3a) IL SARDON
Quando il giorno dopo il momento giunse, Wal fu schietto e conciso: nessuno doveva sentirsi in obbligo di andare con lui.
Con un balzo saltò dentro alla nave comandata da Neko e guardando fisso negli occhi gli uomini dell'equipaggio, non perse tempo in parole inutili:
"Ascoltate!" disse a tutti quanti "Ho bisogno di voi!".
Ottenuta in questo modo la loro attenzione, parlò in modo chiaro, diretto e schietto, in modo che nessuno potesse fraintendere le sue parole.
Coloro che desideravano andarsene nella foresta con tutti gli altri, erano liberi di farlo, la strada era aperta, sconfinata e libera per ognuno avesse voluto seguirla.
Avevano lavorato bene tutti quanti e non avrebbe biasimato chi avesse scelto di andarsene, eppure, disse:
"Voglio andare a cercare quelli di noi partiti con la Grande Madre e non tornerò prima di averli trovati" concluse in fretta.
Poi, nonostante fremesse d'impazienza, attese, lasciando che ognuno di quegli uomini dicesse quello che pensava.
Conosceva il nome di tutti quei Tumbà, giovani e vecchi che fossero.
Marinai provetti solo da poche settimane, li chiamò uno a uno perché dichiarassero la loro scelta davanti a tutti.
Gero, Vizzo, Salvo e Turlo erano rematori.
Erano quattro fratelli, tutti con il petto concavo quasi fosse stato schiacciato alla nascita.
Poi c'erano Scorza e Viggo, più anziani degli altri sebbene ancora vigorosi, erano i velai.
Uno a uno si espressero e l'intero equipaggio di Nekoi rimase con lui.
Infine c'era Neko, comandante e timoniere, fu l'ultimo a scuotere la testa per dare il suo assenso.
Man mano che ognuno di loro dava la propria adesione a restare, li ringraziò uno a uno, ma prima che potesse terminare a farlo, il vecchio Scorza lo fece rabbrividire mettendosi a cantare una melodia lenta e triste.
Wal conosceva quella canzone, l'aveva già sentita una volta ne era certo, ma non rammentava quando, forse a primavera... sì, il giorno del suo matrimonio con la Grande Madre.
Ora ricordava.
Scorza il Sednor l'aveva cantata per lui suonando l'arpa e solo ora gli ritornavano alla mente quella musica e quelle strofe.
La voce dell'uomo era diversa da allora, era più roca, rasposa, antica, eppure le parole che gli uscivano dalla bocca, erano chiare e scandite.
Una lingua dimenticata rivisse ancora un momento di gloria in quel canto e parole da lungo tempo scordate risuonarono nell'aria forse per l'ultima volta.
Ora Wal le riconosceva, erano nella parlata degli antichi Taurini della Terra dei Vitelli, una di quelle che Neko gli fece studiare negli anni del suo apprendistato.
Era la lingua del popolo Eridano, portato alla rovina da Walpurgis che pensando di poterlo salvare, invece lo distrusse.
Di questo parlava il motivo che il vecchio Sednor cantava a memoria, forse senza nemmeno sapere il significato delle parole che pronunciava.
Parlava di disperazione e speranza, di un viaggio per andare e di uno per tornare. Della tristezza dell'addio e della dolcezza dell'incontro.
Dell'attesa penosa che sarebbe passata tra un momento e l'altro prima che divenissero uno solo.
Dell'arrivo di un ragazzo che nato bruco, avrebbe saputo farsi farfalla.
Della salvezza che sarebbe arrivata per tutti sulle ali di una farfalla.
Questo dicevano quelle parole dimenticate a lungo, ma questa volta ascoltandole più in spirito che non con il cervello, Wal capì che erano sue, erano state scritte per lui, Walpurgis in persona le aveva composte trecento anni prima, perché un giorno lui le ascoltasse.
Fu in quel preciso istante che capì questa verità, che avvertì che lo spirito di quel vegliardo non era più in lui, che era uscito dal suo corpo e l'aveva abbandonato per sempre.
Eppure non era lontano, lo sentiva, lo avvertiva nell'aria come una vibrazione, una speranza, un addio appena rimandato e alla fine lo individuò, ne percepì la presenza nel corpo di Scorza il Tumbà e ne riconobbe il tocco, gli occhi, lo sguardo, lo scorse nella voce roca che cantava lenta solo per il suo spirito.
Sorrideva, era felice.
Solo lui se ne accorse, perché Walpurgis voleva che soltanto lui capisse.
Nemmeno Neko se ne era reso conto, ascoltava come tutti il canto, ignaro di quello che stava succedendo.
Era una cosa loro, esclusivamente loro, intima e riservata come poteva esserlo per due anime che per un certo momento avevano condiviso la medesima materia, il medesimo tempo e il medesimo spazio.
Il Vecchio Taurino si era impossessato del corpo del Sednor per cantargli ancora quella canzone che, quando la udì la prima volta pochi mesi prima, soltanto in primavera, malato d'amnesia, non poté comprendere.
Non era Scorza che cantava, era Walpurgis, ora lo sapeva.
Lo stava salutando per l'ultima volta e quello era il modo che aveva scelto per ringraziarlo prima di lasciarlo definitivamente al suo destino.
Tutti tacquero, ascoltando pazientemente che Scorza finisse la melodia piena di nostalgia, ma quando il canto terminò, prima di andarsene definitivamente dal corpo del Sednor, Walpurgis volle ricordare a Wal anche il dono che il suo Dio aveva fatto scendere su di lui.
Il Potere del Fuoco per un momento comparve, divampò improvviso, illuminò le mani e il viso del giovane Varego, poi scomparve veloce così come era venuto.
Durò poco, talmente poco che a malapena Wal si accorse di avere le fiamme azzurre sulla pelle del volto e delle dita, eppure quel tempo, per quanto breve e limitato, fu sufficiente a compiere un piccolo miracolo.
Neko e l'equipaggio assistettero sbigottiti al comparire di quella luce azzurrognola sulla pelle del giovane Varego e la fiducia che avevano in lui mutò, diventando cieca devozione.
A bocca aperta, sbigottiti, anche se non dissero una parola, da quel momento in avanti quei Tumbà sarebbero stati disposti a gettarsi nel fuoco per quel prodigio che avevano appena visto compiersi davanti ai loro occhi e che aveva incendiato volto e mani al ragazzo senza bruciarle.
Tuttavia, anche altri ascoltarono il canto che proveniva dalla bocca di Scorza e assistettero a quel magnifico prodigio. Sua madre, Dan, l'orso Zorkan, alcuni giovani Tumbà, parteciparono come gli altri e videro.
Erano quelli dell'ultimo trasporto, tutti i giovani che il giorno precedente avevano rastrellato il villaggio per essere certi che nessuno fosse lasciato indietro.
Presto sarebbero partiti e avrebbero preso la strada della foresta per seguire l'esodo, ma, attirati verso Nekoi dal canto di Scorza, dopo quello che udirono e videro con i propri occhi, a tutti i costi non desiderarono più partire.
Tutti quanti vollero imbarcarsi assieme agli altri.
Wal e il Maestro si guardarono: qualche uomo in più d'equipaggio avrebbe fatto comodo, eppure non potevano portarli tutti con loro, erano troppi.
Allora Neko ne scelse quattro, celibi, senza una famiglia a cui tornare, ognuno deforme a suo modo, ma abili abbastanza da poter remare e svolgere semplici lavori: Giunco, dalla magrezza estrema; Mono, con un occhio bianco; Senno, dalla pelle vecchia e grinzosa; Lepro, dalla lunga ciocca di capelli verdi e il labbro leporino.
Gli altri invece li rimandò indietro. Servivano alle loro famiglie per trasportare via le ultime cose.
Ora l'equipaggio di Nekoi era composto, oltre che da Wal, da undici persone: otto rematori, due velai e Neko.
Wal salutò la madre.
Anche lei, come gli altri, era ancora scossa quando il figlio le consegnò la sacca da viaggio.
Per quanto avesse già visto quell'evento unico e straordinario, rivederlo ancora le fece comprendere una volta di più che il destino di suo figlio era altrove e non più assieme a lei come un tempo.
Accettò quindi volentieri quello che le diede, Il Libro delle Foglie e il Diario di Walpurgis sarebbero stati più al sicuro nella foresta che non lungo le acque insidiose del Sardon.
Li avrebbe tenuti assieme alla lastra di Alfons fino al suo ritorno.
Avrebbe voluto avere con sé anche la maschera funeraria, ma era rimasta a Flot dopo lo scambio avvenuto a Rasmet.
Salutò Dan per l'ospitalità che gli aveva dato nel suo villaggio e salutò anche Zorkan con una vigorosa grattata sulla schiena.
L'orso gradì. Ormai erano diventati amici.
Anche loro due sarebbero partiti assieme a Lilith e avrebbero seguito la strada della foresta.
A tutti disse arrivederci e tutti gli chiesero di tornare.
Poi, terminati i saluti, i due gruppi si separarono; gli uni andando verso la foresta, gli altri restando a organizzarsi per la partenza.
Sotto il comando di Neko prepararono con cura il carico della barca; presero molte corde di capelli e viveri, vestiti pesanti e mantelli impermeabili. Controllarono e ricontrollarono ogni cosa perché fosse pronta per il giorno seguente, infine, quando scese la sera, mangiarono.
Passarono una notte tranquilla accanto alla barca, impazienti di salpare all'alba.
Partirono alle prime luci del giorno, appena il vento sul fiume cambiò direzione.
Fecero tappa per l'ultima volta al villaggio Tumbà.
Wal voleva riprendersi le armi di Alfons nella capanna della Signora, Neko il pastrano, il bastone e la sacca di cuoio.
Si separarono e fecero in fretta.
Facendo attenzione a non scivolare sulle rane che saltavano sul molo, al ritorno, si ritrovarono davanti a Nekoi.
Quando furono arrivati, uno sguardo tra loro bastò per comprendersi e non persero altro tempo. Saltarono insieme, andando ognuno al proprio posto.
Il vecchio Varego andò al timone e le cime furono ritirate.
L'equipaggio fu lieto di scostare la barca dal molo e gettò fuori bordo le ultime rane.
Wal, scrutando il villaggio restare indietro, con un poco di malinconia rimase a lungo seduto da solo, con lo spadone di suo padre in mano.
Ne era affascinato e lo guardò come se lo vedesse per la prima volta.
Ne lesse i simboli incisi sulla lama e li sentì finalmente propri: un senso di possesso e condivisione come raramente gli era capitato in vita sua si trasmise dal metallo alla pelle delle mani.
Poi, d'istinto, si passò l'imbragatura di spesso cuoio sulla spalla e indossò la guaina sulla schiena.
Il contatto con la pelle fu duro, improvviso, quasi violento. Il metallo era rigido, molesto, pesante.
Quasi non ricordava cosa volesse dire avere un'arma del genere con sé.
Era insopportabile, scomoda, premeva sulla schiena fino ai glutei.
Faceva male e toccava ovunque appena si muoveva.
Eppure appena si mise la stupenda arma di Alfons sulla schiena, Wal ne assaporò anche il confortante senso di sicurezza che dava quel metallo così attentamente lavorato.
Era da un anno che non provava più quella sensazione e gli parve di rinascere.
Strinse nei palmi i due pugnali che portava a vita e si lasciò pervadere dal desiderio di farla finita con quella storia.
Era durata già troppo.
Tre secoli potevano bastare, era tempo di andare, di lasciarsi alle spalle tutto quanto ciò che era stato e tornare a casa.
Quasi che l'equipaggio del Nekoi avesse avvertito la potenza di quelle armi nel momento che queste sbatterono sul legno, ripresero a vogare con nuova lena e l'imbarcazione aumentò la velocità.
Presero il largo felici di abbandonare quello sfacelo, anche se sguardi fugaci e malinconici tradivano l'angoscia che provavano nel lasciare definitivamente quello che era stato il loro mondo.
Quella era stata casa loro e ora l'abbandonavano per sempre.
Non l'avrebbero mai più rivista, se non nel sonno della notte.
Wal sapeva cosa si provava in quei momenti e preferì tacere. Si portò a prua, al suo posto. Ormai i pali erano vicini.
Fissò oltre la laguna. Neko al timone avrebbe avuto bisogno delle sue indicazioni per avvicinarsi ai pali.
Con otto vogatori a spingerla la barca prese ben presto il largo e raggiunse il fondo dell'ansa; Viggo e Scorza attendevano tranquilli il momento giusto per far prendere il vento alle vele.
A un cenno di Neko ne avrebbero sciolti i nodi, la barca avrebbe messo le ali e avrebbe risalito il fiume. Wal li guardava: attendevano pazienti, fermi al loro posto nemmeno avessero navigato per tutta la vita.
I rudi abitanti della palude si erano trasformati così in fretta in abili marinai che non smetteva di stupirsene, eppure il cambiamento era avvenuto sotto i suoi occhi e ne era fiero.
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