4)DIARIO DI UN VIANDANTE
Passato lo spavento per l'improvvisa furia del tempo, Wal riprese a ragionare. Sentì il manoscritto pulsargli tra le mani. Rimase con un dubbio: Karahì non voleva forse che lo leggesse?
Il pensiero di quello che doveva essere appena successo nel Mondo degli Antichi Padri, gli fece venire i brividi. I Sanzara dovevano aver respinto un attacco suicida da parte dei Giganti di Ghiaccio di Karahì.
Erano in estate, in quel periodo dell'anno un assalto del genere non aveva nessuna possibilità di riuscire, ma se la Regina del Nord gli aveva scagliato contro le sue truppe, voleva dire una cosa soltanto: doveva essere disperata e voleva arrivare a lui a tutti i costi. Anche se nessuno glielo aveva detto espressamente, questa volta l'aveva capito da solo quello che era successo: Karahì lo voleva, lo temeva, ma perché?
Temeva quello che poteva essere scritto sul manoscritto di Walpurgis? C'era veramente qualcosa che l'uomo del Sud aveva visto o compreso, che poteva permettergli di distruggere Gioturna?
Aveva passato così tanto tempo a desiderare di leggere quel libro, che ora che era finalmente giunto il momento di farlo, ne aveva paura. Cercò conforto e consiglio nello spirito di suo nonno, ma era da un po' che non lo sentiva: da quando era scoppiato il temporale sembrava essere scomparso.
Sospirò, guardò la copertina di cuoio verde e le parole che portava impresse sopra.
Lo sfiorò delicatamente, guardò Lilith che gli sorrise e gli fece un cenno di assenso. Gli faceva piacere averla accanto in quel momento, perché aveva un poco di timore ad aprire la prima pagina del manoscritto di Walpurgis. Questa volta sarebbero state le sue vere parole a uscire alla luce e non quelle modificate da Flot. Questa volta non ci sarebbero state scuse, menzogne, rimaneggiamenti, la verità e solamente la verità sarebbe uscita da quelle pagine.
Sulla testa, attraverso i capelli, sentì il peso della maschera che la madre gli aveva donato e provò un incontenibile desiderio di rimettersela davanti al volto. Aveva bisogno di tutto il sostegno che poteva avere se voleva riuscire nel suo intento; dai vivi come dai morti se occorreva. Anche da Alfons sebbene soltanto attraverso la sua lastra, oppure da Walpurgis stesso, se poteva servirgli.
Lentamente se la calò davanti agli occhi e mentre lo faceva sentì che lo spirito di Aldaberon approvava. Era tornato, era con lui ancora una volta!
Una pace profonda si impossessò di lui quando si trovò il volto coperto da quel volto non suo e, attraverso le orbite di cuoio, vide tutti coloro che aveva di fronte sotto una luce diversa. Dai loro volti traspariva timore, forse affetto, finanche paura a vederlo così coperto. Ognuno di loro aveva un atteggiamento differente di fronte a quella maschera.
Nonun attendeva ansiosa, pronta a prostrarsi in terra se lui glielo avesse chiesto.
Ranuncolo, Fredrik e Thorball lo fissavano come se non lo avessero mai visto prima. Superstizione, fede, sottomissione e fiducia era ciò che leggeva sui loro volti.
Faggiola lo guardava incuriosita, mentre Mirta era indecisa se ridere o accettare che qualcosa di più grande di tutti loro stesse avvenendo in quella palude sotto un temporale estivo. Flot e Radice lo fissavano con rispetto. Lilith con profondo amore.
Neko lo incoraggiò a iniziare.
Sfiorò ancora la copertina di cuoio e rivide le parole che vi erano incise profondamente:
"Diario di un viandante"
e sotto, in caratteri più piccoli:
Walpurgis, Grande Vecchio del Popolo degli Eridani e Setmin Man Cauda dei Taurini
Le lesse quasi sottovoce, timidamente. Attraverso la maschera si udì solamente un mormorio incomprensibile. Nessuno poteva averle comprese.
Si schiarì la voce, lesse con maggiore forza quelle stesse parole, poi sollevò la copertina verde in cuoio.
Davanti a lui comparve una scritta fitta e nitida. Le lettere che la componevano erano antiche come l'inchiostro che le aveva bagnate. Alcune le riconobbe subito, altre fece fatica a tradurle. Era difficile ricordare ogni cosa. Si domandò se sarebbe stato capace di decifrarle in modo che tutti le capissero. L'emozione fu forte. Il cuore sussultò. Il panico si impadronì di lui. Le lettere ordinate ballarono per un momento davanti ai suoi occhi, si confusero nella mente finché non percepì una presenza amica sfiorargli i centri nervosi della paura, calmarlo, chiedergli il permesso di emergere, poi le parole ripresero il loro posto e gli apparvero finalmente chiare nel loro significato. Da quel momento condivise quello che vedeva. Uno dei suoi spiriti era venuto a galla e riviveva in lui. Sentì gli occhi inumidirsi. L'emozione di tenere ancora in mano quel libro andava oltre all'immaginabile.
Le pagine erano sdrucite. Molte volte le aveva sfiorate con dita stanche; le conosceva, semmai le rivedeva dopo tanto tempo e ne provò tenerezza e compassione. Percepì una domanda, un soffio, una richiesta gentile corrergli sopra i centri nervosi della mente come una supplica.
Ora Wal comprese perché sentì il bisogno di portarsi la maschera davanti al volto: era stato Walpurgis, voleva essere lui a leggere le parole che aveva vergato secoli prima di proprio pugno. Quello era il suo modo di chiedergli il permesso di farlo. Stava a lui concedergli quel privilegio o respingerlo nel recesso angolo di cervello dove dimorava. Poteva farlo, ormai ne era in grado. Ora era lui che poteva gestire la loro presenza, lo sapeva. Non era più un loro strumento: essi lo erano, erano divenuti un suo prolungamento verso l'eternità e solamente lui poteva concedergli il permesso di vivere ancora attraverso il suo corpo.
Glielo permise, fu lui a ritirarsi, grato di quell'aiuto, in un angolo del suo cervello e attese, come gli altri.
Era il momento del vero Walpurgis e sarebbe rimasto un segreto tra loro due.
Una voce calma, pacata, bassa e sonora, iniziò a leggere le prime parole uscendo distorta dalla maschera. Nessuno dei presenti, all'infuori di lui avrebbe capito la differenza:
Ora terza, quarto viaggio del Signore Nostro
1° decade mese di Omondi
anno 626 dal sorgere del Sole Invitto.
"Nacqui, crebbi, vissi, amai riamato e morii quando il Signore Mio, il Padre Celeste di tutti noi, mi chiamò presso la sua dimora".
Questo era l'epitaffio che avevo scelto per me. Era da appendere alla mia casa, quando l'ultimo respiro avesse restituito la mia anima a Colui che me l'aveva donata e il mio corpo esanime fosse rimasto alle cure dei miei figli. Avevo già scelto il luogo dove la pira funebre avrebbe elargito l'atto finale alla carne deteriorata per farla ritornare cenere, in attesa che assieme a essa carne e ombra mi avessero ancora fatto ridivenire uomo. Cenere, carne e ombra, l'essenza della vita, ancora una volta. Ero pronto. Nulla era stato lasciato al caso. Attendevo fiducioso il volere del Sole Invitto che tutto riscalda e ama. Vivevo gli ultimi anni che mi attendevo dalla vita circondato dall'amore delle mie mogli, dei miei figli e dei miei nipoti. Ero grato, fedele e devoto. Avevo già avuto così tanto dal mio Dio. Ingenuamente pensavo a me stesso come un uomo fortunato e credevo di aver compiuto la mia missione e il Suo volere in questa vita, ma mi ero sbagliato.
Mai, credo, uomo sbagliò così tanto riguardo a questo. Le strade che il mio Dio alle volte sceglie per coloro che lo seguono sono lunghe e tortuose, incerte e pericolose. Per me, che avevo raggiunto le sessanta primavere senza mai avventurarmi oltre le trenta miglia dal luogo dove ero nato, scelse la più dura e lacerante di tutte. Dopo avermi concesso un dono unico, una vita tranquilla e onorata, volle sconvolgere ogni certezza a me e al mio popolo con una bufera dalla potenza inaudita. E questa bufera aveva un nome solo: Un.
Da tre mesi si è abbattuta sulla mia gente la peggior disgrazia che potesse succedere a un popolo pacifico come quello Eridano. Nessuno ha trovato scampo da questa dura prova e oggi, questa prova sostenuta con coraggio e fermezza dal mio popolo nelle campagne, nelle città e nei borghi, tocca a me.
Scrivo queste righe mentre attendo di parlare con il Gran Sacerdote di Anca-Tek, il nuovo dio violento e barbaro giunto con le genti di Un. Costui si chiama Singaruk- ba - Balai, essere avido e sanguinario come il dio che serve. Tutti coloro che hanno avuto occasione di incontrarlo e ne sono tornati vivi, mi raccomandano la massima cautela: è pericoloso contraddirlo e se non ottiene ciò che vuole diventa estremamente violento. Eppure io confido: serve il medesimo Sole che adoriamo noi Eridani, anche se il suo dio si nutre più volentieri di sangue umano che di quello dei Vitelli. Temo questo incontro, come uomo e come sacerdote delle mie genti. Come Grande Vecchio degli Eridani e Setmin Man Cauda dei Taurini, Figlio del Sole, officiante la sua grandezza davanti alle Genti, devo avere fiducia nel mio Dio e nel potere che mi ha concesso. Ma come uomo,marito, padre, nonno, suocero e padrone di servi, ho paura.
Non per me, ma per coloro che amo. Tutti loro, indistintamente, sono in pericolo e lo saranno ancora di più se fallisco. Temo tanto che la prova che il mio Dio ha voluto mandarmi, sia troppo grande per un vecchio che ha vissuto agiatamente fino ad ora...
Mi chiamano, devo andare. Singaruk - ba- Balai ha appena congedato colui che ha ricevuto prima di me: un ricco proprietario di Vitelli che conosco da sempre, padre di quattro figli, che non ha acconsentito alle sue richieste. Mi hanno detto che l'hanno restituito alla famiglia tagliato in cinque pezzi: a ogni figlio un arto, alla moglie la testa. Questo mi ha reso ancora più nervoso di quello che già ero. Lascio questo diario con il cuore pesante, sperando di poterci scrivere ancora altre righe.
Se non tornerò vivo da questo incontro, chiunque legga queste parole dica alla mia famiglia che il mio ultimo pensiero lo rivolgerò a loro e se così vorrà il mio e nostro Dio, li attenderò al suo cospetto per l'eternità.
Ora sesta, quarto viaggio dSN
1° decade mese di Omondi
anno 626 dsdSI
Sono tornato vivo.
Come Sommo Sacerdote, credo che il Signore mio abbia impedito alla mano di Singaruk-ba-Balai di abbassarsi su di me per dare l'ordine ai suoi servi di mozzarmi la testa. Come uomo, invece, penso che quell'essere avido, incapace di provare un qualunque sentimento umano nei confronti dei suoi simili, volesse mettere alla prova la mia fede nel Signore mio e capire quanto tenessi alla mia vita. Sono convinto che se sono ancora vivo, lo devo solamente al suo profondo desiderio di possedere il dono che ricevetti per intercessione del Signore Luminoso e che solo io posso decidere a chi dare: se uccidesse me, perderebbe qualunque possibilità di ottenerlo e lui ora lo sa. Ora che ho capito quale può essere la debolezza che scardina la corazza di metallo e cuoio che riveste il suo cuore, mi sento più tranquillo. Gli ho intimato di cessare ogni persecuzione nei confronti del popolo degli Eridani se vuole che io, Walpurgis terzo, Grande Vecchio di tutti gli Eridani, sacerdote del Sole Invitto, accetti di incontrarlo ancora. Dal colore della sua pelle, passata dal giallo al rosso quando gli ho detto le mie condizioni, credo abbia capito che non ho paura di lui tanto quanto non temo la morte. Quando mi sono allontanato credo che abbia rischiato di scoppiare per la rabbia. Ma se le urla che sentivo mentre uscivo dal palazzo che un tempo fu mio, stavano a significare che la stava scaricando su qualcuno dei suoi, tanto peggio per loro. Almeno per il momento, la mia famiglia, la mia gente e io siamo al sicuro. Non so per quanto potrà durare, ma almeno è qualcosa. Ora vado a officiare la grandezza del Signore mio alla mia gente e, se potrò, cercherò di infondere nei loro cuori un poco di speranza. Ne abbiamo tremendamente bisogno tutti quanti. Confido nella grandezza del Signore mio, che scalda i cuori e illumina la strada, ora e sempre.
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