5e) LA GROTTA


Rincuorato da quella vista, Neko avvisò gli altri.

Uno a uno Tumbà e Yaonai si passarono la notizia fino in fondo alla coda, ma faceva troppo freddo per essere felici e non ci furono grida di giubilo.

Allungò il passo e distanziò la colonna.

Ormai poteva lasciarli, non potevano più perdersi.

Inoltre voleva arrivare per primo alla grotta e controllare che tutto fosse tranquillo, perché qualcosa non lo convinceva.

Nonostante la stanchezza che sentiva fiaccargli la resistenza, doveva essere prudente per se stesso e per gli altri.

Non potevano correre rischi inutili proprio adesso, che erano arrivati così vicini al successo.

Si stupiva di non essere stato avvistato da una sentinella e questo lo preoccupò.

Non chiamò, posò con cautela il bastone da viaggio contro la roccia accanto all'ingresso, sfoderò la scimitarra e si preparò a entrare nella grotta sperando di sbagliarsi.

Quando il Varego oltrepassò la tenda sollevando all'improvviso il tessuto, vide i quattro fratelli indaffarati.

Erano tranquilli, quasi fossero ancora nel villaggio della palude.

Dentro vi era un piacevole tepore.

Gero e Vizzo ammucchiavano legname accanto al fuoco, Salvo rimestava dentro un paiolo fumante, mentre Turlo allineava foglie e frasche per la notte.

I Tumbà si spaventarono quando lo videro comparire all'improvviso dal nulla, non erano pronti a vederselo sbucare davanti in quel modo e sopratutto non si aspettavano di vederlo arrivare così presto.

Si erano lasciati sorprendere, nemmeno avevano avuto il tempo di portare le mani ai gambali per sfilare i coltellacci, che già lui gli era addosso.

Non l'avevano sentito arrivare, il sibilo del vento aveva coperto il rumore dei suoi passi e loro non avevano pensato di mettere qualcuno di guardia.

Avevano commesso una leggerezza che avrebbe potuto costargli molto cara.

Neko avrebbe dovuto arrabbiarsi con loro, riprenderli e punirli, ma era troppo felice per farlo per davvero.

"Voi siete pazzi!" gli disse invece di botto.

Sospirando di sollievo, li abbracciò uno a uno e li avvisò di fare altro spazio. Rinfoderò la spada appena in tempo per vedere il volto di Viggo affacciarsi oltre le tende. Era livido, esausto e al limite del congelamento. I capelli e le sopracciglia del Tumbà erano bianche di ghiaccio.

Le mani erano viola, tremava dalla testa ai piedi e faticava a camminare ancora.

Solo allora Neko si accorse delle condizioni disperate dei suoi compagni.

Era un miracolo che quell'uomo fosse giunto vivo fino alla caverna.

Andò all'ingresso per aiutarlo a entrare.

Subito dopo a Viggo arrivarono Mono, Lepro, Giunco e Senno.

Tutti quanti erano allo stremo delle forze. All'esterno non avrebbero più retto molto, senza crollare.

Dentro al rifugio il focolare dava luce e i Tumbà vi si diressero immediatamente, attirati dal tepore che emanava come farfalle alla fiamma.

Si spostarono verso il fuoco senza nemmeno salutare i loro compari, le mani tese a scaldarsi.

Vedendo le loro condizioni disperate, i quattro fratelli si fecero da parte.

Per lasciargli più spazio accanto al fuoco stavano andando verso il Grande Vecchio, quando videro entrare Pino Argentato dalla tenda di giunco.

Non si aspettavano che ci fosse altra gente assieme ai loro compagni, tanto meno una Yaonai.

Si bloccarono nel vederla, sorpresi forse più di lei della presenza nel medesimo luogo di Yaonai e uomini, mentre Neko prese per mano la moglie e la fece entrare al caldo.

"Ragazzi, questa è mia moglie, Pino Argentato..." disse agli increduli Tumbà "... e queste sono le mie figlie" aggiunse attendendole una alla volta sulla soglia e porgendo la mano alle nuove arrivate quando comparivano all'interno della grotta. Le ragazze, appena entrate, si guardarono attorno, preoccupate per le occhiate sorprese dei loro ospiti che si ritrassero sconcertati.

Essendo Yaonai, meglio vestite e più abituate al freddo degli uomini che le avevano precedute, parevano meno provate dei Tumbà.

Erano pallide e affaticate, ma nemmeno un grammo della fierezza Yaonai era andato perduto nei loro sguardi.

Benché su al ponte avessero lavorato insieme agli uomini, ora, allo stretto, a disagio per il fumo e il fuoco, le antiche diffidenze ritornarono immediatamente e i due gruppi rimasero separati a guardarsi.

I Tumbà si riunirono da una parte, accanto al fuoco, le Yaonai dall'altra, verso l'uscita. In mezzo rimasero il Varego e la moglie a guardare ora gli uni ora gli altri, incerti su cosa fare.

Capivano ambedue le parti e la tensione che una diffidenza atavica generava gli uni verso gli altri.

Non sarebbe stato facile convincerli a restare a lungo nel medesimo spazio, se non trovavano in fretta il modo per rompere il ghiaccio .

Allora diedero l'esempio, si presero per mano e, sedendosi da un lato, fecero cenno ai loro compagni di accomodarsi.

Poco alla volta, benché titubanti, tutti si sedettero e in breve dal paiolo posto sul focolare iniziarono a circolare ciotole colme di cibo fumante.

Era quello che Neko sperava, che fame e stanchezza avessero la meglio sulla paura reciproca.

Di cibo e di riposo, ne avevano tutti tremendamente bisogno.

Tutti, indistintamente fossero Tumbà o Yaonai, dovevano riprendersi.

All'esterno la bufera infuriava.

Mettere qualcuno di guardia adesso, sarebbe stato inutile.

Raffiche di vento improvvise e violentissime minacciarono più volte di strappare le vele tese all'imboccatura, ma il lavoro dei Tumbà resse, venne rinforzato e tappato con tutto quello che era possibile.

Nonostante il fuoco acceso, il freddo divenne così intenso che restare vicino all'uscita divenne impossibile anche per le Yaonai.

Così all'interno della grotta dovettero stringersi ancora.

Uomini e Yaonai si avvicinarono gli uni alle altre in cerca di calore.

Dopo aver mangiato e bevuto, i due gruppi fecero i preparativi per il giorno dopo. Tutti sapevano che il ponte in un modo o nell'altro andava finito.

Per quanta neve potesse scendere nella notte, all'alba avrebbero dovuto raggiungere il ponte e terminarlo, perciò dovevano essere pronti ad attraversare la montagna anche con la neve alta e con il gelo.

Nonostante la scarsità di spazio, i Tumbà fecero piani, modificarono le calzature, indossarono indumenti caldi e comodi e prepararono corde e assi per il ponte.

Neko era contento di vedere che nonostante tutto, il morale che li animava continuasse a essere alto.

Così come era fiero delle sue figlie, del modo in cui avevano lavorato con i Tumbà e di come avevano saputo resistere alle avversità.

I quattro fratelli rimasti nel riparo, avevano fatto un buon lavoro lungo il fiume.

Erano riusciti a smontare pezzo a pezzo la barca e avevano portato le assi dello scafo alla grotta.

Non avevano lasciato nulla al fiume; trascinarono a riva il relitto e lavorarono senza sosta finché non ebbero terminato ogni cosa.

In pochi viaggi trasportarono tutto in alto ed ebbero ancora tempo per pulire la grotta e renderla vivibile.

Quando videro che il tempo volgeva al peggio rimasero all'interno, fecero il riparo, accesero il fuoco e attesero l'arrivo dei compagni preparando una cena calda.

Anche Pino Argentato era soddisfatta delle sue figlie.

Al ponte avevano saputo lottare insieme e ora, superato l'imbarazzo iniziale, accettavano il cibo degli uomini e dispensavano ai meno esperti compagni di avventura, consigli su come proteggersi dal freddo.

Le deformità fisiche dei ragazzi non le turbavano e ora lavoravano fianco a fianco, gli uni agli altri in armonia.

In quella grotta vi era la pace.

Nonostante tutto il mondo fuori stesse impazzendo, in quello spazio angusto si respirava la speranza che qualcosa fosse ancora normale.

Marito e moglie erano fieri di tutti loro.

Se solo questo potesse essere vero.

Sentendo l'ululato del vento, Neko pensò a dove potessero essere Baliji e Scorza.

Era dalla mattina che non ne sapeva più nulla.

Si domandò se avessero incontrato dei superstiti, se fossero al sicuro o se avessero avuto dei problemi con la bufera che sicuramente li avrà raggiunti.

"Sai qualcosa del mio pupillo?" domandò alla moglie, ma lei scosse la testa.

"Siamo venute a cercarti appena Faggiola ci ha chiamate, ma non sappiamo nulla di lui. Mi dispiace" fu la risposta che gli diede la sua sposa.

Allorché Neko si accorse che qualcosa non andava.

La Yaonai che aveva sposato molti anni prima era triste; nonostante la sua bellezza fosse intatta come il primo, lontano, giorno che la vide, ora appariva stanca e delusa.

Il Varego le strinse la mano e le fece coraggio.

"Mia cara" le disse "Dimmi cosa ti preoccupa".

Lei gli sorrise debolmente e acconsentì alla sua richiesta.

Nonostante tutto, quel Varego riusciva ancora a sorprenderla, di quando in quando.

"Mi conosci dunque così a fondo, da cercare di sorreggermi sebbene sia venuta io per sorreggere te?" gli rispose "Allora sia come vuoi... Ti dirò quello che mi angoscia".

Con somma gioia di Neko che non desiderava nulla di meglio che avere notizie di casa, la Yaonai iniziò a narrare.

Gli disse tutto quello che successe da quando lui partì per il Sud, accompagnandosi con Fredrik e Thorball.

Sopratutto gli narrò di quanto fosse resistente la moglie di Fredrik e di quanto Vandea fosse preoccupata per la sorte del marito.

Sebbene non lo amasse, rispettava molto quel ragazzo.

Sapeva che per lei aveva trovato il coraggio di abbandonare tutto e per questo gli era grata.

Inoltre, era un buon marito e un buon padre per tutti i suoi figli.

Raccontò a Neko di quanto i figli di quella donna avessero riportato il sorriso nella foresta e di quanto le mancassero, ora che erano distanti.

Vandea le aveva raccontato tutto, dei gemelli avuti da Aldaberon e del matrimonio riparatore con il suo Compagno di Disgelo.

Come donna e come Varega era dispiaciuta del male che aveva fatto a quei ragazzi e sperava che un giorno potessero perdonarla, ma nel frattempo lottava come una lupa per il bene dei suoi figli. Era forte, determinata, con una gran voglia di sopravvivere.

Si abituò in fretta alla vita della foresta e fece il possibile per meritare il rispetto suo e delle loro undici figlie, lavorando dalla mattina alla sera per rendersi utile.

Quando Pino Argentato le disse dell'arrivo di Karahì e della loro imminente partenza, non batté ciglio e fu irremovibile nel voler rimanere dove si trovavano.

Come donna Varega conosceva bene l'inverno e non temeva la guerra.

"In fondo non può essere peggio che sopravvivere al freddo Varego" le disse sinceramente e Pino Argentato non poté che darle ragione.

Nemmeno volle sentire parlare di ritornare al suo villaggio, quando le Yaonai si apprestarono a partire.

Vandea preferì restare sola con i figli nella foresta, piuttosto che ritornare a delle tradizioni che non riconosceva più e che non voleva che i piccoli seguissero.

"Una volta le ho accettate per paura e per quella mia scelta, ho fatto soffrire chi non aveva colpe. Non commetterò una seconda volta il medesimo sbaglio" disse un giorno a Pino Argentato.

Aveva sbagliato e lo sapeva, aveva fatto di tutto per rispettarle e aveva fatto soffrire chi amava.

Con il tempo aveva pagato per il suo sbaglio, ma per i Vareghi, ne era certa, questo suo sacrificio non sarebbe bastato.

Nessuno l'avrebbe aiutata, inoltre al villaggio sarebbe stata solo un peso per la gente della sua Casa.

I genitori erano morti, i parenti l'avevano ripudiata, di tutta la Casa del Mirto nessuno l'avrebbe cercata.

La solidarietà Varega non valeva per lei e per i figli che aveva procreato con un Sanzara.

Erano fuori, cancellati, dimenticati.

Per la loro gente erano dei traditori e lei era troppo orgogliosa da voler tornare indietro, strisciando per ottenere il loro perdono.

Avevano viveri a sufficienza, vestiti, un fuoco e un riparo sicuro dove i Ka-ranta di Karahì non avrebbero potuto arrivare, però, ora, ugualmente la Yaonai era preoccupata per la loro sorte.

Si era affezionata a quei bambini, a quella donna Varega così orgogliosa e dura, che onorava il suo sbaglio rispettando il marito lontano.

Pino Argentato sperava di restare per proteggerli, invece aveva dovuto venire al Sud assieme alle figlie.

Faggiola aveva chiamato e come Yaonai, non avevano potuto negarsi al suo comando.

Erano partite tutte quante, lei e le figlie.

A malincuore aveva obbedito alla Reverenda Madre e ora che l'aveva fatto, era preoccupata per quei bambini rimasti nella foresta con la madre.

"Quando tutto questo sarà terminato, torneremo a cercarli" le promise Neko e vide comparire un sorriso sul suo volto "Li ritroveremo, vedrai", cercò di farle coraggio, dandole delle affettuose pacche sul dorso della mano.

Lei annuì malinconica, ben cosciente di quanto fosse remota la possibilità che potessero fare come il marito le aveva detto.

Talmente tanti sarebbero stati i pericoli da affrontare nei prossimi giorni e così poche le probabilità di fermare Karahì, che non volle illudersi, ma per non deludere il marito, si fece forza.

I ricordi e il passato erano un lusso che in tempo di guerra non ci si poteva concedere troppo a lungo e lei ne era consapevole.

C'erano altre cose più urgenti da preparare, così,Pino Argentato e Neko, si rimisero al lavoro e insieme fecero dei piani per il giorno dopo.

Una volta stabilito cos'era meglio fare, Neko distribuì i compiti.

Si alzò in piedi e, schiarendosi la voce, parlò a tutti attirandone l'attenzione:

"Ascoltatemi bene, questo sarà quello che faremo domani..." iniziò a dire, quando tutti furono attenti a quello che doveva comunicargli.

Nessuno sarebbe rimasto al campo, ognuno avrebbe avuto un pacco di corde e assi da portare fino al ponte.

I più forti avrebbero aperto la strada agli altri.

Viggo e i quattro fratelli Gero, Vizzo, Salvo e Turlo, in quanto più esperti a fare nodi e meno adatti a portare pesi, sarebbero rimasti in alto, gli altri avrebbero trasportato i materiali.

Le Yaonai, aiutate da quelle che già si trovavano dall'altra parte, avrebbero fatto la guardia alle due sponde del precipizio, sperando di passare inosservate a Karahì e ai suoi mostri.

"Questo è tutto" disse infine "Mangiate, bevete, riposatevi o preparate quello che vi serve, perché domani sarà un giorno molto faticoso per tutti", concluse tornando a sedersi al fianco della moglie. Nessuno dei presenti si lamentò per quello che udì.

Ascoltarono attentamente le parole del loro capo e si rimisero all'opera in quello che stavano facendo.

Terminati i preparativi, poco per volta nella grotta scese il silenzio.

Il vento, il freddo e la stanchezza per il giorno lungo ed estenuante, ebbero la meglio su tutti.

Chi poté si stese sui giacigli, gli altri si appoggiarono alle pareti di roccia o seguitarono a lavorare, finché non crollarono in un sonno pesante e agitato.

Quella notte fecero i turni per dormire.

I giacigli non sarebbero bastati per tutti, inoltre lo spazio a disposizione era poco e le cose da preparare ancora molte.

Non ci furono discussioni tra chi dovesse riposare e chi lavorare, uomini e Yaonai di comune accordo si mescolarono gli uni agli altri e al mattino del giorno seguente, tutti poterono dire di aver riposato in egual misura.

Nella notte la bufera si placò, poco alla volta il vento divenne meno violento e le raffiche, prima dell'alba, cessarono del tutto.

Quando il primo bagliore del sole rischiarò le tende che li avevano protetti dal gelo, Neko si alzò e andò a vedere il nuovo giorno.

Una volta fuori, si toccò la fronte, come ogni mattina.

L'aria era frizzante, limpida e luminosa, ma non gelida come temeva.

Nella notte aveva nevicato parecchio.

Tutto attorno alla grotta, ogni cosa era seppellita sotto a una coltre di neve alta fino al ginocchio, dura e scintillante al sole da fare male agli occhi.

Sarebbe stato un problema arrampicarsi lungo il sentiero.

Uscì ancora di qualche passò e provò a camminarci sopra.

La coltre gelata scricchiolò, si ruppe, ma il freddo notturno l'aveva resa abbastanza compatta da reggere il suo peso.

"Poteva andare peggio" pensò tra sé.

Arrivare al ponte sarebbe stato difficile, eppure avrebbero dovuto farlo lo stesso.

La strada doveva essere mantenuta sgombra e agibile in ogni momento, sempre, giorno e notte, addirittura migliorata se possibile.

Per nessun motivo dovevano lasciarla incustodita.

Tornò indietro, diede la sveglia a tutti. Il fato benevolo gli concedeva alcune ore di sole e dovevano approfittarne finché durava.

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