1f) RISCATTO


Per un momento Mirta aveva sperato che avessero anche notizie fresche di suo padre e di Wal, ma quando li raggiunse e capì che nemmeno loro sapevano nulla, ritornò al lavoro prima degli altri per sfogare la delusione e la tensione crescente che sentiva dentro di sé.

Lo sconforto che provò in quei momenti, fu così grande che la portò a un passo dalla disperazione.

Se si fosse fermata ora, davanti allo scoraggiamento e alla paura, tutto quel po' di coraggio che ancora le rimaneva si sarebbe sgretolato in mille pezzi e non voleva permetterselo.

Aveva bisogno di muoversi, di sfogare la sua rabbia, di non pensare a nulla per non cedere allo sconforto.

Al diavolo anche quella maledetta nausea che la tormentava in continuazione.

Impugnò la sua ascia e l'abbatté furiosamente sul primo albero che le capitò a tiro, facendo volare schegge tutto attorno.

Lavorò come una forsennata ancora per ore. Fredrik e Thorball faticarono a reggere il suo ritmo, eppure non la lasciarono sola per un solo momento.

Fu solo verso sera, quando l'ascia divenne tanto pesante da alzare quanto gli alberi difficili da far cadere, che finalmente giunse la notizia che nessuno sperava più di sentire.

Altri sopravvissuti erano usciti dalla foresta e si avvicinavano al villaggio.

L'arrivo delle Postulanti e dei bambini del Semenzaio colse tutti impreparati e la notizia passò rapida di bocca in bocca.

Nessuno al villaggio sperava ancora di rivederli in vita e invece erano arrivati.

Era tardi, era dall'alba che lavoravano, erano tutti esausti, affamati e senza forze, ma quando Lilith diede l'ordine di smettere di lavorare per assistere la moltitudine di donne e bambini in arrivo, nessuno si rifiutò.

A Mirta il cuore si gonfiò di gioia e speranza, eppure temeva a lasciarsi andare.

In mezzo a tutta quella gente magari c'erano anche suo padre e Wal.

Oppure forse qualcuno sapeva qualcosa, li aveva visti, gli aveva parlato.

Voleva e temeva di andare a vedere.

Non voleva, non poteva sopportare un'altra delusione senza crollare.

Le lacrime che dalla mattina faticava a trattenere non aspettavano che un momento di debolezza per uscire incontrollate e lei non voleva mostrarle agli altri.

Voleva credere che un miracolo potesse accadere, ma temeva la delusione che ne sarebbe derivata.

Temeva di lasciare il lavoro. Voleva andare e voleva restare.

Desiderio di sapere e timore di una delusione si sovrapponevano, lasciandola incerta su cosa fare.

Non si capiva, non le era mai capitato di essere così sensibile, così indecisa e poi quella nausea, che le riempiva la bocca di amaro e acido.

Fredrik e Thorball l'avrebbero seguita ovunque e avrebbero fatto qualunque cosa lei avesse scelto. Se lei non fosse andata via, sarebbero rimasti  al suo fianco.

La osservavano in silenzio, lo sapeva, attendevano che lei gli dicesse se voleva andare o se voleva restare, però Mirta aveva sentito l'ordine che aveva dato Lilith e alla Signora non si diceva di no.

Soppesò il manico tra le mani, per un momento fece fatica a lasciare l'ascia, poi piantò la lama profondamente nel tronco dell'albero che stava abbattendo.

Aveva deciso. Il fuoco e i lavori alla palude avrebbero atteso fino al mattino seguente.

Ora c'era altro di più importante a cui pensare: era la vita stessa che tornava dopo essere stata smarrita e non poteva essere trascurata.

E la vita era sacra, glielo diceva spesso Wal.

A passo deciso si diresse verso il fiume, dove già si stavano preparando i primi soccorsi.

Neko e Dan si diedero subito da fare per far accogliere al meglio la schiera in arrivo , ma ben presto si resero conto che non sarebbe stato semplice farlo.

Centinaia e centinaia di bambini, Sorelle della Vita e Sednor procedevano lenti sul greto del fiume per entrare al villaggio.

Quando i primi vennero abbracciati dai Tumbà festanti, degli ultimi non si vedeva la fine, perdendosi ancora oltre l'ansa.

Le barche traghettarono senza sosta coloro che arrivavano al villaggio, trasportandoli verso le isole mobili per fare spazio a chi ancora doveva arrivare.

Una frenesia mista a gioia si impossessò di tutti i Tumbà che si assieparono attorno ai nuovi venuti, portando con sé quello che avevano da donargli.

Una colonna di derelitti che sembrava non finire mai gli sfilò davanti e loro, ammutoliti dalla sorpresa e dalla pena, a ognuno dei nuovi arrivati diedero qualcosa da mangiare e bere. Ratnor, Sednor, sopratutto bambini.

Guardarono quegli esseri sporchi e sfiniti che si trascinavano a fatica con occhi colmi di terrore, ma non furono i piccoli sopravvissuti del Semenzaio a lasciare raggelati i Tumbà.

I bambini erano sporchi, laceri, alcuni feriti, eppure nessuno di loro piangeva o si disperava: sorridevano a chi li soccorreva, quasi fosse un gioco che andava a terminare.

Quello a cui ai Tumbà era più difficile abituarsi, era vedere il cambiamento avvenuto nelle Sorelle della Vita in quei pochi giorni di dolore.

Le Postulanti erano le più sconvolte dalla prova che avevano dovuto superare.

Erano distrutte, quasi irriconoscibili: non erano più le fiere Ratnor, custodi delle tradizioni più antiche che avevano conosciuto in passato.

Erano uno scempio, un vago ricordo di quello che erano state per secoli.

La loro antica bellezza era scomparsa sotto strati di fango secco e cenere, con i volti incrostati e sfigurati da lacrime e capelli malamente tranciati a ciocche.

Le lunghe chiome, vanto e orgoglio di tutti i Ratnor, erano sparite e ora erano arrotolate attorno la vita come una fascia qualunque.

Le mani ferite, le gambe sanguinanti, i vestiti a brandelli, l'aspetto trasandato le avevano trasformate in cenciose figure che a malapena trascinavano un passo dopo l'altro.

Mai nessuno tra i Tumbà avrebbe creduto possibile una cosa simile.

Le vedevano trascinare stancamente i piedi  incapaci di comprendere cosa avesse potuto abbatterle in quel modo, tuttavia nessuno di essi sapeva cosa avevano passato quelle donne, loro che avevano donato la vita intera al Semenzaio e ora lo sapevano distrutto dalle fiamme.

Con esso era sparito anche la loro unica ragione di vivere e prosperare.

Nonostante avessero fatto l'impossibile per salvare i bambini, si sentivano in colpa per essersi salvate e la vista del villaggio ruppe dighe che troppo a lungo avevano dovuto trattenere per il bene dei piccoli che trasportavano.

Il pensiero mai sopito dei baccelli in fiamme che non avevano potuto salvare venne a galla all'improvviso e proruppe violento, misto alla gioia e alla disperazione per essere giunte in salvo.

Una dopo l'altra scoppiarono in lacrime.

Pianti disperati le scossero tanto forte da farle cadere in terra.

Le Sednor, più abituate a sopportar dolori delle antiche padrone, le sorressero come poterono, però le forze alla fine mancarono anche a loro.

Spesso le soccorritrici cadevano sulle pietre o nel fango della palude assieme a coloro che soccorrevano, faticando poi entrambe ad alzarsi.

I Tumbà, colmi di pietà e compassione davanti a tanta disperazione, increduli e ancora incapaci di comprendere tanto sconforto ora che erano finalmente arrivate in salvo, le rialzarono come poterono sfiorandole appena, temendo quasi a toccarle nel vederle così derelitte.

Sempre avevano provato rispetto per quelle donne, erano state buone con la gente della palude in passato, ma appartenevano pur sempre alla razza eletta dei Perfetti e per loro, ultimi tra gli ultimi, impuri e imperfetti, era proibito da sempre toccarle.

Per quanto fossero meno superbe di tutti gli altri Ratnor, non mancava occasione che facessero intendere molto chiaramente quanto il sangue che scorreva loro nelle vene fosse del più puro.

Un solo sguardo bastava per capire che appartenevano alla razza padrona e nonostante la loro bontà, per un Caduto era meglio tenere le distanze.

Eppure ora, nonostante il timore e il rispetto antico fosse ancora saldo nei Tumbà, nulla quanto vederle ridotte in quel modo in così poco tempo, li convinse che niente sarebbe stato come prima.

Da ora in avanti il futuro era nelle loro mani e avrebbero deciso per sè stessi senza rimpianti.

La venuta di Flot al villaggio, l'arrivo dei Vareghi, Baliji, Mirta, il Gopanda-Leta e la traversata del fiume.

Ora l'incendio che cancellava secoli di abitudini in un colpo solo e poi questo.

Se ancora avevano bisogno di qualcosa che gli facesse capire che le cose stavano cambiando, quel qualcosa era davanti ai loro occhi.

Non erano più loro gli ultimi, i derelitti, gli scarti della loro società.

Quello che fino a pochi giorni prima pareva impossibile, ora accadeva inesorabile.

Le cose che fino a poco tempo prima parevano immutabili, ora cambiavano rapidamente senza che nulla potesse più fermarle.

Gli eventi che rotolavano a valle come una roccia trasportata dalle acque del grande fiume, con l'arrivo di quella gente li avevano raggiunti e li trascinavano con sè.

Con questa consapevolezza crescente nelle loro menti, i Tumbà del Villaggio del Sole osservarono l'arrivo della gente del Semenzaio alla laguna e man mano che il tempo passava, si rafforzava dentro alle loro menti la voglia di riscatto dopo secoli di soprusi.

Mirta, ancora troppo Sednor per vedere le cose con gli occhi di un Tumbà, con Thorball e Fredrik alle sue spalle, scorreva lo sguardo lungo la colonna che arrivava con ansia crescente, aiutando come poteva quelli che arrivavano.

Ci volle più di un'ora perché tutta quella massa di derelitti entrasse nel villaggio Tumbà e, gli ultimi, vi arrivarono che già era sera inoltrata.

Con cautela vennero accese poche torce perché anche chi si attardava trovasse la strada.

Poi, quando la fila si concluse, tutti si ritirarono dietro agli ultimi arrivati.

Non pareva esserci più nessun altro in arrivo, ma si sbagliavano.

Ultimi della fila, rimasti indietro per accertarsi di non dimenticare nessuno, alla fine arrivarono anche Salende con il suo bambino legato sulla schiena, Radice e Wal.

Fianco a fianco procedevano esausti, silenziosi, felici di essere arrivati, un po' discosti dagli altri e nascosti dal buio della notte ormai calata.

Quando arrivarono nei pressi del villaggio, nessuno badò più a loro.

Convinti come erano che ormai fossero arrivati tutti, i Tumbà erano intenti a dare le cure dove servivano.

Solo Mirta ancora sperava. Senza dire nulla prese una torcia e fece qualche passo verso il fiume, seguita dai due Vareghi che non la lasciavano mai sola.

Era convinta di aver sentito qualcosa, dei ciottoli avevano rotolato stancamente nell'oscurità a poca distanza e le avevano fatto sobbalzare il cuore.

Attese in silenzio, animata da una speranza sorda che non voleva far tacere, poi quando alla tremula luce della torcia delle figure apparvero lente e lo vide, sporco, lacero, carico di bambini da tutte le parti e lo riconobbe nonostante fatica e stanchezza gli sfigurassero il volto, gli si buttò addosso in lacrime: da giorni lo piangeva morto e ora era tornato.

"Pensavo fossi morto!" gli ripeteva tenendoselo stretto tra le braccia "Pensavo fossi morto!".

Per la prima volta da giorni, i due Vareghi la lasciarono andare da sola.

Thorball raccolse la torcia caduta di mano a Mirta e illuminò il volto di coloro che erano assieme a Wal.

Riconobbe Radice e dopo averlo salutato gli porse un braccio.

Fredrik andò verso Salende e le diede da bere.

Li liberarono dal carico di bambini che portavano e si allontanarono senza dire una parola, non prima di aver scambiato uno sguardo colmo di gioia con il loro Compagno di Disgelo. Un rapido saluto, niente più.

Avevano portato a termine il loro compito, avevano badato alla sua donna come si conveniva a dei Vareghi ed erano soddisfatti di averlo fatto nel modo migliore.

Ora potevano pensare ad altro.

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