10) PASSAGGIO OBBLIGATO
La salita si rivelò più difficile di quanto pensassero.
Thorball, con le armi e due sacchi appesi sulle spalle, uno contenente le ossa di Aldaberon l'Antico e l'altro la testa di Fredrik, li precedeva.
Camminava lento e curvo e apriva il passaggio come poteva, mentre Mirta e Ranuncolo restavano con Baliji e gli davano tutto l'aiuto che potevano.
L'infermo si fermò un attimo a riprendere fiato. Ne aveva bisogno. Tutti ne avevano. Ansimava e aveva il fiato corto.
Le mani, avvolte in morbide bende, pulsavano e bruciavano a ogni passo che faceva. Una breve sosta avrebbe fatto bene a tutti.
Erano soli, dietro a loro non vi era più nessuno.
A parte i loro ansimi pesanti, non vi erano altri suoni se non quelli dei loro passi e anche quelli erano ovattati dalla neve che scricchiolava sotto i piedi.
Nessuno parlava, solo guardavano in alto preoccupati.
Ora Baliji capiva perché l'avessero fatto partire per ultimo e non poteva che essere d'accordo con chi, per primo, ebbe il coraggio di dire ad alta voce quello che oramai era chiaro a tutti.
Chiunque avesse percorso almeno una volta quel sentiero, sapeva che senza l'uso delle mani, non era possibile salire fino al ponte.
Il passaggio era troppo stretto e impervio per riuscirvi.
Se non si avevano dita forti e salde per appigliarsi a ogni cosa che potesse aiutare l'arrampicata, le probabilità di riuscirvi senza cadere di sotto erano pressoché nulle.
Inoltre, nella notte la neve era caduta in abbondanza.
Man mano che si saliva, ce n'era sempre di più.
Arrivava fin quasi alla cintola e rendeva insidioso mettere un passo dietro l'altro.
Le centinaia di piedi che l'avevano calpestata fin dal mattino presto, l'avevano resa una melma sporca e fradicia su cui anche le corde avvolte attorno alle scarpe Tumbà facevano fatica a fare presa.
Su in alto, sulle cime e sui fianchi più ripidi degli Anunna, canaloni pieni di neve fresca e instabile erano pronti a scaricare a valle valanghe inarrestabili su chiunque le avesse provocate con rumori improvvisi.
A Baliji non piaceva quello che vedeva.
Gli vennero in mente le parole che lesse sul manoscritto di Walpurgis, quando descrisse l'immensa valanga che distrusse il popolo Eridano.
Temeva per i suoi amici e non voleva che corressero tutti quei pericoli per lui, eppure non poteva che proseguire per quel sentiero.
Se voleva avere una possibilità di fuggire, non poteva che passare da quella parte. Sebbene il giorno prima le Schegge avessero fatto un ottimo lavoro, alcuni passaggi del sentiero si rivelarono quasi impossibili da affrontare e a un certo punto Baliji pensò di fermarsi e di non continuare oltre.
Era ancora debole per la lotta con Gioturna e le mani gli dolevano da quando erano partiti. Non appena provava ad afferrare qualcosa, dolori atroci gli trafiggevano le dita e nel punto dove erano arrivati ora, poteva procedere solamente afferrandosi a delle corde.
Sapeva dell'esistenza di quel passaggio, gliene avevano parlato in precedenza e appena lo vide lo riconobbe subito.
Appena pochi passi li separavano dal luogo esatto dove Balàn e Arturo caddero nel vuoto pochi giorni prima.
Lo stesso maledetto erto punto che nemmeno le Schegge, con tutta la loro forza, riuscirono a modificare abbastanza da renderlo sicuro, era davanti a lui.
Sopra di loro c'era una parete che saliva a picco e sotto, oltre a uno stretto sentiero, uno strapiombo che si fermava cinque o sei metri più in basso tra pietroni e spuntoni di roccia.
In mezzo, a interrompere il sentiero che vi arrivava da valle e riprendeva subito oltre, un semi arco scavato nella parete con sei passaggi obbligati da attraversare attaccandosi a corde che qualche valoroso Tumbà aveva fissato nella pietra con dei chiodi.
Mirta glielo aveva detto, gli aveva spiegato tutto quanto, ma vederlo con i propri occhi era tutto un' altro affare.
Baliji si sporse oltre il baratro.
Non si vedeva molto di quello che accadde a Balàn e ad Arturo.
Il tumulo di pietre che ricopriva i due ragazzi era nascosto dalla neve e a malapena si notava una leggera increspatura nella superficie pietrosa e gelata in fondo al burrone.
Gli venne un brivido lungo la schiena. Un salto simile non avrebbe lasciato molto speranze a nessuno, pensò.
Thorball, appesantito dal carico e ansimante, arrivato prima degli altri nel punto ove il sentiero si interrompeva prima della strettoia, approfittò anch'egli della sosta per riprendere fiato.
Appena li vide arrivare lungo il sentiero sistemò meglio scudo e sacche sulla schiena e si attaccò con forza alle corde che l'avrebbero condotto dall'altra parte.
Baliji lo guardò mentre si sforzava nel mantenere l'equilibrio tra un passaggio e l'altro e comprese quello che fin dal mattino fu chiaro a tutti anche se nessuno volle mai ammetterlo.
Per lui era impossibile passare, senza mani non poteva farcela.
Fece per tornare indietro, ma Mirta e Ranuncolo glielo impedirono.
Thorball, arrivato dall'altra parte, gli fece cenno di seguirlo.
Con l'alfabeto muto si passò un dito sul cuore e lo puntò verso di lui:
"Non lasciarmi" gli disse.
Poi, come qualunque Varego avrebbe fatto, con la morte nel cuore lasciò che fosse lui a decidere per la sua vita.
Come uomo e come Varego era suo diritto farlo e lui, come uomo e Compagno di Disgelo, se non aspettarlo dall'altra parte del precipizio, di più non poteva fare per aiutarlo.
Rimase ad attendere in silenzio, perché, per timore delle valanghe, nemmeno potevano parlare.
Per non fare rumore aveva rivestito di stracci le armi e non si fidava a posarle in terra. Poteva solo attendere e guardare.
Al massimo potevano bisbigliare; un sussurro nel silenzio delle montagne.
Erano rimasti solo loro tre e benché la situazione fosse disperata, Mirta e Ranuncolo non vollero ancora rinunciare.
Lo incitarono a proseguire. Tutti gli altri erano già saliti al ponte e lo stavano attraversando uno alla volta.
Al loro arrivo su in alto, ad attenderli da questa parte sarebbero rimasti Neko e Gabriel, con quattro o cinque Schegge a pattugliare la riva e proteggere il ponte. Baliji sorrise.
Al mattino lui e il Maestro si salutarono con la promessa di rivedersi su al ponte, ma ora temette di non poter mantenere la parola.
Non vedeva una via d'uscita: per lui era impossibile proseguire, così come restare fermo.
Essere riuscito ad arrivare fino a quel punto, per poi doversi fermare a un passo dalla meta, lo faceva sentire beffato.
Non era giusto. Era una lotta continua, che non smetteva mai.
Non avesse messo in pericolo la vita di Mirta e degli altri avrebbe urlato dalla rabbia, ma ora, frustrato e spossato dalla lotta che incessante proseguiva, volle che almeno loro potessero salvarsi.
Se erano ancora lì, era per aspettare lui che non sapeva come fare per andare avanti. Nessuno avrebbe potuto fare nulla per aiutarlo. Senza mani era impossibile.
Il suo cervello era vuoto e silenzioso; non c'erano più sussurri a consigliarlo.
Le presenze che l'avevano accompagnato per una vita intera, se ne erano andate e non c'erano più a confortarlo.
Aveva lottato tutta la vita per essere finalmente libero di decidere, ma ora che poteva farlo, non sapeva cosa fare.
Si sporse ancora oltre il bordo a fissare il vuoto: in fondo sarebbe stato facile, un salto e tutto sarebbe finito in fretta.
Avrebbe raggiunto Balàn e Arturo e gli altri avrebbero potuto proseguire senza di lui e andarsene, ma Mirta intuì i suoi pensieri e l'afferrò saldamente per le braccia.
Lo strattonò lontano dal precipizio e Ranuncolo lo portò contro la parete a picco. Baliji si dibatté, cercò di liberarsi, ma la stretta del Setmin era decisa.
Anche lui aveva intuito i suoi pensieri e per quanto la situazione fosse disperata, come Tumbà ancora voleva sperare.
Dopo aver visto l'Eclissi del giorno prima, la sua fede nel Sole Invitto era più salda che mai ed era dal mattino che pregava il suo Dio perché gli inviasse un segno. Avrebbe accettato qualunque cosa pur di salvare quel ragazzo da una fine ignobile come quella; qualunque cosa sarebbe stata meglio dal gettarsi di sotto per farla finita.
I due lottarono, in silenzio, digrignandosi i denti come furie mute.
Ranuncolo gli restò addosso per impedirgli di fare sciocchezze quando, dall'altra parte del sentiero, arrivò un Tumbà e si fermò accanto a Thorball.
Appena vide il Gopanda, il giovane lo salutò con la mano e sorrise felice per averli finalmente trovati.
Alla sua comparsa Baliji smise di dibattersi. Per un momento gli era parso di vedere Flot di Yasoda, ma poi riconobbe la mano aperta del giovane e le sei dita che lo salutavano.
Era Gabriel e portava una lunga corda a tracolla. Era giunto a proposito ed era la seconda volta che succedeva.
Pareva proprio che quel ragazzo fosse destinato a salvargli la vita, pensò. Gli fece un sorriso.
Fece cenno a Ranuncolo di lasciarlo andare e il Sednor allentò la presa.
Con una nuova speranza nel cuore, Baliji si fece avanti.
"Cosa ci fai tu qui?" gli sussurrò appena e l'altro li mise al corrente delle cose successe al ponte.
Neko l'aveva mandato a vedere dove fossero e perché tardassero tanto.
Ormai quasi tutti avevano attraversato il ponte e il Grande Vecchio era in apprensione per lui.
All'appello non mancavano che loro e Neko temeva di sapere il motivo del loro ritardo.
Sapeva molto bene che il percorso sarebbe stato difficile per lui, ma confidava ancora che si potesse trovare una soluzione per farlo passare.
Appena possibile inviò il Tumbà con la corda più lunga di cui ancora disponevano per aiutarli.
Quella era l'ultima e l'avevano conservata proprio per le emergenze come quella. Forse con il suo aiuto avrebbero potuto legarlo in qualche modo e, chissà, forse farlo passare.
"Dovete sbrigarvi " mormorò il Tumbà.
Gabriel disse che se avesse potuto, Neko sarebbe sceso lui stesso, eppure non si fidava a lasciare la zona sguarnita.
Erano ore che non si allontanava che di pochi passi per volta dal ponte.
Di più non si fidava, perché, benché fossero scomparsi da due giorni, Neko e Faggiola temevano ancora i mostri di Ghiaccio che si erano rifugiati su quelle montagne.
Quello era un territorio ideale per quei giganti e inoltre, se erano riusciti a sfuggire all'accanito inseguimento dei Giganti dell'Alleanza, forse erano tra i pochi Ka-ranta in grado di prendere decisioni anche senza avere ordini dalla loro Regina.
Era solo una possibilità remota, certo, ma in tal caso non sarebbe stato da escludere qualche tentativo da parte loro di vendicare la morte di Karahì.
Non ne erano certi, però il Varego e la Yaonai ben conoscevano l'ottusa malvagità che racchiudevano i cervelli di quegli esseri infernali, la temevano e subodoravano qualche sorpresa da parte loro.
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