1b)IL SEMENZAIO NELLA FORESTA
Per fortuna non erano lontani dalla palude, ormai. Stavano già tornando indietro.
In fondo non si erano allontanati molto, il vulcano distava un giorno di cammino dal fiume e loro, nelle poche ore della mattina, avevano coperto meno di un terzo della distanza.
Il fumo turbolento che il vento curvava verso la laguna e come un ombrello passava sopra le loro teste, puzzava di marcio e toglieva il respiro.
Dietro alla massa imponente del vulcano la foresta era salva e faceva capolino quasi a guardare lo scampato pericolo.
Lo spiazzo spoglio, pietroso e senza vita che lo circondava si era venuto a trovare tra le piante e l'incendio e ne aveva rallentato abbastanza le fiamme da estinguerle.
Wal supponeva che se aveva fermato l'avanzare devastante delle fiamme, aveva salvato anche i villaggi Ratnor che si trovavano oltre a esso, però non aveva certezze.
Sapeva soltanto che il mondo dei Ratnor si era come diviso in due, metà completamente arso e l'altra metà forse salva.
Oramai c'era un prima e un dopo per quel luogo sacro agli abitanti di quelle terre.
Se le cose erano andate come pensavano i Tumbà, Sankale, Sitati, Mandi, Yasoda e Hasanti, i villaggi posti oltre il vulcano, erano rimasti integri.
Tutto il resto, dal fiume fino alle sue pendici, a perdita d'occhio era stato ridotto in polvere.
I Ratnor e i Sednor che non si erano spostati per la Festa di Rasmet continuavano la vita di sempre, ma di tutti gli altri, quelli che si erano trovati nelle vicinanze di Rasmet e non erano riusciti a scappare in tempo, si erano perse le tracce.
Tutto quello che si trovava a Sud del vulcano, semplicemente non esisteva più.
I villaggi di Noah, Rasmet, Kimani e Omondi, erano diventati cenere.
Anche il Semenzaio, raggiunto dalle fiamme che provenivano da Rasmet, era del tutto bruciato.
Le Sorelle della Vita, avvisate da lui, Radice e da Salende, ebbero la possibilità di raccogliere tutti i bambini già nati dai baccelli e li portarono in salvo.
Scapparono appena in tempo, inseguite dalle fiamme che già ardevano i primi alberi nutrice e i baccelli ancora appesi ai rami.
Provenendo da Ovest l'incendio lo investì in pieno e proseguì fino a quando non arrivò a scontrarsi con i primi contrafforti dei Monti Anunna, a più di una settimana di distanza verso Est.
Durante il giorno da quella parte ancora si vedeva il fumo sollevarsi, così come a Ovest, dove le fiamme seguitavano ancora ad ardere e di notte se ne scorgevano i bagliori in lontananza.
Ma nonostante tutto questo disastro, furono in molti i bambini che si salvarono grazie a quelle Ratnor.
Raggiunsero la palude dopo tre giorni di fuga senza respiro, tra fumo, cenere e crepitii di legni in fiamme nel pomeriggio inoltrato di un giorno che nella loro memoria parve non terminare mai.
Furono giorni di terrore e notti insonni.
Solo quando videro la sponda del fiume e iniziarono a seguirlo, capirono di essere giunte veramente in salvo.
Quando infine arrivarono alla laguna, vi giunsero felici, stremate, scosse: entrarono nel villaggio della palude sorridenti e in lacrime, perché il loro pensiero tornò al Semenzaio abbandonato, dove nulla poterono fare per salvare gli altri, i bambini rimasti nei baccelli ancora non schiusi.
Quel pensiero le tormentava tutte quante dal giorno che dovettero fuggire, nonostante avessero fatto tutto quello che era umanamente possibile fare per salvare il salvabile.
Dovettero abbandonarli e di questo non sapevano darsi pace.
Scapparono davanti alle fiamme appena in tempo, tra le urla di coloro che si laceravano nel dubbio se salvarli tutti e la necessità di pensare per primi a coloro che invece già erano nati.
Non poterono fare altro che assistere impotenti allo scempio.
Centinaia e centinaia di baccelli bruciarono assieme alle Schegge che li nutrivano senza che nessuna di loro potesse fare nulla per soccorrerli.
Le fiamme che le incalzavano erano così violente che appena li raggiungevano li infiammavano all'istante, facendoli esplodere in mille pezzi incandescenti che proiettandosi lontano moltiplicavano i focolai.
Dalle fiamme dei primi si propagarono altri incendi ad altri alberi nutrice e quel luogo di gioia e pace, ben presto si trasformò in un inferno.
Nella disperazione di vedere bruciare le proprie piante, solo le Yaonai tentarono l'impossibile, provando a staccare i baccelli dalle piante nutrice.
Moltissime furono quelle che tentando di salvare le loro amate Schegge, perirono arse vive assieme a esse.
Tentarono di spegnere il fuoco agitando le lunghe capigliature come coperte, ma dopo pochi colpi i capelli ardevano e le avvolgevano di fiamme dalle quali non potevano più sfuggire.
Allora, disperate, si gettavano contro il tronco amato e perivano così unite, corpo e anima ancora insieme. Era straziante vederle trasformarsi in torce umane senza poter far nulla.
Wal ne vide molte affrontare quella fine e le amò tutte per l'amore che dimostrarono verso le loro amate piante.
Gli parve impossibile poter amare tanto. Eppure anche il sacrificio di quelle Yaonai non fu del tutto inutile. Il loro esempio fu la salvezza per molti altri che le videro ardere.
Dopo averle viste morire in quel modo atroce, molte delle Sednor ancora in vita recisero subito i loro capelli e li gettarono a terra.
Molte furono anche le Postulanti che si tagliarono le lunghe chiome, gettandole via per non ardere vive.
Salende fu la prima e diede l'esempio alle altre. Con le lacrime agli occhi li recise con pochi secchi colpi.
Prendendo esempio da lei, Wal stesso, per convincere le riluttanti, lo fece a sua volta e altrettanto fece Radice.
Ma i due ragazzi le chiome non le gettarono a terra: se le arrotolarono a vita, per stringere i vestiti.
Poco alla volta, prendendo esempio, tutte li imitarono e anche coloro che poco prima avevano gettate in terra le loro, le raccolsero e le avvolsero attorno ai vestiti.
Quando si misero in marcia, tutte quante portavano ciò che fino a poco prima era un vanto, a mò di cintura.
Per le Postulanti quelle furono ore e giorni di fughe estenuanti, di terrore e di fumo, senza respiro fino alle rive del fiume Sardon, a Sud, dove l'incendio trovò una barriera impossibile da superare anche per la sua violenza.
Duecentocinquantasette Sorelle e una cinquantina di donne Sednor, salvarono con le loro sole forze quasi settecento bambini dal Semenzaio.
Salende fu instancabile, attiva a coordinare le necessità delle Sorelle e i loro dubbi, non si concesse un solo momento di riposo.
Per quelle come lei che la videro con in braccio il figlio che aveva avuto dal Gopanda, divenne un punto di riferimento, perché oramai tutte quante sapevano che la Grande Madre Yaonai aveva benedetto il bambino che aveva partorito per lui.
Benché in un primo momento fosse stata invidiata per quell'onore rarissimo, attraverso quella benedizione la sua reputazione era salita moltissimo tra la Postulanti e ne fece il cardine centrale.
Anche Wal e Radice si misero ai suoi ordini e benché fossero poco pratici della materia, fecero quello che poterono per portare soccorso, aiutarono, presero bambini a cavalcioni e sotto le braccia.
Erano pur sempre il Gopanda Leta e il figlio del Figlio del Sole, ma agli occhi di quelle donne, il vero centro di riferimento era lei: Salende.
Approfittando del senso di orientamento di Wal poterono soltanto fuggire, fare un largo giro attorno alle fiamme per evitare di venire accerchiati. Come topi guardandosi costantemente le spalle, si mossero sempre senza mai riposare, ma in mezzo a tutto quel disastro nessun bambino superstite perì bruciato.
In seguito le donne si congratularono con il Gopanda e con il futuro Maestro del Sole per averle portate in salvo, ma ambedue i giovani sapevano perfettamente che a salvarli tutti, poté più lo spirito indomito delle Postulanti che la loro conoscenza della foresta.
Quando le donne della colonna finalmente arrivarono alla grande ansa del fiume e in lontananza scorsero la laguna e le case intatte, scoppiarono in urla e grida di gioia che vennero udite fin alla palude. Era quasi sera, il fumo oscurava l'aria.
Erano distanti, sporche, coperte di fango e caligine dalla testa ai piedi.
I Tumbà erano ancora al lavoro quando udirono le loro urla e a fatica nella penombra li riconobbero. Non potevano crederci. Di voce in voce in un baleno la notizia si sparse per tutta la laguna.
Mirta, Neko, Lilith, Fredrik, Thorball, appena lo seppero non seppero trattenersi dal corrergli incontro, seguiti ben presto da tutto il resto del villaggio.
Tutti lasciarono il lavoro alla palude. Presero al volo quello che avevano e glielo offrirono.
Le donne portarono acqua, cibo e conforto, gli uomini liquori, birra e speranza.
Arrivate al villaggio, le prime Postulanti vennero accolte come eroine; i bambini che trasportavano vennero portati al riparo e le Sorelle servite di ciò che di meglio i Tumbà poterono dare loro.
Dan e tutti i Tumbà le davano ormai per spacciate, perse in quell'inferno che vedevano ardere oltre la palude e di cui non sapevano la causa.
Invece improvvise e inaspettate erano arrivate fino a lì; stanche, abbruttite dalla fatica e irriconoscibili da prima, eppure vive.
Tutta la foresta alle loro spalle era un rogo. La terra ormai distrutta, tremava in continuazione.
Di quando in quando da Nord udivano il rombo di un'esplosione che ogni volta era più vicina alle loro capanne della precedente.
L'acqua della laguna si muoveva ogni volta che la terra vibrava e dal fondale melmoso salivano grosse bolle che improvvise scoppiavano sprizzando gocce d'acqua ovunque, eppure la venuta di quelle donne portò una ventata di ottimismo in tutti, facendo dimenticare per un momento il gas che aleggiava tra le capanne.
L'aria ne era ovunque satura.
Da subito vennero spenti tutti i fuochi, ogni focolare venne coperto e le canne che pescavano sul fondo ritirate.
Eppure ognuno sapeva che una sola scintilla avrebbe potuto far esplodere isole intere in un istante.
Il vento non cessava di soffiare da Nord e spingeva il fumo e l'incendio proprio verso la palude.
L'aria, per il gas e il fumo, si faceva via via irrespirabile, ma almeno erano sull'acqua ed erano salvi.
Poteva non essere molto, eppure era l'unica cosa a cui potevano aggrapparsi.
Poi questo miracolo insperato giungeva improvviso a dare speranza a tutti loro.
I Tumbà erano giorni che guardavano terrorizzati quelle fiamme che si spostavano verso il fiume, sconvolti giorno e notte dalle esplosioni, dai terremoti e dall'incertezza per il futuro.
Nel Villaggio del Sole il morale era a pezzi, il loro mondo era minacciato come mai prima d'allora e non sapevano cosa fare per salvarlo.
Erano disperati, tutti.
I primi tre giorni dall'inizio dell'incendio furono tremendi e li portarono sull'orlo della rovina.
I Tumbà erano impotenti davanti a tanta furia e oltre a questo, si sentirono abbandonati.
La Signora, il Grande Vecchio, anche il Gopanda, tutti quanti erano andati lontani e nessuno sapeva se e quando sarebbero tornati.
Pure il Setmin era partito e ben presto lo sconforto generato dalla paura, prese il sopravvento.
Il malumore andò a insinuarsi tra le capanne Tumbà.
Mirta, Fredrik e Thorball fecero tutto il possibile per tranquillizzare gli animi, ma la loro autorità era troppo debole per poter avere presa e tutto fu inutile.
Dopo lo sconforto iniziale, serpeggiò la rabbia, l'impotenza, poi venne la disperazione a scaldare gli animi e i cuori.
Man mano che le fiamme si avvicinavano, sempre più gli occhi si riempivano di orrore e collera, alla ricerca di qualcuno che sapesse cosa fare.
L'unico baluardo rimasto tra il caos e la razionalità che vacillava sotto i colpi del terrore, fu Dan, il Capo villaggio, che improvvisamente si trovò una responsabilità enorme addosso.
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