4d) AGGUATO MORTALE


Approfittando della calma del momento, Baliji mise al corrente Faggiola dell'incontro avuto la notte precedente con i suoi avi nel Mondo degli Antichi Padri e la donna parve molto lieta nell'apprendere che le Yaonai non sarebbero state sole ad attendere l'arrivo di Karahì.

Per quanto il suo volto non mostrasse emozioni, una sottile ruga che le attraversava la fronte, quando lo apprese, si distese impercettibilmente.

Il gruppo marciava veloce e compatto, senza mai rompere la formazione.

Faggiola restava assieme a Baliji e al Tumbà Scorza al centro e le Yaonai, nascoste nella foresta, disposte ai lati a proteggerne i fianchi.

Albero dopo albero la foresta si ripeté uguale per buona parte del tragitto e le Yaonai di scorta si fecero vedere di rado e soltanto per comunicare rapidi messaggi a Faggiola.

Per quanto li stessero difendendo, le donne pianta non diedero mai a vedere un minimo interesse per i due uomini che camminavano assieme alla Reverenda Madre e anche in quei rari momenti in cui apparivano veloci e si lasciavano individuare, non si avvicinavano mai troppo ai tre.

Il più delle volte si mostravano appena, scambiando rapidi gesti elaborati con Faggiola prima di scomparire ancora dietro un albero, un cespuglio, una roccia, veloci e inafferrabili come ombre.

Baliji notò che alcuni di quei gesti li conosceva perché erano simili a quelli usati dai Tumbà e significavano che tutto andava bene, ma altri erano a lui ignoti, non li conosceva e non ne sapeva il significato.

Più volte provò il desiderio di interrogare Faggiola sul loro significato, eppure preferì sempre tacere per non farsi notare troppo dalle altre donne della foresta, che comunque, aveva intuito, non vedevano di buon occhio la loro venuta in quelle che consideravano le terre delle Yaonai.

Con accortezza fece capire a Scorza di parlare anch'egli il meno possibile perché, benché ora fossero alleati e fronteggiassero un nemico comune, le donne non amavano la loro presenza in quel luogo e non facevano nulla per nasconderlo.

In fondo Baliji le comprendeva.

Come popolo avevano molto sofferto e ne rispettava la riservatezza, ma nonostante l'astio che gli riservavano, ugualmente le ammirava.

Non voleva offenderle e mai avrebbe osato andare accanto a una di quelle donne senza che fossero loro a volerlo.

Conosceva fin troppo bene la forza, la fredda e decisa determinazione, che le Yaonai nascondevano sotto la notevole avvenenza che le circondava per rischiare di commettere per una seconda volta uno sbaglio già commesso.

Tuttavia lo incuriosivano e prese a osservarle attentamente in quelle rare occasioni in cui si lasciavano vedere anche da loro.

Così, man mano che prese a riconoscerle, le tenne a mente una a una e durante il tragitto ne contò non meno di dieci per parte.

Erano tutte Yaonai del Nord, un po' diverse da quelle che aveva conosciuto al Sud di quelle terre, come Faggiola indossavano lunghi vestiti color muschio e un leggero corpetto metallico sopra di essi, a proteggerle il petto e lo stomaco. Al contrario della Reverenda Madre, nessuna di loro indossava il mantello Tumbà, bensì mantelli intessuti in maniera fine e delicata, di color della terra di bosco, facilmente confondibili con l'ambiente in cui vivevano.

Sebbene tutte avessero chiome tendenzialmente chiare, avevano i capelli lunghi e forti, intrecciati in modo da poterli utilizzare a mo' di fionda.

Invece che attaccata a una cinta tenuta a vita, alcune la sacca con le ghiande la portavano appesa a tracolla, mentre altre portavano allacciati sulla schiena scudi di metallo rotondi e lucenti.

Le riconobbe, erano quelle che avrebbero protetto le fromboliere, come già fecero moltissimo tempo prima.

Con un sorriso andò alla notte in cui Salice che Ride gli raccontò la Leggenda dei Sei Regni e gli parve di rivivere le cose che aveva udite narrare da sua moglie.

Quelle con lo scudo avrebbero protetto le altre. Viaggiavano in coppia e fromboliera e portatrice di scudo non si sarebbero mai separate l'una dall'altra.

Una avrebbe colpito, mentre l'altra l'avrebbe protetta con lo scudo.

Tutto uguale, tutto come allora. Dall'epoca dei Sei Regni le Yaonai non avevano cambiato nulla nelle loro tattiche di guerra e a Baliji sembrò di rivedere racconti che solo pochi mesi prima aveva creduto fossero leggende frutto di fantasia.

Credeva fossero soltanto tradizione, miti leggendari mai realmente esistiti, invece eccole qua, in carne e ossa attorno a lui, con l'unico intento di proteggerlo da un pericolo mortale e combattere al suo fianco.

Per alcune ore il gruppo procedette spedito senza che nulla venisse a turbarne la marcia.

Ormai non mancava molto al villaggio e con un poco di fortuna avrebbero potuto arrivarci prima che iniziasse a piovere.

Attraverso le fronde ormai senza foglie Baliji scrutava la tempesta che si stava avvicinando.

Come aveva detto Neko, sugli Anunna le nuvole si fecero compatte subito dopo mezzogiorno e nel primo pomeriggio già si udirono i primi tuoni.

Il sole presto scomparve, velato da nuvole alte, lunghe e sottili come dita scheletriche.

Le cime dei monti scomparvero nella foschia e lentamente nebbie cariche di pioggia scesero a valle rotolando verso il piano.

Un vento gelido e sottile portò con sé l'odore di neve delle cime e quando l'annusò, Baliji lo riconobbe subito.

Lo conosceva fin troppo bene, non poteva sbagliarsi.

Quante volte da bambino l'aveva annusato, lassù al Nord.

Era l'odore della tempesta, del freddo, del gelo che veloce e letale ti raggiungeva all'improvviso, ti stringeva nella sua morsa per non lasciarti andare più fino a stritolarti.

Seppe allora con sicurezza che sui monti alle loro spalle già nevicava ed entro breve avrebbe piovuto anche sopra di loro.

I tuoni si avvicinavano, le nuvole si tormentavano arrovellandosi l'una sull'altra spinte da correnti impetuose.

A tratti fulmini scheletrici le illuminavano per pochi attimi, facendole sobbalzare dalla tensione.

Una massa grigia e minacciosa si stendeva poco per volta sulla foresta portando il buio con sé, ma era scura, troppo scura e compatta per essere naturale.

Baliji la fissò avvicinarsi e con un balzo al cuore la riconobbe; quelle nuvole le aveva già viste una volta, sul vulcano sacro con Radice.

Quelle non erano soltanto nuvole cariche di pioggia.

Al suo fianco, anche Faggiola le riconobbe. Le fissò a sua volta. Preoccupata gli fece un cenno.

"Mio signore, andiamo, non dobbiamo fermarci. Manca poco al villaggio. Presto, dobbiamo fare presto" disse allarmata allungando il passo.

Baliji la vide mettere una ghianda nella treccia e la fece roteare a mo' di fionda.

Si era armata e un proiettile era tenuto pronto per essere lanciato.

Nell'altra mano la Yaonai stringeva una ghianda di metallo e non cessava un momento di guardarsi attorno, tesa e guardinga. Il pericolo era vicino.

Nel momento in cui avvertirono le prime gocce d'acqua cadere in terra allungarono ancora il passo, ma oramai era tardi, il temporale o quello che era li aveva raggiunti.

Quando infine la tempesta giunse sopra di loro, in pochissimo tempo si scatenò un diluvio.

Una tormenta di pioggia e vento li investì in pieno.

I fulmini improvvisamente presero a cadere a decine attorno a loro, ovunque, colpendo alberi e pietre.

L'aria si impregnò di odori forti, sgradevoli all'olfatto e alla pelle, erano ovunque.

Nell'avvertirli in modo chiaro e netto a Baliji vennero i brividi.

I Ka-ranta erano vicini, si trovavano tutto attorno al piccolo gruppo. Erano circondati.

Il bosco divenne scuro, a malapena uomini e Yaonai riuscirono a vedere chiaramente a venti passi di distanza.

Il drappello di scorta rimase dove si trovava finché fu possibile, poi, a un cenno di Faggiola, le Yaonai uscirono dai loro nascondigli e si fecero più vicine.

Venendo allo scoperto formarono un cerchio proprio attorno a Faggiola e ai due uomini, quelle con lo scudo all'esterno e le fromboliere dietro, pronte a lanciare.

L'acqua prese a cadere così fitta che anche i mantelli Tumbà non riuscirono più a trattenerla. Baliji la sentì scorrergli sulla pelle, fredda come il ghiaccio.

Scrosciava ovunque confondendo la vista, l'udito e i sensi. La paura rischiava di prendere il sopravvento.

A un certo punto a Baliji parve di udire un urlo.

Proveniva dall'alto, dalle nuvole che li sovrastavano.

Era un richiamo, una speranza, con un sobbalzo al cuore lo riconobbe, era un nome pronunciato forte e chiaro una volta, poi altre cento, mille grida e tutte insieme urlavano una parola sola:

SANZARA!

Erano loro, i Sanzara che si trovavano nel Mondo degli Antichi Padri erano con loro. Erano arrivati in tempo ed erano pronti a combattere.

Lassù c'erano suo nonno e suo padre; lottavano con lui e per lui.

A quel pensiero si aggrappò disperatamente alla paura che gli attanagliava le viscere, la strappò via, strinse più forte l'elsa della spada di Alfons e si preparò a difendersi.

A sua volta, per darsi un coraggio che faticava ad arrivare, ripeté ad alta voce il medesimo urlo di quei valorosi:

SANZARA!

Lo voleva condividere con quei prodi, perché era anche suo, lui era uno di loro.

Non sapeva se avrebbero potuto sentirlo da lassù, ma averlo fatto lo fece sentire meglio.

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