6d) IL RAPIMENTO


Quando l'improvviso attacco si interruppe, Baliji si guardò attorno e vide i morti, contò i feriti, valutò lo sconquasso che la furia omicida di Karahì aveva provocato sulla loro colonna e solo dopo comprese la dura verità.

Come risvegliandosi da un brutto sogno vide abbandonati per terra gli spadoni e gli scudi di Fredrik e Thorball, cercò i suoi Compagni di Disgelo pensando fossero feriti, ma quando non li vide, né vincenti, né stesi in terra, afferrò quello che fin dall'inizio la ragione rifiutava di accettare.

Erano stati rapiti.

L'urlo che lanciò al cielo fu insieme di rabbia e frustrazione e quando guardò verso la collinetta, vide la cerva bianca che lo fissava.

Anche lei bramì in risposta al suo grido, poi, prima che chiunque di loro potesse nuocerle, il giovane la vide scomparire di corsa.

Baliji avvisò Radice e Faggiola del rapimento di Fredrik e di Thorball.

Dovevano fare in fretta.

Chiamò a sé i Tumbà superstiti e si gettò all'inseguimento dei rapitori.

Sapeva che era pericoloso, che poteva essere quello che la Regina delle Nevi voleva, però sul momento udiva soltanto il proprio cuore che gli diceva che i suoi amici erano in pericolo.

Benché con la maschera sul viso facesse fatica a respirare, corse a perdifiato seguito dagli altri, fino a quando vennero raggiunti anche dalle Yaonai.

Anch'esse si erano lanciate all'inseguimento dei Ka-ranta per stargli accanto.

Andando contro i propri stessi principi, le donne lasciarono sole le compagne ferite, forse sentendosi colpevoli per non essere state in grado di proteggerlo durante l'attacco.

A un certo punto, anche Faggiola gli si affiancò. Dal folto del bosco gli uomini udirono dei tonfi pesanti rimbombare nella foresta e videro che Schegge, Zolle, Masse e Torce , tutte quante assieme, correvano al loro fianco.

Erano giunti in soccorso del Gopanda dopo essersi fatti sorprendere ingenuamente da Karahì e anche se oramai era tardi, ora cercavano di vendicarsi per lo smacco subito.

Correndo a perdifiato, gli inseguitori arrivarono alle calcagna dei fuggiaschi.

Riuscirono a vedere i due Giganti in fuga portare in spalla i due ragazzi, udirono da distante anche le urla dei rapiti.

Baliji ne vide le mani agitarsi. Ne udì le voci spaventate.

Erano vivi, siano ringraziati gli Dei dei Sei Elementi!

Il peggiore degli incubi al momento era scongiurato; i due Vareghi li avevano visti arrivare, li chiamavano, sapevano che stavano arrivando i soccorsi.

Rinfrancato dalla speranza di riaverli vivi accanto a sé, facendosi forza Baliji corse più veloce, dimenticando completamente prudenza e cautela che fino ad allora l'avevano bloccato in una morsa di paura.

Lasciò indietro sia Radice che Faggiola.

Dopo non molto raggiunse il più lento dei due mostri, quello che portava in spalla Thorball.

Con lo spadone alto sulla testa lo colpì una prima volta a una gamba, schivò appena in tempo un manrovescio del gigante e colpì ancora, nel medesimo punto di prima. Grosse schegge di ghiaccio volarono alte nell'aria. Il Gigante traballò, ferito rischiò di cadere, ma si riprese e continuò a correre.

Ormai si sentiva braccato, circondato da ogni parte ansimava, nemmeno provava più a difendersi dagli assalti degli uomini, correva e basta, mentre Thorball, gettato come un sacco sulla spalla del mostro, urlava dalla paura e dall'impotenza.

Radice raggiunse anch'egli il mostro e con un solo colpo dell'ascia bipenne gli spezzò l'articolazione già indebolita dai colpi di Baliji.

Si udì uno scricchiolio tremendo, uno schianto improvviso e il ginocchio cedette di botto.

Senza più sostegno a sorreggerlo, l'immenso corpo del gigante crollò in terra frantumandosi in mille pezzi e Thorball rotolò pesantemente in terra, fermandosi lontano, tramortito e immobile contro il tronco di un albero.

Baliji fece per lanciarsi all'inseguimento anche dell'altro Gigante, quello che trasportava Fredrik, ma questa volta venne bloccato da Faggiola.

La Reverenda Madre lo trattenne per un braccio.

"Lascia che vadano loro!" gli intimò con fare deciso, indicandogli i Tumbà superstiti e le Yaonai "Tu sei troppo prezioso, non puoi rischiare così!".

A malincuore, staccandosi da lei con uno strattone, riconobbe che aveva ragione e lasciò che i compagni lo superassero.

Sollevò la maschera, esasperato dalla mancanza d'ossigeno e dalla rabbia. Aveva bisogno d'aria.

In distanza, vedeva il mostro fuggitivo scappare, rimpicciolire, sparire.

Gettato malamente sulla spalla, il Varego veniva scosso a ogni falcata e agitava le mani per chiamarlo.

Fredrik urlava il suo nome.

Il suo amico era laggiù, lo chiamava, e lui era lì, bloccato dal suo dovere di Sanzara.

Uno alla volta gli sfilarono accanto anche i Giganti della Terra, del Legno e degli altri elementi.

In lontananza vide il gigante di Ghiaccio scomparire. Poi vide altri Giganti di ghiaccio spuntare dalla foresta.

Il Ka-ranta che aveva preso Fredrik fu raggiunto dai suoi che gli si misero attorno, dietro, lo difesero dalle Zolle e dalle Yaonai che lo tallonavano da vicino.

Uno schermo impenetrabile si interpose tra gli inseguitori e il Varego rapito.

Velocemente scomparve alla vista.

Mentre il mostro fuggiva indisturbato con Fredrik gettato sulla spalla, l'inseguimento s'interrompeva come l'onda sullo scoglio. L'ordine era di rientrare.

Baliji era furioso con Karahì, con se stesso, con il mondo intero.

Ansimava arrabbiato, perché sapeva che questa volta era stato sconfitto.

Convinto di essere lui l'obiettivo di quell'attacco così repentino, non aveva saputo prevedere che anche altri correvano pericoli oltre a lui.

Questa volta Karahì aveva agito d'astuzia e l'aveva colpito duramente.

Era stato battuto con l'accortezza di una strategia imprevista e non riusciva a perdonarselo.

La Regina del Ghiaccio aveva voluto colpirlo dove era più sensibile e non potendo arrivare a Mirta, lo aveva fatto con i suoi amici.

Quando, preso dalla disperazione si voltò, vide che Radice era accanto al corpo di Thorball.

Il suo amico era steso a terra, immobile come un tronco abbattuto.

Il Sednor lo girava, delicatamente gli slacciava l'elmo e il sottogola.

Del sangue gli colava dalla fronte e il volto era pallido.

Poi sentì tossire, sputare, urlare frasi irripetibili.

Andò di corsa verso di lui e l'abbracciò: temeva di averlo perso per sempre, invece era salvo. Almeno lui lo era.

Ancora confuso e dolorante per i colpi ricevuti nella caduta, Thorball si mise a sedere.

Per prima cosa, fissando Baliji negli occhi, domandò:

"Fredrik, dov'è Fredrik!".

Quando seppe la verità dal suo Compagno di Disgelo, chiese la spada, cercò di rimettersi in piedi, ma le gambe gli cedettero e incespicò.

Era troppo debole, non poteva ancora farcela.

La lotta, il rapimento, la ferita alla testa, le ammaccature sul corpo e la violenta caduta l'avevano provato più di quello che potesse credere in un primo momento.

Non potendo fare altro che riprendere un poco le forze, si sedette sconsolato e Baliji gli rimase accanto.

Non riuscì più a staccarsi dal suo fianco: aveva veramente temuto di averli persi entrambi e questa volta per sempre.

Si sentì vulnerabile, sciocco, debole: come avrebbe mai potuto sconfiggere un tale odio implacabile?

Poi pensò a Mirta, al bimbo che cresceva nel suo ventre, a suo figlio, faticosamente si fece forza e si rimise in piedi.

Porse una mano a Thorball, per aiutarlo a sua volta a rimettersi in piedi.

Il piccolo Varego vacillò, si tenne la testa, Radice lo sostenne da dietro, lo aiutò a rimanere ritto.

Baliji, vergognandosi per essersi lasciato ingannare con tanta facilità, non osò incrociare lo sguardo del Sednor e guardò la foresta dove erano spariti i fuggiaschi. La schermaglia era terminata, i giganti di Ghiaccio erano stati distrutti e i Tumbà e le Yaonai già tornavano indietro per aiutare i feriti, ma intanto Fredrik era scomparso nel nulla ed era in mano a Karahì.

Un dolore sordo e incomprensibile gli opprimeva il petto.

Un senso d'impotenza, potentissimo, gli toglieva il fiato.

ll suo amico, il compagno di giochi dell'unico periodo felice della sua vita, gli era stato strappato con una crudeltà e una violenza tale, da non essere stato capace di prevedere una possibilità del genere.

Una parte del suo essere, era sparita improvvisamente.

Era stata strappata via, assieme a Fredrik.

Impotente e arrabbiato con se stesso per esserselo fatto portare via in quel modo, Baliji si guardò la mano destra, la sollevò al cielo e urlò:

"Te la dono! Ti prego, ridammelo!", ma l'unica risposta che ottenne dalla coltre di nuvole che li sovrastava, fu il sordo brontolio di un tuono in lontananza.

Con molta delicatezza Faggiola lo raggiunse e gli disse che dovevano andare, che non potevano tardare oltre per cercare riparo.

Ancora sconvolto Baliji si voltò verso la Yaonai, con la rabbia dipinta in volto l'affrontò.

Mancò poco che non la colpisse:

Come osava pensare che lui potesse abbandonare Fredrik!

Poi, poco alla volta ritornò in sé, i fumi dello smarrimento e della rabbia si diradarono nella ragione che vi era negli occhi sereni di Faggiola e vide i volti di coloro che gli stavano attorno.

I Tumbà rimasti, Gabriel, Felice, giovani e feriti, che si aspettavano che lui li guidasse; i lamenti delle Yaonai che lo avevano difeso, ferite stese a terra; Faggiola, fiera e indomita, ancora al suo fianco nonostante tutto; Thorball, ferito e barcollante mentre raccoglieva spada e scudo; Radice, solido come una roccia, che non osava giudicarlo nonostante fremesse per andare avanti.

Tutti guardavano a lui e tutti quegli sguardi lo fecero vergognare.

Avevano ragione loro.

Che gli piacesse o meno aveva una missione da compiere e avrebbe dovuto portarla avanti in qualunque modo.

Davanti a tutto questo, Fredrik, il suo dolore, l'amicizia, passavano in secondo piano.

Si rivolse a Faggiola:"Reverenda Madre, cosa credi che gli faranno?".

Era disperato e lei lo comprese.

La Yaonai chiuse gli occhi per un momento. Confusa, non seppe cosa rispondergli. Giungendole in soccorso, per lei parlò Radice:

"Forse vuole ricattarti, forse Karahì proporrà una scambio" disse al cugino.

"Con Gioturna?" rispose lui senza pensare alle conseguenze di quello che stava per dire "Sa che non potrei accettare; nemmeno volessi, potrei".

Poi, quasi come si stesse ascoltando mentre parlava, improvvisamente tacque.

Mentre pronunciò quelle parole, capì che avevano il suono di una condanna a morte per il suo amico e si rammaricò di averle dette.

Avesse potuto si sarebbe morso la lingua piuttosto che ripeterle, eppure era tardi, ormai l'aveva fatto.

Sentì su di sé lo sguardo disperato di Thorball.

Al pari suo anche lui soffriva, ne era certo, e ora lo giudicava per le sue parole.

Non osò guardare negli occhi nemmeno lui, perché ambedue sapevano cosa volessero significare per il loro comune amico.

Thorball, in Varego, parlò. La sua voce era stanca e sommessa, quasi supplichevole:

"Permettimi di andare a cercarlo. Tu non puoi farlo, ma io sì. Ti prego, Aldaberon, scioglimi dal vincolo che mi lega a te. Lo seguirò io per tutti e due".

Sentirsi chiamare ancora in quel modo dal suo Compagno di Disgelo, per Baliji fu come ricevere una frustata in pieno volto.

Sapeva cosa voleva dire, anche se era da tanto tempo che non sentiva quelle parole. Quanti anni erano passati da allora, da quando, ancora bambini, tutti e tre si giurarono reciprocamente fedeltà, in vita e in morte.

Le leggi Vareghe sono dure, terribili alle volte:

se due Compagni di Disgelo sono in pericolo contemporaneamente, se ne può aiutare solamente uno, il primo a cui si porta soccorso.

Lui aveva potuto salvare Thorball, ma Thorball non avrebbe potuto andare a salvare Fredrik se non fosse andato anche Baliji.

Thorball era legato a lui, al giuramento che entrambi si fecero da bambini, era legato indissolubilmente a stare al suo fianco fino alla morte.

Nemmeno volendo, Thorball avrebbe potuto andare a cercare Fredrik, senza il consenso del Compagno di Disgelo.

Solamente Baliji avrebbe potuto sciogliere il nodo che li legava fin dall'infanzia e lasciarlo libero di andare a soccorrere il comune amico, ma lasciarlo andare, lasciarlo libero di fare quello che desiderava, avrebbe voluto dire perdere anche lui.

Fu tentato di negargli il permesso, di dirgli di no e tenerlo accanto a sé; in fondo sarebbe stato facile, sarebbe bastato non rispondere, ma Thorball l'avrebbe odiato per questo, lo sapeva, perché erano dello stesso sangue e lui stesso l'avrebbe fatto.

La tentazione di tacere fu forte, eppure, dopo un lungo momento d'indecisione, glielo diede, annuì appena, voleva che anche Fredrik potesse ancora avere una possibilità che lui non poteva dargli.

Gli strinse le braccia. Thorball era ancora debole e malfermo sulle gambe, però gli sorrise.

"Felice e Gabriel verranno con te, amico mio. Se la Reverenda Madre è d'accordo, anche una Yaonai vi guiderà" gli disse Baliji guardandolo dritto negli occhi.

Faggiola accennò il consenso di fare come il Gopanda le aveva chiesto.

A un suo gesto, una Yaonai si portò vicino ai due Tumbà, già pronti a partire con il Varego.

Baliji la ringraziò:

"Noi andremo al vulcano" disse per accomiatarsi dall'amico "Se non trovate Fredrik prima di sera, tornate al villaggio e seguite Mirta verso i Monti Anunna".

Thorball raccolse l'elmo e se lo pose in testa. Dopo un cenno veloce, senza dire altro si voltò e, ancora barcollante, seguì la traccia lasciata dai fuggitivi.

Dopo un rapido saluto a Faggiola, la Yaonai e i due Tumbà lo seguirono di corsa.

Quando la piccola combriccola sparì tra gli alberi, Faggiola si avvicinò a Baliji.

"Mio signore, si fa tardi. Tra non molto pioverà" gli disse e lui sapeva che diceva il vero.

Alzò gli occhi al cielo, avrebbe piovuto anche su Thorball e Fredrik e loro non sarebbero stati al coperto.

Poi c'erano i Tumbà morti e le Yaonai ferite; non poteva abbandonare anche loro, avevano combattuto per lui e ora erano stesi a terra senza nessuno che badasse ai loro corpi.

Lei, come se avesse intuito i suoi pensieri, lo rassicurò:

"Ci sono dei rifugi nella foresta. Ai morti e alle nostre Sorelle ferite, penseranno le Schegge, non temere".

A malincuore dovette arrendersi.

Il pennacchio del vulcano era quasi sopra di loro, li sormontava minaccioso come se volesse crollargli addosso da un momento all'altro.

Un sordo brontolio uscì dal suo cono come se lo invitasse a raggiungerlo.

Pareva sfidarlo ad andare da lui.

Lo voleva, lo chiamava.

Baliji lo guardò, se era lì che doveva terminare la sua corsa, ebbene, che fosse.

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