3) LE PIAGHE


Nove giorni erano passati da quando il piccolo convoglio era salpato per risalire il fiume e di coloro che erano partiti per accompagnare la Grande Madre nel suo ultimo viaggio, al Villaggio del Sole non si era saputo più nulla.

L'alba del decimo giorno trovò Wal sul grande molo che attraversava l'ansa del fiume da parte a parte a guardare verso i pali in fondo alla laguna.

Neko e i Tumbà che erano sbarcati con lui presto avrebbero fatto ritorno e insieme sarebbero salpati nuovamente per l'accampamento.

Era solo e in ansia.

Quello che vedeva era desolante. Non riusciva a farci l'abitudine. L'odore che impregnava l'aria e il colore dell'acqua erano nauseanti.

Ovunque, sulla superficie rosso sangue della laguna, galleggiavano pesci morti.

Erano venuti a galla il pomeriggio stesso del giorno della partenza di Mirta e ora erano putrefatti.

I loro miasmi si mischiavano all'odore di zolfo che risaliva dal fondale della laguna e alle alghe marcite lungo la palude.

Le rane, anch'esse sfuggite da quell'ambiente malsano, gracidavano malinconicamente, dopo essersi rifugiate sulla terra ferma e sulle isole mobili.

Erano dappertutto, anche attorno ai suoi piedi, lasciando strisce bavose sugli stivali quando vi saltavano sopra, molli e viscide.

Wal non ci badava nemmeno più.

Erano giorni ormai che non appena si muoveva, ne schiacciava diverse a ogni passo che faceva.

Nugoli di mosche e di tafani ronzavano insistenti sui cadaveri dei pesci e delle rane e poi gli si posavano sul volto, allontanandosi infastidite solo quando si accorgevano che era ancora vivo.

Come era cambiato quel posto.

In nove giorni appena, l'unico luogo che avesse sentito come una casa, come un paradiso dopo tanto inferno che aveva conosciuto in vita sua, andava rapidamente scomparendo, imputridendo sotto i suoi occhi.

Per quanto fosse fiero di quello che lui e i suoi amici avevano saputo fare nel poco tempo che avevano avuto a disposizione, nel medesimo modo gli dispiaceva vederlo morire così in fretta, perché quel giorno aveva un significato particolare per la sua gente.

Se i suoi calcoli erano giusti, oggi, su nel Nord estremo del Continente di Venturia, era il giorno in cui il popolo Varego dedicava le proprie offerte agli avi per ingraziarsi l'inverno imminente.

Oggi, nel suo villaggio come in qualunque altro insediamento Varego lungo le coste dove risiedeva la sua gente, le donne anziane avrebbero acceso candele di grasso di foca davanti agli antenati per propiziarsi il bianco del gelo e per chiederne la protezione per le loro famiglie.

Nelle terre del Nord da più di un mese nevicava e il freddo inverno Varego era già arrivato, con tutto quello che questo voleva dire per la vita e la morte di ognuno dei villaggi della costa.

Qui invece era ancora autunno, le foglie dall'altra parte del fiume si coloravano di colori caldi e cadevano in terra poco alla volta.

Erano due mondi, due tradizioni, due vite completamente diverse in cui lui aveva vissuto, eppure in entrambe di esse, Wal aveva lasciato qualcosa che, nel momento del distacco, gli avrebbe fatto male lasciarsi alle spalle.

Allora come adesso, sentiva di lasciare qualcosa di sé, in quella laguna morente.

Il grande molo in legno era deserto e le case alle sue spalle, silenziose.

Con l'esclusione del gracidare delle rane non si sentiva altro rumore arrivare dalle isole mobili dei Tumbà.

Niente più urla di bambini o abbaiar di cani, più nessun richiamo saliva da un'isola all'altra.

A eccezione del veloce entrare e uscire da una capanna all'altra degli uomini del Maestro, tutto era immobile.

Il Villaggio del Sole era vuoto.

L'ultimo convoglio era partito il giorno prima e loro erano venuti a controllare che nessuno fosse rimasto indietro.

Erano tutti sull'altra sponda, al sicuro e lontani dallo schifo che ora aveva sotto gli occhi. Uomini e animali, ogni cosa era stata caricata sulle barche e trasportata dall'altra parte del Sardon.

Lungo il molo, solitaria e placida galleggiava un'unica imbarcazione, Nekoi, la grossa nave a due vele di Neko.

Sopra, bestemmiando e agitandosi oltre il dovuto, i componenti dell'equipaggio rimasti a bordo facevano il possibile per allontanare le rane che vi salivano in continuazione, ma inutilmente.

A piene mani ne gettavano fuori, eppure era una battaglia persa in partenza: per quante ne buttavano fuori, altrettante ne risalivano. In continuazione era tutto un saltare e gracidare incessante e fastidioso.

Nonostante tutta la desolazione che lo circondava, Wal si sforzò di sorridere davanti a quella scena, che così da vicino gli ricordava quello che provava ora: tentare incessantemente di arrivare a un risultato senza vederne la fine delle fatiche.

Le altre imbarcazioni erano tutte dall'altra parte, insieme ai Tumbà.

C'era riuscito.

Lui, Neko, sua madre e Dan, insieme erano riusciti a fare l'impossibile: li avevano portati tutti sull'altra sponda, sani e salvi.

Nemmeno un solo Tumbà era perito nel trasbordo; non un solo Sednor del Sud era stato lasciato indietro e anche la poche Yaonai sopravvissute all'incendio avevano accettato di essere trasportate sull'altra riva in barca.

A questo aveva provveduto Lilith, promettendo a ognuna di esse che se avessero accettato di seguirli sulle navi, avrebbero avuto nuovamente un bosco in cui vivere e una foresta intera in cui nascondersi.

Neko e lui stesso in persona provvidero al trasporto, con Lilith che per tutto il tempo della traversata non si allontanò di un passo dalle Sorelle raggomitolate e impaurite, rassicurandole e incoraggiandole a resistere a ogni beccheggio della nave.

Si ripresero solamente quando nell'aria annusarono gli aromi del bosco e videro gli alberi avvicinarsi.

Restie e ferite nell'animo com'erano dopo il disastro dell'incendio, quando si trovarono nuovamente in mezzo a un elemento che riconoscevano come casa si ripresero in fretta: sparirono appena calò la notte e Lilith ne fu contenta, perché era quello che sperava, che in qualche modo ritornassero a vivere come delle Yaonai e non come delle derelitte.

Visto che il tempo prima della stagione delle piogge stringeva, l'esodo dei sopravvissuti divenne un lavoro metodico e minuzioso, studiato fin nei minimi particolari da Neko, sua madre, Dan e lui stesso, con un occhio fisso al cielo e l'altro agli scogli e agli alberi trascinati a valle dalla corrente.

I primi che furono traghettati attraverso il fiume furono le Postulanti e i bambini del Semenzaio.

Per fortuna tutto era filato liscio e oramai erano lontani, si trovavano nella foresta e si dirigevano a Sud, scortati da un centinaio di Tumbà e Sednor che li accudivano e li proteggevano da ogni pericolo.

Erano partiti dall'accampamento sette giorni prima.

Salende, l'ultima figlia di Uramet, quintogenito dei nove figli del Santo Walpurgis, guidava la colonna e Wal aveva cieca fiducia in quella donna.

Con sé portava Alfons Desiderio ed era certo che la Ratnor avrebbe fatto tutto il possibile per difendere il proprio figlio e tutti gli altri bambini sopravvissuti all'incendio.

Dopo quel primo nutrito manipolo, di giorno in giorno altri Tumbà li seguirono nella foresta dirigendosi verso Sud per lasciare il posto ad altri nuovi convogli che, arrivando incessantemente dalla laguna, non appena attraccati dovevano essere trasferiti nei ricoveri e sistemati per la notte.

Wal e Neko avrebbero preferito che la colonna fosse partita tutta insieme, ma non avendo avuto il tempo materiale per preparare un numero di ripari sufficienti per tutti, avevano dovuto ricorrere a quello stratagemma perché i posti a disposizione potessero bastare per i Tumbà e per coloro che dovevano essere messi in salvo.

Per il momento tutti quanti avrebbero seguito la medesima direzione, verso Sud.

Prima o poi i vari tronconi partiti separati si sarebbero ricongiunti e la colonna si sarebbe riformata, ma l'importante ora era che si mettessero in salvo e si allontanassero il più velocemente possibile dal fiume Sardon.

A coordinare le attività nell'accampamento e gli smistamenti necessari tra i vari gruppi in arrivo e in partenza, avevano provveduto Lilith e Dan, il Capo villaggio.

A loro era stato affidato quel compito complicato e gravoso e l'avevano svolto con il massimo impegno possibile, facendo in modo che ognuno di coloro che passava su quella riva avesse il necessario per passare la notte nell'accampamento e per viaggiare il giorno dopo.

Divisero tutto quello che possedevano in parti uguali, viveri, coperte, armi, tutto.

Ognuno aveva avuto la porzione che gli serviva e niente era stato lasciato indietro o sprecato.

Avevano fatto un ottimo lavoro e domani o al massimo il giorno dopo ancora, anche gli ultimi Tumbà avrebbero lasciato i ripari di fortuna dell'accampamento per incamminarsi nella foresta e infine anche là sarebbe calato il silenzio.

Presto anche quei fragili ripari provvisori sarebbero rimasti vuoti.

In poco tempo la foresta avrebbe fatto marcire sia quelli che le capanne mobili del Villaggio del Sole e dopo averli distrutti, dei Tumbà non sarebbe più rimasta nessuna traccia.

Sarebbero spariti da quelle terre, quasi che non vi fossero mai esistiti.

Il sogno di Walpurgis di riportarli a casa si stava avverando, mentre quello di Flot andava velocemente a pezzi.

Pensando a questo e tutto il lavoro svolto, Wal sospirò soddisfatto.

Avevano creduto di potercela fare e ce l'avevano fatta, proprio come avevano detto gli Antichi.

Sorrise mestamene.

La sera prima il fantasma del vecchio Taurino era venuto a cercarlo.

Era felice e appagato.

Finalmente vedeva avvicinarsi il momento in cui anche il suo spirito avrebbe potuto riposare in pace, in attesa di vivere ancora.

Walpurgis, Grande Vecchio del Popolo degli Eridani, aveva pagato per il suo errore, si era immolato per la sua gente e ora vedeva ripartire quello che restava del suo popolo verso quelle che erano state le loro terre d'origine.

Non poteva desiderare di meglio e lo doveva a lui, a quel giovane Varego che partito dalle sue terre senza una meta precisa, aveva saputo diventare il Padre di Tutti.

Nel fargli visita, a modo suo quell'anima inquieta l'aveva ringraziato e gli aveva fatto piacere.

Gli aveva solleticato i centri nervosi del cervello per fargli sapere quelle che erano le sue intenzioni e ora Wal sapeva dove sarebbe andato quello spirito una volta che avesse lasciato il suo corpo.

Fu proprio Walpurgis a sussurrarglielo e lui fu felice di saperlo, perché al momento opportuno il fantasma del Taurino morto tre secoli prima, sarebbe andato con il suo popolo, i Tumbà.

Li avrebbe seguiti, preceduti, avrebbe perlustrato il percorso e vegliato su di loro e per loro.

Non li avrebbe abbandonati, o perlomeno non ancora.

Aveva ancora una cosa importante da donare a quella gente, qualcosa di speciale che a loro mancava, la memoria di quello che lui aveva vissuto in prima persona per poter arrivare fino a quelle terre.

Il viaggio disperato che dalla Terra dei Vitelli l'aveva condotto fino al fiume Sardon, fatto a ritroso poteva diventare utile ai fuggitivi, così come i ricordi che conservava nella memoria.

Assieme all'esperienza che Neko aveva di quella foresta, le sue erano le indicazioni più precise di cui quella gente disponeva e per il momento dovevano accontentarsi di quello che poteva ancora offrirgli.

Poi, al momento giusto, quando fossero giunti abbastanza lontani dal vulcano, se ne sarebbe andato definitivamente da questo mondo e i Tumbà avrebbero improvvisato.

In qualche modo avrebbero ritrovato la strada, ma ora bisognava andare il più lontano possibile.

In fretta, senza voltarsi indietro.

Il pericolo incombeva su tutti loro come il fumo che li sovrastava, uscendo dal vulcano che poteva saltare in aria da un momento all'altro.

Le esplosioni provocate dall'incendio potevano essere nulla in confronto a quello che avrebbe potuto ancora succedere.

Se si fossero inoltrati abbastanza nella foresta fino a quando la clemenza del tempo l'avesse concesso, giunti in salvo l'intera colonna si sarebbe fermata e avrebbe preparato l'accampamento invernale.

Là, i Tumbà avrebbero atteso il ritorno della primavera e l'arrivo di coloro che ancora si attardavano a partire.

Se tutto fosse andato secondo i piani, lui, Neko e quelli ancora rimasti da questa parte del fiume, li avrebbero raggiunti nella foresta prima della ripartenza primaverile.

Se anche loro si fossero salvati, in qualche punto del bosco si sarebbero riuniti tutti quanti e avrebbero proseguito insieme, ma se per l'inizio del disgelo non fossero arrivati o non avessero avuto notizie della loro riuscita, l'ordine era di partire ugualmente, la colonna si sarebbe rimessa in cammino e se ne sarebbe andata ancora più lontana.

Wal non sapeva se avrebbe mai più rivisto i Tumbà e se avrebbe saputo condurli nella Terra dei Vitelli, ma almeno li stava portando lontano dalla distruzione e questo era già molto.

Il cielo sopra alla sua testa era grigio come sempre, ma ancora non pioveva.

Dal giorno del terremoto il vulcano sputava incessantemente fumo e ceneri leggere e calde cadevano ogni momento ovunque, arrivando fin sul villaggio Tumbà.

Il vento continuava a soffiare verso Sud, verso la colonna in marcia e questo non piaceva a Neko, però finora i superstiti erano stati fortunati e non si poteva pretendere troppo dalla buona sorte.

A parte alcuni brevi scrosci notturni, non aveva ancora piovuto in modo serio e la temperatura clemente sia di giorno che di notte, favoriva l'esodo.

Il livello del fiume si era alzato appena di poche parti di mano negli ultimi due giorni e non erano stati avvistati alberi strappati dalla riva dalla forza dell'acqua.

Anche il colore del fiume non era ancora cambiato.

Per i Tumbà questa era una buona cosa, perché voleva dire che la stagione delle grandi piogge non era ancora arrivata nemmeno sui monti e l'acqua non aveva iniziato a lavare via il limo che avrebbe dato al fiume il color del sangue.

Il terreno asciutto della foresta avrebbe retto bene il peso di tutti quei piedi che lo calpestavano e li avrebbe portati lontano velocemente.

Quel popolo doveva approfittare di tutto il tempo che rimaneva per fuggire distante dalla laguna.

Quello per il momento doveva essere il loro primo e unico obiettivo, perché il tempo stringeva sempre più.

I tremori della terra ormai erano incessanti e dal sottosuolo giorno e notte salivano sordi brontolii provocati da crolli sotterranei.

L'acqua della laguna era diventata calda e si gonfiava di improvvise bolle di gas che venivano a galla prima di scoppiare minacciose.

Da un momento all'altro poteva saltare tutto in aria e quelle terre sarebbero scomparse per sempre, inghiottite da un mare di fuoco e di lava incandescente.

Quello che era stato un paradiso, nel tempo di un respiro sarebbe divenuto un inferno, ma i Tumbà non ci sarebbero stati.

Era stato difficile, tuttavia avevano creduto di potercela fare e ce l'avevano fatta.

Wal ne era fiero, eppure, nonostante l'enorme mole del lavoro svolto, per lui non era ancora finita.

Rimaneva ancora in sospeso lo spirito di suo nonno che reclamava la pace che attendeva da troppo tempo.

Lo sentiva agitarsi dentro di sé, era irrequieto, gli stuzzicava il cervello mandandogli leggerissime scosse affinché non si scordasse di lui.

Gli ricordava che il Rammarico che lo aveva condotto fino a lì, non era ancora compiuto del tutto.

Gli rammentava che molte cose restavano da fare.

Ancora non era tempo di riposare e di sentirsi soddisfatto, visto che il suo destino di Sanzara era stato compiuto solamente a metà e forse della metà più semplice.

Aldaberon l'Antico aveva ragione, lo sapeva.

Wal non poteva ancora andare con la colonna dei fuggiaschi.

Nemmeno volendo avrebbe potuto.

Per quanto desiderasse andarsene, non poteva ancora permetterselo.

Forze superiori alle sue gli avrebbero impedito di sentirsi libero di farlo.

L'avrebbero trovato e spossato con i rimorsi di coscienza proprio come in passato.

Avrebbero reso irrequieto ogni passo compiuto e non voleva che accadesse ancora.

Inoltre a questo, gli mancavano Mirta, Radice e i suoi amici.

Da nove giorni non aveva più loro notizie.

Era preoccupato per quello che poteva essergli successo.

Cinque giorni prima aveva mandato degli esploratori lungo la riva Sud del Sardon con l'ordine di risalirlo per due giorni a piedi e poi tornare a riferire, ma l'unica cosa interessante che avevano trovato, erano le tracce di un accampamento in una piccola baia proprio allo scadere dei due giorni.

Oltre a quella baia non erano andati ed erano tornati indietro come convenuto, ma i Tumbà poterono vedere che le rive del fiume continuavano a essere alte su ambedue le sponde e non erano adatte a uno sbarco.

Per il resto nulla. Nessun segno di passaggio umano, nessun relitto, nessun cadavere, niente di niente.

Appena ne avesse avuto la possibilità sarebbe partito a cercare la sua donna e i suoi amici, eppure per quanto fremesse d'impazienza per poterlo fare, Wal doveva attendere ancora un giorno intero prima di mettere in atto il suo proposito.

Il suo dovere era restare al suo posto, accertarsi che tutto filasse liscio attendendo che le cose giungessero al termine, ma quando anche l'ultimo convoglio sbarcato il giorno prima fosse partito sano e salvo dall'altra parte del fiume, avrebbe parlato con Neko e con l'equipaggio della sua nave.

"Ascoltate!" gli avrebbe detto senza giri di parole "Ho bisogno di tutti voi".

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