3d) I MONTI ANUNNA


Al risveglio Wal vide che aveva smesso di piovere, una pallida luce illuminava il fiume e l'aria era profumata.

Era giorno e per la prima volta dopo quasi due mesi dopo l'incendio, il cielo sopra di lui non era grigio di polvere e cenere.

Il temporale aveva ripulito l'aria e tra le nuvole gonfie di pioggia si intravedeva l'azzurro del cielo e la luce del sole.

Faceva freddo, la temperatura era scesa di parecchi gradi e il fiato si addensava in nuvole a ogni respiro che faceva.

Attorno a sé vedeva i Tumbà, dormivano ancora. Erano tutti ammassati l'uno all'altro in cerca di calore.

Aveva i muscoli del corpo doloranti e si sentiva rattrappito. Aveva bisogno di muoversi, di orinare e di mettersi qualcosa di più pesante addosso.

Si alzò facendo spostare un paio di Tumbà che nel sonno gli si erano appoggiati alle spalle, facendoli spostare su quelle altrui. Poco alla volta tutti iniziarono a svegliarsi e a muoversi. Si avvicinò al bordo della barca per orinare e mentre slacciava sul davanti mantello e pantaloni, studiò la situazione.

Ovunque c'era acqua melmosa. Il fiume si era alzato di almeno un metro e trascinava a valle terra, detriti e piccoli alberi.

Le corde avevano funzionato a dovere. La lunga pratica degli uomini della laguna nel legarle nel modo migliore, permetteva alla Nekoi di oscillare mollemente senza scossoni, tenendola nello stesso tempo lontana dalla corrente del fiume.

Nessuna di quelle che avevano usato per fissarla aveva ceduto alla furia delle acque e il legno su cui avevano passato la notte era sollevato dalla sabbia e dondolante.

La spiaggia, invasa dalla piena, era quasi del tutto inondata e sott'acqua.

Otto, forse dieci metri di riva erano stati sommersi nella notte dalla piena e ne restavano appena un paio liberi.

Oltre alla poca sabbia rimasta, c'era una striscia di ghiaia che correva lungo il fiume e oltre ancora Wal vedeva il desolato spettacolo della foresta bruciata.

Dopo la pioggia caduta nella notte, era certo che in quella zona non vi fossero più focolai nascosti sotto la cenere, però quello che restava a ricoprire il terreno era una poltiglia grigia e molle che sarebbe stata difficile da attraversare a piedi.

Alle sue spalle il fiume scorreva tumultuoso e rapido e non sarebbe stato più possibile risalirlo con la barca.

Avrebbero dovuto abbandonarla e proseguire a piedi, però i monti Anunna erano vicini ormai.

Li vedeva bene, le prime salite erano a poca distanza da loro. In alcuni tratti erano ripide e scoscese, in altri declinavano dolcemente verso l'alto di profonde valli. Evidentemente il giorno prima, impegnati come erano a non farsi travolgere dalla furia del temporale, non si erano resi conto di quanto avessero risalito velocemente il fiume e si erano avvicinati alla loro meta prima di quanto pensassero.

Annuì soddisfatto. Poche ore di marcia lungo la riva e le avrebbero raggiunte.

Nella notte in alto aveva nevicato e le cime più alte erano imbiancate, ma con piacere Wal vide che in basso lungo le pendici vi era della vegetazione.

Alla luce del sole la vedeva chiaramente, con i caldi colori autunnali che spiccavano sul grigio della cenere dilavata dalla pioggia.

Qualcosa dunque si era salvato dall'incendio. Era una bella sorpresa, dopo tanta distruzione.

Al suo fianco arrivò Neko, anche lui slacciò mantello e braghe e orinò fuori bordo.

"Hai già pensato cosa faremo oggi?" gli chiese.

"Proseguiamo a piedi. Assicuriamo la barca al meglio, smontiamo tutto quello che ci potrà essere utile e partiamo appena siamo pronti. Che ne dici?".

Il vecchio Varego, mentre risistemava pantaloni e mantello, acconsentì.

"Credo che non ci sia altra scelta, in effetti. Se ieri sera non fosse stato per la tua vista, non so cosa sarebbe successo a tutti noi", aggiunse cercando di non dare troppo peso alla cosa.

Wal, rendendosi conto dell'intenzione del Maestro, si schernì.

"Non è merito mio, ma delle Yaonai. Sono state loro a indicarmi questa spiaggia".

Vedendo la sorpresa del Maestro, comprese che come pensava anche lui non si fosse accorto di nulla e gli spiegò quello che era successo la sera prima, le sue supposizioni e la necessità di mettersi in contatto con quelle donne.

Gli disse tutto per filo e per segno e l'altro lo ascoltò senza mai interromperlo.

Solo alla fine, quando ormai aveva capito:

"Capisco" borbottò pensieroso Neko "Siamo stati fortunati, allora, e in effetti, sì, potrebbe esserci molto utile il loro aiuto. Meglio così, ma muoviamoci adesso, che fa freddo".

Andarono a scrollare i loro compagni di viaggio che ancora sonnecchiavano. Chiamati dai due Vareghi, poco per volta tutti i componenti dell'equipaggio si svegliarono del tutto, si vestirono con vestiti più pesanti e mangiarono una frugale colazione.

Grazie alla previdenza dei Tumbà, avevano portato con sé una buona scorta di maglie e pantaloni pesanti e ora erano contenti di averlo fatto, perché senza di quegli indumenti sarebbe stato necessario perdere molto tempo ed energie preziose per procurarsene e loro di tempo da sprecare ne avevano pochissimo.

Asciutti e al caldo, tirando sulle corde avvicinarono la barca a riva, l'assicurarono meglio che poterono e si misero al lavoro, smontando pezzo a pezzo tutto quello che poteva essere trasportato facilmente via da Nekoi.

Anche le vele vennero tagliate in parti uguali e divise tra tutti e sarebbero servite da coperte.

Ognuno si preparò un bagaglio di viveri, indumenti di ricambio, attrezzi e corde.

A parte il cordame usato per trattenere la barca, nemmeno un pezzo lungo più di una spanna venne lasciato indietro.

Ogni Tumbà aveva con sé un acciarino, dell'esca asciutta e qualche pezzo di legno, un'ascia affilata, cibo per almeno due settimane, acqua e l'immancabile coltellaccio infilato negli stivali.

I due Vareghi presero anche le loro armi. Da questo momento ognuno doveva essere pronto a tutto per difendere la propria vita e anche la sola vista di un arma, alle volte, poteva bastare a salvarla, se l'aggressore o gli aggressori non erano troppo determinati a prenderla.

Neko viaggiò leggero, prese soltanto il pugnale Varego, la stupenda scimitarra moresca, il bastone da viaggio e la sua sacca.

Per nessun motivo li avrebbe lasciati indietro, perché essi rappresentavano tutto il buono della sua vita e non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo.

Stavano per entrare in un territorio che nessuno conosceva e conveniva essere preparati ad affrontare qualunque situazione.

Invece per Wal fu diverso, perché a malincuore dovette rinunciare a parte di quello che Alfons gli aveva donato anni prima.

Sperò in cuor suo di poter mantenere il voto fatto anni prima di non uccidere più, eppure doveva essere pronto a farlo nel miglior modo possibile e senza pensarci troppo, se era il caso.

Quindi, nonostante gli dispiacesse lasciarla, Wal lasciò sulla barca la cotta di maglia.

Era troppo pesante, rumorosa e ingombrante, l'avrebbe solamente rallentato sui monti e inoltre non gli sarebbe servita a nulla contro Gioturna.

Era certo che con quel essere immondo avrebbe dovuto agire più con l'astuzia che con la forza e quegli anelli di ferro avrebbero potuto ben poco contro i suoi dardi. Però non rinunciò allo scudo, all'arco e alle frecce. Lo spadone sulla schiena e i pugnali infilati a vita nemmeno erano in discussione.

Quando furono tutti pronti, i dodici uomini partirono in fila indiana, con Neko e Wal in testa.

Dell'imbarcazione che li aveva portati fino a lì, rimaneva solamente lo scafo spoglio e tutto quello che non si poteva spostare.

Marciarono lungo la stretta fascia ghiaiosa che seguiva la riva, ben felici di non dover passare sullo spesso strato di cenere fradicia e molle che poco oltre si stendeva a perdita d'occhio.

L'odore di bruciato era ancora forte, tuttavia ora vi era in più una nota di profumo che prima non c'era e che sapeva di marcio e stantio.

Anche se l'acre e penetrante esalazione che emanava quella poltiglia era stata diluita dalla pioggia, il paesaggio restava desolato e se davanti agli uomini in marcia gli Anunna facevano bella mostra di sé, a valle uno spettacolo spaventoso ricordava a ognuno di essi quanto fosse precaria la loro situazione e di quanto poco tempo disponessero per potersi mettere definitivamente in salvo.

Mai, prima d'allora, avevano realmente compreso cosa fosse sospeso sulle loro teste nell'aria, da quando era iniziata l'eruzione.

Solo ora che si erano lasciati alle spalle il vulcano ed erano molto lontani dal cono di polvere e cenere che questi seguitava incessantemente a vomitare nel cielo, potevano capirlo.

Ora potevano vederlo bene, saliva diritto nel cielo per chilometri fino a quando il suo stesso peso e il vento non lo spingevano a piegarsi verso Sud.

Dentro a quella massa turbinante e burrascosa si intravedevano fulmini e fuoco, bagliori rossastri ed esplosioni che di quando in quando illuminavano l'ammasso scurissimo e vorticoso che scivolava sull'aria come un serpente primordiale.

Era impressionante, bello e orrendo al tempo stesso nella sua immensità.

Vedere quella massa turbolenta di cenere incandescente scorrere verso Sud lungo le correnti d'aria e pensare che là sotto c'era la carovana dei fuggiaschi che si allontanava, fece venire i brividi a tutti.

Si allontanarono a passo deciso per non pensarci, decisi più che mai a raggiungere chi in quelle terre voleva essere salvato e andarsene il prima possibile.

Prima di mezzogiorno arrivarono ai primi contrafforti degli Anunna e ben presto, tra le rocce, superarono i primi cespugli che non erano stati raggiunti dalla furia delle fiamme.

Fu una gioia per tutti vedere che la vita proseguiva anche dopo il disastro che aveva colpito le loro terre.

Appena furono fuori dalla pianura e fu possibile, Neko fece cambiare direzione di marcia.

Svoltarono verso Nord-Ovest e costeggiarono la linea delle rocce appena oltre l'incendio.

Si tennero a debita distanza da quella che un tempo fu la foresta, senza però mai perderla di vista.

Preferirono camminare sulla solida pietra piuttosto che sulla terra, perché Gioturna poteva essere ovunque.

Grazie a Wal, poterono fare tesoro del suo incontro con l'Immonda ed essere prudenti.

Anche se dalla Grande Madre avevano saputo che Gioturna era uscita indebolita dal grande incendio e non era più potente come prima, non la sottovalutavano e preferivano non rischiare di finire infilzati dai suoi aculei.

Da cosa Wal aveva visto sotto il vulcano, i tentacoli della Bestia erano lunghi e flessibili, ma non potevano attraversare la roccia così come i suoi dardi non erano in grado di perforarla. Non era molto, tuttavia era già molto più di quello che altri in passato ebbero per contrastarla.

Per il resto non sapevano nulla di quella cosa Immonda e avrebbero dovuto affidarsi al caso e alla loro intelligenza, però ora dovevano concentrarsi su altro.

Dovevano trovare i dispersi e da quando erano arrivati sulla riva di quella parte del fiume, non avevano trovato tracce del passaggio dei loro amici.

In verità nemmeno si erano illusi di trovarle, visto quanto si era sollevato il Sardon in una sola notte, ma qui, sulle montagne, presto o tardi avrebbero trovato qualcosa a indicargli la via e allora avrebbero marciato più spediti.

In fondo i componenti della spedizione non potevano essere passati molto distanti da dove si trovavano loro e anche se al momento non li avevano ancora individuati, i soccorritori seguivano l'unica cosa certa che avevano in mano.

Lontano, verso Nord, oltre il cono del vulcano, a non più di un giorno di marcia vedevano la striscia verde della foresta delle Yaonai ed era là che si dirigevano, visto che la Grande Madre voleva raggiungere le sue figlie e soltanto laggiù le avrebbe trovate.

Volevano raggiungere il prima possibile i villaggi Ratnor superstiti e probabilmente per primi avrebbero incontrato il villaggio di Yasoda o quello di Mandi.

Speravano che anche Mirta e i loro amici fossero andati da quella parte.

Avanzarono rapidi senza mai smettere di cercare qualunque cosa che potesse fargli capire di essere sulla strada giusta, percorrendo buone distanze in un tempo ragionevole senza troppa fatica.

Anche Scorza e Viggo, benché fossero i più anziani, tenevano il passo degli altri senza lamentarsi e non rallentarono mai la marcia.

Si fermarono solo quando il sole, ancora alto, già iniziava a declinare e si sedettero al riparo di alcuni massi e al suo tepore.

Dopo un breve pasto consumato freddo, si rimisero in cammino.

Per quanto avessero camminato in fretta, non avrebbero raggiunto la foresta prima che facesse notte e quello che vedevano su in alto non piaceva a nessuno.

Sulle cime innevate delle montagne già sui crinali si stavano accumulando le nebbie ed erano certi che prima di sera avrebbe ripreso a piovere.

Dovevano trovare un posto sicuro dove passare la notte e il territorio che attraversavano era poco rassicurante.

Non vedevano ripari, grotte o anfratti, solo valli aperte, liscia roccia e radi alberi, insufficienti a dargli protezione contro il freddo.

Come temevano nel pomeriggio le nuvole tornarono a chiudersi sulle montagne e dopo poco udirono i primi tuoni rimbombare sulle loro teste.

Sulle cime più alte già nevicava.

Alzarono i cappucci dei loro mantelli appena in tempo per pararsi dalle prime gocce che poco dopo iniziò a scendere, poi divenne impossibile anche parlare.

La pioggia prese a scendere sempre più forte e fu soltanto grazie ai mantelli Tumbà se poterono mantenersi asciutti.

I vestiti pesanti li tenevano caldi, però non si facevano illusioni: da soli anche quelli non sarebbero bastati per proteggerli dal gelo della notte.

Quel giorno divenne sera presto e il piacevole tepore del mattino scomparve in un ricordo presto dimenticato. Si alzò il vento.

La pioggia che sbatteva in faccia li obbligò a camminare a testa bassa per quasi tutto il tempo.

Andarono avanti per un paio di ore in quelle condizioni, prima di arrivare in un boschetto di rade betulle. Il vento le aveva spogliate di tutte le foglie e parevano scheletriche mani rivolte al cielo. Come riparo sarebbe stato scarso, ma in mancanza di altro sarebbe stato meglio che niente ed entro breve sarebbe stato troppo buio per poter cercare ancora.

Dovevano sbrigarsi se volevano trovare qualcos'altro, tuttavia non conoscevano la zona e procedendo a casaccio la ricerca richiedeva tempo.

Wal e Neko cercavano qualcosa che potesse ospitarli tutti, ma non vedevano nulla che potesse andare bene.

In quelle condizioni, senza un riparo sulla testa anche accendere un fuoco sarebbe stato impossibile e prima di notte la temperatura si sarebbe abbassata ancora.

All'improvviso un fulmine cadde vicino al gruppo e un Tumbà urlò dal terrore. Doveva essere Lepro, giù in fondo alla fila, perché Wal udì la parlata sibilante e moscia che il labbro leporino gli provocava ogni volta che si agitava.

Neko credette che si fosse spaventato per il fulmine, invece sentì che iniziava a dire: "Guavdate, guavdate!".

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