3b) LAMPI E TUONI
Quando Nekoi arrivò al fondo della laguna, Wal segnalò a Neko la posizione migliore per tagliare la corrente del Sardon e l'anziano maestro infilò la prua dell'imbarcazione proprio nel mezzo dei pali.
Sfruttando la velocità acquisita nelle calme acque dell'ansa, i vogatori ritirarono i remi dagli scalmi e dopo alcuni sobbalzi la barca si addentrò nel fiume e vennero slegate le vele.
Gli alberi si piegarono, i tessuti si tesero e il sartiame scricchiolò, poi Nekoi spinta dal vento prese a risalire la corrente, portandoli verso sponde che ancora non conoscevano.
Si portarono in mezzo al fiume e ben presto si resero conto della potenza distruttrice che aveva devastato il loro mondo.
L'incendio, le esplosioni, la cenere, ora che le potevano vedere nell'ampiezza di una visuale che ancora non conoscevano, videro appieno quello che dal villaggio Tumbà si scorgeva appena e che durante le perlustrazioni a piedi, le pattuglie troppo perse nella desolazione che le circondava, non erano nell'animo di scorgere.
Trovandosi ora alla medesima distanza da entrambe le rive e risalendone rapidi le sponde, poterono scrutarle assieme e comprendere appieno la grande differenza che prima dell'incendio era inesistente, mentre adesso segnava il destino dell'una e dell'altra separandole forse per sempre.
Sulla destra, rivolta a Sud scorreva la riva sormontata dalla foresta. Tutto era normale, verde, lussureggiante e rigoglioso come sempre, forse soltanto un poco più grigiastro per la polvere che cadeva dal vulcano.
Se non fosse stato per il cielo troppo grigio e cupo, a non voltarsi dall'altra parte sarebbe parso che tutto fosse normale e placido.
Ma sulla sinistra, a perdita d'occhio una grigia landa desolata li accompagnava immutabile, piatta, vuota, con rari monconi carbonizzati esposti all'aria e la cenere posata ovunque a ricordare l'immane disastro che aveva colpito quelle terre.
In fondo all'orizzonte il cono del vulcano vomitava senza tregua una colonna di fumo grigio che si piegava minaccioso dirigendosi verso il fiume e attraversandolo sovrastando Nekoi.
Passava alto, denso e turbolento sopra le loro teste.
Pareva volesse rovinare addosso alla piccola imbarcazione su cui si trovavano da un momento all'altro, tanto era grave e immenso il peso che trasportava.
Anche in mezzo al fiume, una leggera pioggia di cenere tiepida cadeva sull'equipaggio e ricordava a Wal che, per quanto avesse desiderato farlo, non poteva ancora andarsene.
Vedendosela cadere addosso fine e impalpabile, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto tornare nell'inferno da cui proveniva e ne aveva timore.
Eppure sapeva che il suo destino si sarebbe compiuto nelle profondità di quel vulcano, perché era laggiù che le ossa di suo nonno Aldaberon attendevano di raggiungere finalmente la pace e laggiù si trovava anche Gioturna ad aspettarlo.
Quello, che gli piacesse o meno, sarebbe stato il luogo dove prima o poi tutto sarebbe terminato.
Eppure, mentre questi pensieri turbavano la sua mente, altre cose ancora si scorgevano risalendo la corrente sconosciuta del fiume: i Monti Anunna, sebbene molto lontani a Est, si scorgevano appena.
I Tumbà, che prima della devastazione mai avrebbero pensato di poter vedere così lontano con la foresta a circondarli verso ogni punto guardassero, ora, laddove l'incendio aveva distrutto ogni cosa, all'orizzonte scorgevano quei monti.
Da sempre sapevano della loro esistenza, ma non li avevano mai visti prima.
Di quei picchi lontani ne parlavano le Yaonai, le uniche che li avessero veramente calpestati.
Nella loro lingua le donne pianta li chiamavano Anunna, Alti Uomini, forti e imponenti come quelli che, secondo le loro leggende, vi abitavano le valli ai tempi dei Sei Regni.
Poi venne l'incendio e le leggende, per quanto incredibili fossero, divennero evidenti.
Leggende, favole, storie buone per il fuoco, da narrare con calma in compagnia alla sera e adatte più a spaventare i bambini che a essere credute vere, tuttavia ora comparse alla vista proprio come il vulcano e la pianura desolata.
La foresta che un tempo colmava di misteri la distanza che dalla laguna avrebbe portato a quei Monti, era scomparsa e ora gli Anunna erano lì, davanti a loro.
Erano lontani, velati dal fumo che ancora saliva dalle loro pendici e dalla cenere del vulcano, però erano laggiù a attenderli.
Li vedevano stagliarsi contro il cielo grigio.
Erano meravigliosi e sconosciuti, minacciosi quanto mai avrebbero potuto pensare. Mettevano timore e incutevano paura anche nei cuori più duri.
Nessuno aveva voglia di scherzare, ora che vi andavano incontro, vedendoli crescere di ora in ora.
Per un lungo tempo tutti rimasero in silenzio.
Navigarono controcorrente per tutto il giorno, ognuno perso nelle proprie incertezze, accompagnati soltanto dal fruscio delle acque che sbatteva sul sartiame di Nekoi e da un vento teso che li spingeva avanti senza sforzo.
Mentre Wal a prua scrutava la superficie del fiume, a poppa Neko era pronto a seguire le sue indicazioni.
Lasciati i remi, l'equipaggio era invece armato di lunghe pertiche che teneva sospese fuori bordo, a pelo dell'acqua.
Fin dalla mattina si erano disposti quattro a babordo e quattro a tribordo e scrutando l'acqua, attenti rimasero pronti a usarle al minimo pericolo per la barca.
Tuttavia per tutto il giorno nulla venne a disturbare la loro navigazione.
Non incrociarono nessun albero divelto dal fiume e man mano che risalirono la corrente, l'acqua, dapprima limacciosa e densa, divenne via via più trasparente.
Erano entrambi buoni segnali.
Purtroppo, però, come avevano riferito gli esploratori ritornati pochi giorni prima, le rive del Sardon rimanevano impraticabili sia da una parte che dall'altra per un lungo tratto ancora.
Se sulla destra si mantenevano alte e scoscese, con alberi imponenti ad arrivare fino quasi a picco sull'acqua, sulla sinistra scogli e pietre improvvise ne impedivano quasi ovunque l'attracco.
Wal lo sapeva, era preparato a tutto questo, non si aspettava di trovare indizi diversi così presto, eppure l'ansia di sapere lo rodeva.
Temeva per Mirta, per il bimbo che portava in grembo, per i suoi amici, per la Grande Madre, per Faggiola.
Provava timore per chiunque si fosse imbarcato per quel viaggio e ne sentiva la mancanza accanto a sé.
Quelle donne e quegli uomini erano partiti da troppo tempo senza più dare notizie di sé e ora, per quanto Nekoi filasse veloce ripercorrendo i passi che essi avevano compiuto soltanto pochi giorni prima, aveva l'impressione che i progressi che stessero facendo fossero sempre troppo lenti.
Fremeva dall'impazienza.
Avesse ceduto alla frenesia che lo dominava fin dalla prima mattina avrebbe preso lui stesso la barra del timone e avrebbe governato le vele per serrarle di più, invece dovette trattenersi.
Aveva piena fiducia nelle capacità di Neko e il suo posto, per il bene di tutti e per la riuscita della missione, era di stare a prua.
Per quanto fosse difficile in quei frangenti, s'impose di ricordarselo sempre.
Gli ritornò alla mente la traversata della sua iniziazione da guerriero, con Alfons come Capo spedizione.
Come lo capiva ora, quando se lo ricordava ritto a prua, solitario e silenzioso per ore, preoccupato a scrutare la via per il bene di tutti.
Allora l'aveva giudicato crudele e spietato, ma ora che si trovava a dover fare le medesime cose che un tempo fece il padre per lui e per altri, credette di conoscerlo meglio.
Dovendo agire come Alfons, capì quanto fosse stato ingiusto allora giudicarlo in quel modo.
Provò una profonda vergogna di se stesso e da quel pensiero trasse la forza di cui aveva bisogno.
Per sé e per gli uomini che l'avevano seguito perché avevano fiducia in lui, doveva rimanere al suo posto se voleva che gli altri restassero al loro.
Se aveva delle ansie personali che gli agitavano l'animo, doveva imparare a dominarle per il bene di tutti; se temeva per loro e per la loro stessa vita, doveva fingere che tutto fosse a posto.
Trascorsero così le ore del mattino e parte di quelle del pomeriggio, lunghe e uguali fino alla noia, quando finalmente sulla riva destra Wal vide una piccola caletta con una spiaggia di ciottoli. Assomigliava a quella che trovarono Mirta e lui quando attraversarono il fiume la prima volta.
Probabilmente anche quella era ciò che rimaneva dopo il crollo nel fiume di un gigante della foresta, ma dai bordi erosi e dai cespugli che già vi crescevano sopra, intuì che doveva essere successo anni prima.
Riparata dal vento e dalla corrente del fiume, sembrava perfetta per ospitare un accampamento notturno.
Doveva essere quella che gli avevano segnalato gli esploratori e se così era, la distanza che a loro richiese due giorni a piedi per essere percorsa, Nekoi l'aveva coperto in meno di un giorno navigando lungo il Sardon.
Fece cenno a Neko di virare. Ancora restavano tre ore di luce, avrebbero potuto proseguire fino al calare della sera e poi cercare un riparo per la notte, ma Wal non volle rischiare inutilmente.
Preferì accertarsi che le sue supposizioni corrispondessero al vero, piuttosto che procedere alla cieca.
Con le dovute cautele fece cenno a Neko di avvicinarsi a riva, mentre con le pertiche gli uomini dell'equipaggio sondavano costantemente il fondale man mano che si faceva più vicino.
Gettarono l'ancora a pochi metri dalla riva, quando non rimaneva che mezzo metro d'acqua sotto di loro.
Preferirono bagnarsi i calzoni piuttosto che sfondare la chiglia o correre il rischio di trovarsi bloccati su di una secca.
Impaziente e incapace di trattenersi oltre, il primo a sbarcare fu Wal.
Saltò in acqua non appena le barca fu ferma. Non riusciva più ad aspettare, aveva bisogno di sapere.
Dalla nave non si vedeva granché e voleva vedere con i suoi occhi i resti dell'accampamento di cui gli avevano parlato gli esploratori.
Sapeva per esperienza che solo un Varego riconosceva un fuoco Varego, quindi sperava che i ricognitori non si fossero sbagliati e di poter trovare i resti di un focolare.
Risalì ansioso la spiaggetta ghiaiosa e quando vide quello che cercava, sospirò di sollievo.
Delle pietre in circolo, un focolare Varego, cenere e spezzoni carbonizzati spenti con cura e seppelliti era tutto quello che rimaneva. Erano loro. Ora ne era certo, erano stati lì e avevano passato la notte in quella baia.
Mentre scostava con i piedi le braci spente del focolare, Neko lo raggiunse e gli posò la mano sulla spalla:
"Li troveremo, non temere" gli disse "Anche a costo di andare fino al fondo del ghiaccio".
Era un detto Varego.
Fino alla morte, se serviva, voleva dire.
Lui annuì e gli sorrise. Avrebbe voluto avere la medesima certezza.
"Quanto credi che distino ancora i monti Anunna, Neko?" gli domandò e il vecchio si voltò a guardare i monti lontani.
Erano molto più grandi e imponenti del mattino.
In alcuni punti si potevano distinguere i fumi che salivano ancora dai focolai nascosti in qualche valle remota e nell'oscurità della notte forse se ne sarebbero visti i bagliori.
"Se anche domani viaggeremo senza intoppi, credo che prima di sera ne potremmo calpestare le pendici" gli rispose dopo averci pensato.
Tutto l'equipaggio era sbarcato dietro di loro e già stava scaricando il necessario per la notte.
Il lavoro non mancava e ognuno faceva la sua parte, ma quando Neko pronunciò quelle parole e vennero udite, tutti quanti gli uomini si fermarono.
Alcuni si scambiarono sguardi timorosi, altri si voltarono a guardare a loro volta i monti. Poi sentirono ridere Lepro, il ragazzo dai lunghi capelli verdi.
Era spesso silenzioso, dal mattino aveva detto parole brevi e rade, parlava poco per via del labbro leporino. Si vergognava di pronunciare male le parole a causa di quel taglio, però rideva spesso, a lungo, di una risata contagiosa che sempre, poco alla volta, trascinava tutti con sé.
Tutti lo sapevano e nessuno ci faceva più caso. Ormai vi erano abituati. Alle volte rideva senza motivo, così, semplicemente perché gli andava di farlo e quella probabilmente fu una di quelle volte, semplicemente perché gli andava oppure perché era nervoso.
Ma fatto sta, che poco alla volta tutti furono contagiati dalla sua risata e, ridendo, dimenticarono per un momento le loro ansie e le paure che nascondevano.
Quando smisero di ridere si asciugarono gli occhi e, scuotendo la testa, si rimisero al lavoro.
La notte passò senza che niente venisse a turbare l'accampamento.
Le sentinelle che ogni due ore si diedero il cambio vegliarono per nulla, eppure Wal non riuscì a prendere sonno se non molto tardi.
Lontano, a Est, dalla parte dei monti Anunna, per tutta la notte avevano sentito l'eco di tuoni e visto lampi esplodere improvvisi.
Erano i temporali, i primi della stagione umida. I Tumbà non parevano preoccuparsene troppo e a dire il vero nemmeno Neko, eppure lui non riusciva a restare tranquillo.
Non era una buona cosa, perché se pioveva il fiume poteva diventare pericoloso molto velocemente, gli avevano detto. Era così tutti gli anni.
Quando arrivava la stagione delle piogge, il livello delle acque saliva in fretta.
Lo sapevano tutti e tutti glielo avevano detto, ma per lui era la prima volta che doveva affrontarlo. Ancora una volta sentiva di avere molte cose da imparare di quell'ambiente. Per lui quell'evento era talmente estraneo da farlo sentire a disagio. Aveva bisogno di qualcosa di famigliare accanto, avrebbe voluto essere con Mirta o con i suoi amici, ma loro non c'erano.
Erano lontani, forse in pericolo, forse morti, e lui non poteva fare nulla, se non attendere l'alba per saperlo.
Allora tenne strette a sé le uniche cose che erano appartenute alla sua famiglia. Non si separò un solo momento dalla spada di Alfons e dal pugnale di Aldaberon.
Per quanto si dicesse che tutto sarebbe finito bene, sentiva una strana agitazione addosso, ma non soltanto per la mancanza di Mirta. Era qualcosa d'altro.
Era suo nonno che gli voleva comunicare qualcosa e lui non riusciva a capire cosa fosse. Era una sensazione quasi impercettibile, un'allerta, un leggero prurito che dalle piante dei piedi risaliva vago fino alla nuca, come se qualcuno o qualcosa stesse tenendo d'occhio lui e i suoi compagni da quando avevano messo piede in quella caletta. Non ne aveva fatto parola con Neko, però era quasi certo che fossero seguiti e non gli piaceva l'idea di essere di nuovo una preda.
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