9f)DOLCI PROPOSTE


La cala distava pochi passi.

A valle un passaggio non largo ma asciutto li avrebbe condotti fino a laggiù.

Veloci scesero a terra e tirarono la barca più lontano possibile dalle acque rosse del Sardon, fin contro alla riva quasi verticale che saliva dritta sopra le loro teste. Era alta, scoscesa, scavata in profondità dalle acque. Nemmeno si fossero messi ritti una sulle spalle dell'altro avrebbero potuto raggiungerne la sommità. Pietre sconnesse sporgevano pericolosamente dalla riva scavata. Sopra, quasi sospesi sulla loro testa, scorgevano alberi colossali di quattro, cinque metri di diametro, sporgersi oltre la terra corrosa, inclinati verso il fiume.

Alcuni di essi restavano pericolosamente in bilico con le radici che penzolavano fino al pelo dell'acqua. Il vento li faceva dondolare piano piano. Quasi sicuramente la prossima piena del fiume li avrebbe condotti con sé, forse avrebbero resistito ancora un po', ma il loro destino ormai era segnato. I due giovani assicurarono la cima a una grossa pietra e Wal si caricò sulla schiena il fagotto di viveri e coperte.

La barca era piena d' acqua, sfondata in più punti ed era un miracolo se li aveva portati in salvo. I remi, scontrandosi con gli scogli, si erano rotti in modo irrecuperabile. Capì subito che sarebbe stata inservibile per il viaggio di ritorno, ma preferì non farne parola alla sua compagna. Fece segno a Mirta di precederlo lungo lo stretto passaggio pietroso e con pochi passi giunsero alla caletta. Ora che poteva vederla da vicino, si rendeva conto che la sua supposizione era esatta. La terra e le rocce erano smosse di recente.

Grosse radici ancora ne uscivano lacerate dallo sforzo di resistere alla corrente. Un colosso della foresta era stato trascinato a valle dopo essere stato completamente scalzato. Pareva che tutto quel tratto di riva fosse soggetto a una lenta quanto inarrestabile corrosione da parte dell'acqua. La terra della foresta, argilla rosso sangue, trascinata via poco alla volta dalla corrente, dava il colore al fiume.

Probabilmente era così anche a monte dell'ansa e forse proseguiva anche a valle. Wal non lo sapeva, ma al momento aveva altro a cui pensare. Mirta gli fece cenno di salire e lui accettò.

Salirono approfittando degli appigli offerti dalle radici, scivolando su pietre smosse e terra franata. La prima parte della salita fu più agevole, l'ultima più ripida. Si aiutarono a vicenda, fino a quando Mirta, per prima, non mise la mano oltre il bordo e si tirò su a forza. Quando ambedue furono saliti, si distesero ansimanti sulla sponda.

Erano stanchi, senza fiato, bagnati fradici, ma felici. Doveva essere passato da poco il mezzogiorno e il sole illuminava completamente la riva che avevano lasciato. A monte, sulla destra a non più di un chilometro e mezzo, scorgevano il punto dove la riva del fiume curvava per rientrare nella laguna dei Tumbà. Tutto appariva così luminoso e bello, da provare il desiderio di ritornarci subito e di urlare a tutti quello che avevano fatto. Poi, la coscienza di quello che avevano realmente ottenuto, li colpì per intero. Fu in quell'istante che entrambi si resero veramente conto di ciò che avevano fatto. Erano passati!

Erano riusciti a passare dove nessuno, a memoria Tumbà e Yaonai, era mai passato. Erano andati oltre a chiunque altro prima di loro ed erano liberi. Tutto il loro passato era rimasto alle loro spalle: Flot, le Ratnor, i doveri come Padre di Tutti, il lavoro da boscaiola, le Yaonai, Gioturna, tutto era dall'altra parte del fiume e nessuno avrebbe potuto raggiungerli. Il loro passato era laggiù, oltre quella mole d'acqua.

Nessuno sapeva dove si trovavano e nessuno sarebbe stato così folle da tentare quello che avevano tentato loro.

Certamente molti li avevano visti remare lenti verso la laguna e, non vedendoli tornare, alla fine avrebbero temuto il peggio. Prima della fine del giorno il villaggio Tumbà sarebbe stato messo in allarme e migliaia di persone sarebbero andate a cercarli fin dove fosse stato possibile farlo. La laguna intera sarebbe stata attraversata in lungo e in largo da centinaia e centinaia di legni. Sua madre, Neko, Ranuncolo, i suoi amici avrebbero fatto di tutto per ritrovarli, ne era certo, però difficilmente li avrebbero raggiunti. Il loro era stato un colpo di testa e non ne avevano parlato mai con nessuno, perché mai prima d'allora avevano pensato di farlo. Il loro gesto era stato talmente assurdo che nemmeno si poteva azzardare un pensiero simile. Ma proprio perché impensabile, avrebbero potuto approfittare di quel colpo di fortuna e fuggire. Il destino gli poneva in mano il futuro. Li avrebbero certamente cercati. Per giorni e giorni avrebbero battuto tutta la laguna in cerca del legno o dei loro corpi, ma alla fine si sarebbero rassegnati e avrebbero desistito. Sarebbero passati giorni, settimane, forse mesi interi prima che qualcuno potesse anche solo osare supporre una fuga. Nel frattempo i più li avrebbero creduti spariti nel nulla, inghiottiti dal fiume come altri prima di loro e li avrebbero pianti.

Qualcuno avrebbe intuito, capito forse, Neko, chissà?

Altri invece avrebbero indossato le maschere nere, pianto la loro scomparsa, poi la vita avrebbe ripreso il suo corso e li avrebbero scordati. Potevano andarsene dove volevano. Avevano tutto un mondo davanti a loro e potevano scegliere qualunque direzione volessero.

Avendo letto le memorie di Walpurgis, sapevano entrambi che attraversando la foresta sarebbero giunti fino alla gente che l'Eridano si era lasciato alle spalle. Avevano coperte, viveri e acqua. Se li avessero razionati avrebbero potuto farli bastare per due o tre giorni, poi avrebbero cacciato, raccolto, scavato qualunque cosa fosse commestibile. Lui aveva passato mesi interi a camminare tra gli alberi e non era mai morto di fame. Lei in una foresta ci era nata e cresciuta.

La stagione era calda, sarebbero passati mesi prima dell'arrivo del freddo e del gelo. Avevano tutto il tempo per andarsene da quel fiume e attraversare la foresta.

Oltre a essa gli Eridani avevano prosperato ai piedi dei monti. Neko a suo tempo li aveva incontrati e non sembravano più pericolosi di tanti altri. Potevano vivere insieme a quella gente, farsi una casa, una famiglia, stabilirsi ai piedi di quelle montagne.

Wal non sapeva come fossero fatte delle vere montagne e per un momento provò un ardente desiderio di andare a vederle, ma poi sentì su di sé lo sguardo di Mirta.

Si sentì gelare da quegli occhi.

Prima ancora di voltarsi a guardarla, sapeva già quello che lei stava pensando. In fondo era la medesima cosa che stava pensando lui. Avesse voluto non avrebbe avuto che da alzarsi, mettersi sulle spalle il fagotto, prenderla per mano e andare via insieme. Sarebbe stato facile, molto facile, se solo fossero stati da soli.

Invece soli non lo erano: c'erano i suoi spiriti e la sua condanna.

Lui era e sempre sarebbe stato un Sanzara, fino a quando non li avesse lasciati alle sue spalle. Aveva ragione sua madre, doveva eliminarli tutti quanti prima di sentirsi completamente libero. Non contava dove andasse, come e con chi fosse: avrebbe potuto andare in capo al mondo, fuggire per qualche tempo, ma alla fine, prima o poi, avrebbe avuto un dubbio, un pensiero che non avrebbe saputo dire se suo o di chi altro e questo avrebbe logorato il rapporto con Mirta.

Forse all'inizio sarebbero state cose di poco conto, ma alla fine il dubbio sarebbe diventato troppo forte e avrebbe potuto allontanarli. Lo spirito di suo nonno, di Walpurgis e della ragazza di Vinland non lo avrebbero mai lasciato andare. L'avrebbero inseguito e scovato, come avevano sempre fatto. Era con loro che doveva vedersela; il passato doveva restare sepolto una volta per tutte, se voleva avere un futuro.

Alla fine, senza avere il coraggio di guardarla negli occhi per non vederne la delusione, trovò la forza di dire quello che non avrebbe mai voluto sentire:

"Non possiamo andare oltre. Dobbiamo ritornare".

Lei non si scompose. Aveva già capito tutto, aveva già pensato a tutto.

"Lo so" gli rispose semplicemente "Però c'è quello che ha detto mio padre. Se inizierai a prendere la sua pozione, potresti diventare sterile per sempre".

Quelle parole lo sorpresero e lo ferirono. I suoi occhi bruciarono di rabbia.

"Preferiresti forse che io continuassi a... " ma non riuscì nemmeno a dirlo. Lei gli mise una mano sulla bocca.

"No, capisco perché vuoi farlo e ti rispetto per questo. Sei il Padre di Tutti contro il tuo volere e vuoi andartene. Al pari tuo lo voglio anch'io, ma voglio anche che tu sia il padre dei miei, dei nostri figli".

L'ascoltò incredulo e si voltò a guardarla. La rabbia svanì dalla sua voce.

"Se torniamo, non ci resterà molto tempo. Tra pochi giorni partirò" le disse.

"Lo so" ribadì lei. Gli si era portata accanto. Il suo profumo gli riempiva le narici. I vestiti bagnati aderivano alla pelle. Sapeva di sudore fresco, erbe amare e acqua del fiume. Il corpo, reso caldo dallo sforzo, era morbido e sodo. Lei gli si stese sopra. Un seno appoggiato sul petto per ricordargli cosa portava sotto il vestito. Gli occhi chiari di Mirta non avevano dubbi.

"Allora non perdiamo tempo" gli fece "Prima di tornare, voglio che nostro figlio venga concepito in una terra libera".

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