresa.

Era giunta con la potenza di un tuono e con la furia di un fulmine aveva spazzato via tutto, prima che potessero comprendere cosa fare per evitare il peggio.

Certezze, convinzioni, tutto spazzato via.

La sua ferma determinazione era crollata nel momento stesso in cui aveva visto ardere la sua Scheggia.

Per ogni foglia, per ogni pezzo di corteccia che aveva visto cadere corrosa dalle fiamme davanti ai suoi occhi, aveva sentito sulla propria pelle lo strazio e il dolore che quell'essere amato stava provando contorcendosi nello spasimo.

Era stato orribile e lei non aveva fatto nulla per salvarlo.

Mentre il corpo legnoso che condivideva da secoli ardeva, lei aveva dovuto scegliere se morire con essa oppure se salvare la Grande Madre.

Aveva dovuto farlo e aveva scelto.

Aveva scelto di condannare a morte colei che le aveva donato vita e giovinezza. Scelse la fine della sua Scheggia, mentre lei avrebbe continuato a vivere e a respirare.

Ancora ora non sapeva perché lo avesse fatto, perché avesse scelto di fare questo al posto di quello.

Sapeva soltanto che, nonostante tutto, non si era mai pentita di aver portato in salvo Salice che Ride dall'incendio.

Forse a spingerla a compiere quella scelta fu il senso del dovere, l'orgoglio di essere una Yaonai, oppure soltanto la paura di prendere su di sé le responsabilità di divenire una Grande Madre.

Eppure, senza nemmeno rendersene conto, fece quello che sul momento ritenne più giusto e con quella scelta, segnò per sempre la sua nuova vita.

Lasciando che la vecchia vita si perdesse nelle fiamme che avvolsero la sua povera Scheggia, la nuova sorgeva da quelle medesime radici.

Sapeva perfettamente di avere agito per il meglio e se lo ripeteva spesso.

Era cosciente che se non avesse salvato la Grande Madre, Gioturna avrebbe ucciso tutti quanti e si sarebbe già riunita a Karahì, ma il senso di colpa, il tradimento verso la sua metà vegetale, pesava come un macigno sul suo animo e l'aveva cambiata irrimediabilmente.

Non si sentiva più la creatura immacolata e pura che aveva sempre creduto di essere; anche lei ora aveva una macchia che non sarebbe stato possibile cancellare fino a quando non avesse ripagato il debito che aveva contratto con la vita.

Era colpevole, meritava una punizione e quella punizione si chiamava Gioturna. Giudice e carnefice al tempo stesso, Faggiola si era giudicata e condannata a espiare. Soprattutto per questo non era ancora fuggita da quella galleria calda e puzzolente, per il debito che aveva contratto con la sua Scheggia e che era fermamente convinta di saldare.

L'aveva abbandonata e faticava a dimenticarne le urla strazianti, ma per quanto le facessero male ogni volta che ci pensava, ora il Fato le presentava il conto e non le restava che pagare.

Dovette farsi forza per non cedere alla lacrime, pensò ad altro, al tempo che non passava mai, tuttavia oramai non poteva mancare molto al momento di andare.

L'alba si avvicinava, presto avrebbero dovuto muoversi.

Sospirò, invidiando profondamente i due uomini, poi arrivò la violenta scossa di terremoto a svegliare i ragazzi addormentati.

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