5a) DELUSIONE


Neko spinse dentro alla grotta i Tumbà.

Era inutile perdere altro tempo, dovevano ancora prepararsi per la partenza e sarebbe stata una dura giornata per tutti.

Aveva già un'idea di come suddividere i gruppi e la espose con poche parole ai nove ragazzi che non aspettavano altro che sapere quello che dovevano fare.

Al rifugio sarebbe rimasto il suo equipaggio.

I quattro fratelli Gero, Vizzo, Salvo e Turlo, con i loro petti schiacciati e il fiato corto, non erano adatti alla fatica alla quale li avrebbe esposti una scalata.

Gli erano stati devoti fin dall'inizio e aveva fiducia in loro, però non poteva mettere a repentaglio la loro vita in qualcosa di inutilmente pericoloso.

Avrebbero cercato legna, cibo e acqua per tutti. Avrebbero pulito la grotta e preparato giacigli comodi per i loro compagni.

Inoltre sarebbero tornati alla barca, l'avrebbero smantellata pezzo a pezzo e avrebbero portato ogni cosa alla grotta.

Gli altri invece, il vecchio Viggo, Giunco, Mono, Senno e Lepro, sarebbero andati con lui a cercare il passaggio di Aldaberon sui monti, lungo il fiume.

Non erano molti, però era tutto quello di cui disponeva e doveva farseli bastare.

Inoltre avevano solo pochi giorni per trovare il passaggio, costruire un ponte abbastanza sicuro da essere attraversato e non aveva la minima idea di come fare sia l'una che l'altra cosa.

Di una cosa sola, Neko era certo: avrebbero dovuto essere veloci e improvvisare. Avrebbero dovuto essere uniti, perché solo agendo come un solo uomo avrebbero potuto riuscire nel loro intento.

Per fortuna quei ragazzi erano Tumbà e queste cose il loro popolo le faceva da secoli. Nelle difficoltà i loro antenati avevano sempre saputo unirsi e prosperare a dispetto di tutto e di tutti.

Sotto questo aspetto quegli esseri sfortunati erano molto simili ai Vareghi e Neko era fiero di loro.

Era certo che, anche con le loro menomazioni, avrebbero fatto di tutto per riuscire in quello che si aspettava che facessero e l'avrebbero fatto al meglio delle proprie possibilità.

Allora fu breve e conciso.

Con poche parole disse solo le cose principali e cercò di non mostrarsi incerto nel manifestare le proprie intenzioni.

Non perse tempo in preamboli inutili, non mascherò la realtà e non cercò scuse.

Non diede false speranze e fu lieto di vedere che i Tumbà non ne volevano. Nemmeno loro si facevano illusioni.

Sapevano perfettamente a cosa sarebbero andati incontro se Baliji avesse fallito e non avevano bisogno di incitamenti per mettersi all'opera.

Erano giovani ed entusiasti, fieri di essere utili e, con sua somma sorpresa, molto più ottimisti di quanto non fosse lui in quel momento.

Avevano la fresca speranza dell'innocenza e mentre parlava, poco per volta, con i loro sorrisi soddisfatti per le fatiche immani che li attendevano da li a poco, riuscirono a trasmettergliela.

Almeno in parte sollevato dal loro entusiasmo e rinfrancato sulla reale possibilità che potessero farcela, l'anziano Varego assegnò i compiti e non appena ebbe finito, i nove Tumbà si mossero.

Dopo nemmeno un quarto d'ora i due gruppi si separarono.

Per primi partirono i quattro fratelli, andando verso il luogo dove avevano lasciato la sera prima Nekoi.

Scesero a valle scivolando sulla neve, mentre Neko e gli altri li tennero d'occhio fino a quando non arrivarono indenni sulle prime rocce umide di pioggia.

Dopo un rapido saluto i quattro sparirono veloci seguendo il corso del fiume, poi anche gli altri si prepararono per partire.

I cinque Tumbà si caricarono sulla schiena tutte le corde che poterono e attesero che il Grande Vecchio li precedesse.

Neko si mise arco e faretra sulla schiena e andò per primo.

Confidava di usarlo presto.

Aiutandosi con il bastone da viaggio, un passo alla volta si inerpicò su crinali mai battuti, trovò passaggi sicuri, ma ben presto si rese conto che salire su quei monti sarebbe stato più pericoloso di quello che pensava.

Con il gelo notturno le rocce erano diventate infide e a ogni passo i Tumbà rischiavano di cadere in basso.

La neve le aveva coperte di una patina che nella notte era ghiacciata e che ora il sole faticava a sciogliere.

Quando passava lui per primo, sotto il piede la sentiva cedevole e ruvida, ma una volta calpestata diventava dura e fondeva lentamente.

Le calzature Tumbà, ideali per la foresta e per muoversi silenziosi sul terreno morbido, sulle rocce scivolose si rivelarono fin da subito poco pratiche e sicure. Perdevano facilmente aderenza sul ghiaccio e si laceravano sulle asperità.

Era un problema a cui Neko non aveva pensato e mentre vedeva i suoi uomini faticare inutilmente, si diede dello sciocco.

Era un problema serio, nei giorni a venire avrebbero dovuto trovare una soluzione anche a quello, ma ora non avevano scelta e dovevano proseguire con quello che avevano.

Ben presto ogni passo divenne un'insidia rischiosa.

Dovettero procedere con cautela e questo rallentò la loro marcia.

Eppure, nonostante le difficoltà alla quali non erano pronti, i Tumbà proseguirono lenti senza mai lamentarsi una sola volta, scalarono il pendio seguendo Neko e dopo non molto tempo dalla partenza dalla grotta, i loro sforzi furono ripagati: arrivati su di un piccolo pianoro, udirono il fragore del fiume rimbombare sulle rocce e non pareva distante.

Come sperava Neko il Sardon non era lontano dal loro rifugio e, nello scoprirlo, tirò un sospiro di sollievo.

Sapeva che prima di sera avrebbero avuto necessità della grotta e saperla vicina era già una buona notizia.

Rincuorati dalla scoperta, Neko e i suoi proseguirono con maggiore lena e quando raggiunsero le rive a strapiombo del fiume, videro che Faggiola li aveva guidati molto più a monte di quello che pensavano.

Le sponde del Sardon si stringevano davanti a i loro occhi e cadevano a picco, sia da una parte che dall'altra, verso il precipizio.

Si fermarono ad alcuni passi dal bordo e stirando il collo guardarono di sotto.

Dieci metri più in basso a dove si trovavano, le acque del fiume ribollivano contro le rocce come volessero strapparle via con la loro furia.

La violenza che aveva l'acqua nello sbattere contro la roccia era impressionante, martellava incessantemente le pareti con il fragore di un tuono furioso.

I Tumbà erano al tempo stesso attratti e intimoriti da tanta furia.

Mai nella loro vita avevano udito un tale frastuono e un passo alla volta si avvicinarono al bordo.

Ma Neko, temendo per la loro vita:

"Fermi! State indietro!" ordinò a tutti, parandosi tra loro e il precipizio.

Per quanto fosse necessario andare a vedere più da vicino, se qualcuno di quei ragazzi fosse caduto di sotto, nessuno avrebbe potuto fare nulla per salvarlo. Sarebbe andato lui, da solo.

Si legò una corda a vita e ne affidò un capo ai Tumbà, poi, con cautela si avventurò verso il ciglio scivoloso.

Quando vi arrivò, sbirciò di sotto e dall'altra parte. Quello che vide non lo rincuorò. Per quanto fossero più vicine di quanto sperasse, le rive distavano ancora non meno di trenta metri l'una dall'altra, inoltre scarsi appigli parevano abbastanza forti da essere affidabili per sostenere il peso di un ponte.

Solo pochi alberi contorti e provati dalle intemperie resistevano aggrappati alle rocce, ma erano deboli tanto quanto le radici che li univano alla parete.

Nessuno di loro era abbastanza forte da resistere a lungo.

Troppo rischioso, troppi dubbi. Impossibile passare in quel punto e inutile perdere altro tempo.

Neko si guardò attorno.

Era deluso da quello che vedeva e non restava che proseguire. Tornò indietro e disse quello che aveva visto ai Tumbà.

Quelli annuirono, pronti a muoversi al suo comando.

Decise di passare distante dal precipizio, approfittando della neve alta che il sole appena spuntato oltre il crinale non aveva ancora resa molle. Dura e compatta scricchiolava sotto i piedi rendendo meno faticoso muoversi.

Neko era certo di non essere ancora arrivato al passaggio di cui parlava Aldaberon, ma almeno questo era un inizio.

Si mossero rapidi, risalendo lungo la gola.

Si inerpicarono lungo la corrente del fiume approfittando delle abbondanti zone d'ombra che ancora il sole non aveva raggiunto e in questo modo progredirono alla svelta.

Camminarono sulla neve compatta per una buona ora prima che la luce del sole li raggiungesse e per allora arrivarono in vista del passaggio che cercavano.

Appena lo vide, Neko seppe di aver trovato il passaggio di Aldaberon.

Era lui, ne era certo, era esattamente come l'aveva descritto Lilith e non appena lo scorse in lontananza, fu subito certo che quella non fosse una strada praticabile per i Tumbà.

Quello che avrebbe dovuto essere un sentiero, in realtà era appena una traccia nella roccia, troppo ripida, troppo stretta per essere seguito da gente non esperta.

Sebbene controvoglia e sospirando tutta la sua delusione, dovette ammettere a se stesso di non poterlo usare.

Nessuno avrebbe potuto risalirlo d'inverno.

Nemmeno un Varego abituato alle scogliere delle terre del Nord avrebbe potuto scalarlo in quella stagione.

Era in alto, almeno cento metri sopra le loro teste, impervio e stretto, pareva più un passaggio per capre che un sentiero vero e proprio.

Era appena un graffio scavato nella parete a strapiombo che li sovrastava e conduceva verso a una strettoia bianca di neve lungo il fiume.

Proprio come aveva detto Lilith, in quel punto le rive distavano non più di una decina di metri l'una dall'altra, ma arrivarci in quelle condizioni era impensabile.

La montagna davanti a loro era scintillante sotto il sole mattutino e poco alla volta si rischiarava rivelando ai loro occhi sempre maggiori particolari di quella parete ripida e scoscesa.

Tra i Tumbà nessuno parlò.

Ammutoliti davanti alla grandezza della montagna che avrebbero dovuto scalare, gli uomini della palude preferirono tacere del loro fallimento, sebbene la verità fosse chiara a tutti: era inaccessibile.

Il ghiaccio lo ricopriva da cima a fondo. La pendenza era eccessiva, la parete era troppo liscia per offrire appigli sicuri e rocce pericolosamente sporgenti pendevano dall'alto proprio sopra al passaggio.

Solo un folle avrebbe tentato di arrampicarsi lassù in inverno.

Scuotendo la testa, dovettero ammettere di essere stati sconfitti.

Avevano perso soltanto tempo prezioso.

Anche Neko dovette ammettere di aver osato troppo, questa volta.

Era stato tutto inutile e lo sconforto del mattino ritornò e si impossessò di lui.

Era impossibile passare da quella parte.

Solo un pazzo avrebbe pensato di portare gente che non aveva mai visto in vita sua una montagna, su una parete a picco ricoperta di ghiaccio in pieno inverno.

Aveva avuto ragione la Yaonai e giudicarla impraticabile.

Era stata una delusione per tutti, per riuscire a passare da quella parte avrebbero avuto bisogno di un'altra stagione, di mezzi, di materiali che non avevano, di molto lavoro e tempo, di tanto, tanto tempo.

Eppure loro non ne avevano più di tempo: dovevano trovare un punto dove costruire un ponte e dovevano farlo alla svelta.

L'unica cosa da fare era andare avanti e cercare qualcos'altro, ma i Tumbà, forse comprendendo le sue intenzioni, gli si strinsero attorno.

La prospettiva di arrampicarsi ancora lungo quelle rocce scivolose era stampata nelle espressioni sbigottite di quei ragazzi abituati alla palude e glielo fecero capire guardandolo impauriti.

Neko lo comprese e annuì.

Come dargli torto.

In fondo nemmeno lui se la sentiva di proseguire ancora.

Così, per quanto a malincuore dovesse ammettere la sconfitta, diede l'ordine di tornare indietro.

Avrebbero cercato un punto accessibile più a valle, ma dovevano fare in fretta.

Non era ancora mezzogiorno e già le cime degli Anunna si stavano rapidamente coprendo di nuvole minacciose e in quella stagione voleva dire una cosa sola: entro sera avrebbe ripreso a nevicare e per allora avrebbero dovuto tornare al rifugio.

Per quel giorno restavano soltanto poche ore di tempo asciutto e non voleva sprecarle per nessun motivo.

Dovevano trovare un posto adatto per costruire un ponte e dovevano farlo in fretta...

iniziava a detestarla quella parola.

Baliji, la Signora della Palude, tutti quanti coloro che avevano fiducia in lui, si aspettavano che riuscisse e non voleva deluderli.

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